
Solar Ash Recensione: scivolando su un mare di nuvole aliene
Dopo lo splendido Hyper Light Drifter, Heart Machine fa di nuovo centro, questa volta con un mix di action/platform e uno stile artistico stellare.
Articolo a cura di
Icilio Bellanima
Disponibile perPc
PS4
PS4 Pro
PS5
L'Ultravuoto è una melma nera concreta che intacca il terreno, e al contempo qualcosa di più subdolo, che si insinua nei meandri della mente e tra le pieghe dello spazio-tempo. Come si può anche solo immaginare di poter distruggere una simile minaccia? E no, non bastano folli, disperate motivazioni, come il volersi sobbarcare il peso del mondo e della propria civiltà. A Rei, la Voidrunner protagonista di Solar Ash, serve altro: un'agilità sovrumana, in primis, ma anche un'arguzia fuori dal comune con cui risolvere gli ostacoli ambientali che il nuovo terreno ostile le pone davanti, e una forza di volontà tale da... no, ci fermiamo qui.
Perché no, l'intreccio messo in piedi da Heart Machine non sarà il massimo dell'innovazione, ma è dannatamente ben raccontato, e merita di essere vissuto un colpo di scena dopo l'altro. Il comparto narrativo è più corposo e rilevante rispetto all'opera prima dello studio americano, quel gioiello chiamato Hyper Light Drifter (qui trovate la recensione di Hyper Light Drifter) che nel 2016 li proiettò di diritto nell'Olimpo indie, e che, complici i cinque anni di attesa, ha posto sulle spalle del nuovo progetto non poche aspettative.
Aspettative forse stemperate dai primi, confusionari trailer, e da un brusco cambio di nome (originariamente venne annunciato come Solar Ash Kingdom) che, di questi tempi, evoca sempre scenari apocalittici, problemi interni, disastri irreparabili. Eppure dopo averlo divorato al 100% in una decina di ore, siamo ancora qui a ragionare sulle vicende di Rei, sui misteri degli Umbra, dei Veruki, degli Anziani e di tutte le civiltà che la nostra eroina incontrerà sul suo cammino, ancora estasiati da ciò che abbiamo visto sfrecciare a velocità supersonica sullo schermo del nostro PC. Perché per quanto imperfetto, almeno per chi scrive, Solar Ash rientra senza troppi mezzi termini nella lista dei titoli più interessanti del 2021.
Coi piedi tra le nuvole
Per chi si avvicina al nuovo titolo di Heart Machine con le sinapsi ancora segnate dal passaggio di Hyper Light Drifter, sappiate che sì, qualche elemento in comune c'è, e in un primo momento Alx Preston, padre-padrone di studio e giochi, aveva persino paventato l'idea di un possibile intreccio tra i due titoli, salvo poi fare
parziale dietrofront con un generico "Sì, l'universo è condiviso, ma chissà, forse a qualche galassia di distanza". La palette grafica è indubbiamente quella, con le tonalità violacee e rosa onnipresenti, così come la qualità stellare del comparto artistico, sia lato sonoro che visivo. Ma le similitudini si fermano lì, perché Solar Ash è più permissivo e abbordabile, nonostante regali qualche momento particolarmente arduo anch'esso; ma soprattutto, la marziale meccanicità e la spigolosità del passato, visive e ludiche, sono rimpiazzate da una danza armonica, da contorni più morbidi e rotondi, dal pattinare sinuoso di Rei su un mare di nuvole che è liberatorio, sognante; una di quelle esperienze che colma il cuore di gioia.
Il combattimento passa quindi in secondo piano, almeno quello contro i comuni mostriciattoli, utili sì a dare pepe all'esperienza e a complicare la vita quando possono, ma le hitbox accomodanti e la sovrabbondanza di cure lasciano già intendere che non è quella la ragione per cui siete realmente lì. L'anima platformer è il fulcro di tutto: è la fluidità estrema dei movimenti della Voidrunner a farvi andare avanti, a farvi perdere tra rovine di città perdute, laghi di lava e canyon velenosi alla ricerca di anomalie da ripulire per indebolire le Vestigi, creature gigantesche che presidiano le varie zone presenti, legate a doppio filo con quella che sembra l'unica salvezza per Rei e la sua gente. La loro eliminazione alimenta infatti lo Starseed, una misteriosa ed enorme struttura piantata nel cuore del pianeta, forse la chiave per impedire all'Ultravuoto, un buco nero, di inglobarlo.

Un pianeta su cui le leggi della fisica non hanno più senso, in cui la gravità gioca brutti scherzi, in cui tra nuvole e piattaforme collegate tra loro da rotaie improvvisate o filamenti attivati dal giocatore risolvendo intuitivi ma intricati puzzle ambientali, si passa gran parte del tempo a sfrecciare nel cielo, alla stregua di un Sonic, ma più dinamico e stiloso. I livelli sono enormi e molto verticali, già di per sé appaganti grazie all'estetica sublime, ma resi ancor più godibili da tutta una serie di scorciatoie da attivare per semplificare la risalita nel caso di una caduta, o per muoversi più agilmente tra una porzione di mappa e l'altra.
Ogni area merita più di un giro, sia per recuperare del plasma, con cui ripristinare le celle del vuoto (che funzionano da scudo e offrono, all'atto pratico, un punto vita extra), sia per scovare figure necessarie al completamento di pochissime ma
significative missioni secondarie, preziose ai fini della lore, ma anche per l'ottenimento di armature che offrono perk extra. E il piacere di doversi ingegnare per comprendere come proseguire o come raggiungere una certa area, custode magari dei rapporti dei membri dell'equipaggio di Rei, è continuo e costante, affievolito solo da un frustrante mancato utilizzo di checkpoint intermedi. In realtà sono presenti e frequenti, ma entrano in funzione solo in caso di morte (lasciando peraltro con un solo punto vita) e non dopo un'erronea caduta da centinaia di metri di altezza, che costringe a tanta fatica per tornare in vetta.
All'ombra dei colossi
Un paradosso se messo a confronto con le imponenti ed epiche boss fight, ardue ma anch'esse permissive nel loro offrire al giocatore tutto il tempo, tra una fase e l'altra dello scontro, di setacciare l'area alla ricerca di scudi con cui tornare in azione
più forti che mai. Anche dopo aver sbagliato la sequenza di attacchi da infliggere, che si traduce in un fallimento per nulla punitivo. A metà tra Shadow of the Colossus e un frenetico e adrenalinico rhythm game, Solar Ash chiede infatti al giocatore di arrampicarsi sul dorso e sugli arti del colosso di turno, e di colpire, entro un breve lasso di tempo, dei punti nevralgici. Alcuni vanno raggiunti pattinando, scattando e saltando vertiginosamente, utilizzando il comune e unico colpo disponibile; altri sono invece più comodi da attaccare sfruttando altre due abilità di Rei, ovvero il rampino, fondamentale anche in fase di esplorazione grazie agli appigli dedicati, e lo slittamento temporale, un rallentamento del mondo circostante che permette di mirare meglio nei momenti più caotici.
È una meccanica tanto semplice - quasi un QTE modernizzato e ipervitaminizzato - e replicata in più occasioni, sia nella fase di pulizia delle anomalie sia appunto nelle boss fight, eppure dannatamente coinvolgente grazie a un ritmo folle, a una dinamicità e a una spettacolarizzazione supportati da un parco animazioni
semplicemente sublime. Un po' come tutta la già citata direzione artistica e una UX/UI da manuale, che settano nuovi standard per il settore. Per quanto infatti la telecamera a volte non riesca a tenere a bada la foga e il tumulto di ciò che accade su schermo, il giocatore riesce sempre e comunque a comprendere dove andare, grazie a un'interfaccia intelligente perfettamente integrata nell'esperienza, che spiega cosa fare e dove si trova il punto nevralgico successivo senza ingolfare il ritmo generale. Il risultato sono sequenze adrenaliniche pazzesche, in cui, uno scontro dopo l'altro, a farla da padrone è la memoria muscolare, con il cervello che non riesce più a stare al passo di Rei e della sua sovrumana agilità.
Croce e delizia
Ecco, forse anche nella sua capacità di friggere le sinapsi del giocatore, Solar Ash ricorda Hyper Light Drifter, ma anche Super Mario Galaxy e Gravity Rush nella sua capacità di giocare a testa in giù con la gravità: citazioni ludiche riuscite e ben amalgamate nell'esperienza, che fanno il paio con le menzioni della colonna sonora a un certo Vangelis, siderale e gelida come solo un pianeta prossimo all'annichilimento sa essere. Per nulla invasiva, la soundtrack sottolinea con delicatezza l'esplorazione e si fa più intensa e pomposa nei momenti più concitati. Peccato però che le lodi si fermino alla qualità delle composizioni musicali, dato che la versione PC da noi testata era funestata da bug audio abbastanza frequenti. Il team ce li ha segnalati in anticipo, insieme a termini placeholder nelle versioni tradotte (inclusa quella italiana) e qualche sporadico glitch, aggiungendo che è già pronta una patch D1 pronta a risolverli.
Per quanto concerne il secondo problema, ne abbiamo scovato solo uno realmente fastidioso nello scontro finale, fortunatamente non game-breaking e nemmeno così catastrofico, all'atto pratico. Per quanto riguarda la localizzazione italiana, i termini provvisori sono solo l'ultimo dei problemi: l'adattamento ci è parso in alcuni casi pigro, con modi e tempi verbali completamente sballati, in altri pessimo e frutto di una machine translation maldestramente revisionata (o almeno, la speranza è quella). Per capirci, "Staffetta del Vuoto" per tradurre "Voidrunner"? Seriamente?
Vorremmo chiudere con qualche riga in più sul già lodato comparto artistico, per sottolineare ulteriormente la bellezza del mare di nuvole su cui pattina Rei, il character design onirico, i colori accessi e sgargianti, la mostruosa cura riposta nei
dettagli di ambientazioni e mastodontici boss. O ancora, le animazioni fluide e morbidissime, i fondali sognanti e saturi, o anche le brevi sequenze animate in bianco e nero che impreziosiscono e sottolineano i momenti chiave della storia, giusto per citare ciò che già si è visto negli ultimi trailer pubblicati da Annapurna - publisher che ci vede sempre più lungo e che non si è fatto sfuggire anche questa perla di Preston & soci. Persino la mappa, nella sua inutile praticità (di fatto, serve solo a teletrasportarsi da un bioma all'altro), ha uno stile semplicemente stupendo: ogni minimo elemento, arrivando addirittura alle icone nei menù, ha una propria identità e motivo di esistere in questo piccolo, grande gioiello.
8.8
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