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Speciale Videogiochi
Non servono i capolavori per divertirsi con i videogiochi!

A meno di una settimana dall'uscita della nostra estesa prova di Starfield, è finalmente giunto il momento di esprimere un parere più netto e circostanziato sull'ultima fatica di Bethesda Game Studios, forgiato dopo aver trascorso un centinaio di ore nello sterminato universo che fa da sfondo all'opera. Un periodo denso di avventure indimenticabili, che strada facendo ci hanno condotto alla volta di un finale altrettanto memorabile, con un ruolo di spicco nel bilancio ludonarrativo della produzione. È proprio da questo punto che vogliamo inaugurare il nostro percorso critico, muovendoci a ritroso tra le volute di un'epopea imperfetta ma straordinariamente potente.
"La destinazione non è mai un luogo, ma un nuovo modo di vedere le cose". Queste parole, che per certi versi rappresentano un memoriale dell'esperienza umana dello scrittore Henry Miller, sono le stesse con cui avevamo aperto la nostra prima sortita dalle retrovie di Starfield, quando la meta del viaggio era ancora celata oltre l'orizzonte di un'opera tanto imponente quanto sfaccettata.
A pochi giorni da quella disamina parziale, l'aforisma di Miller è tornato a risuonare vigorosamente con i nostri pensieri, tra i riverberi di un finale ingegnoso ma intrinsecamente controverso, che probabilmente non mancherà di destare qualche discussione tra le fila dell'utenza. Dal canto nostro, pur avendo riscontrato una manciata di flessioni nel ritmo e nella composizione della trama principale, abbiamo davvero apprezzato la grande coerenza con cui Bethesda ha tornito il concetto di "viaggio" attorno al quale orbita l'esperienza, che si chiude rafforzando il suo centro di gravità e ampliandone significativamente la portata. Nel racconto imbastito dal team si trovano echi soffusi del "dasein" secondo Heiddeger e della poetica esistenzialista di Peter Handke, coautore assieme a Wim Wenders de "Il cielo sopra Berlino". Al di là dei soliti esercizi di onanismo mentale, la conclusione di Starfield apre le porte a una brillante inclusione del new game plus nel flusso diegetico della campagna, con l'obiettivo di consolidarne la visione creativa e stimolare il giocatore a proseguire il suo cammino fra le stelle.
Onde evitare di trascendere il limite tra scampolo d'analisi e spoiler molesto, lasciamo a voi il compito di contestualizzare le riflessioni di cui sopra, limitandoci ad aggiungere che il mosaico narrativo segna nel complesso un deciso passo avanti rispetto ai trascorsi dello studio, seppur non in maniera del tutto uniforme. Cullati dall'abbraccio proteiforme di un racconto corale fatto di storie grandi e piccole, è facile incappare nelle ingenuità già intraviste nei precedenti gdr di Bethesda, tra personaggi appena abbozzati e dialoghi che segnano in maniera piuttosto pretestuoso l'inizio di quest magari altrettanto triviali.
Nella stragrande maggioranza dei casi, però, anche i frantumi meno significativi hanno la capacità di contribuire al valore generale dell'esperienza, di aggiungere note di colore e sfumature intimistiche ad un affresco narrativo denso di pennellate ben più vivide, quelle impresse da un ricco catalogo di missioni tra le migliori mai scritte da Bethesda Game Studios. Senza aprire troppi spiragli sull'avventura, possiamo anticiparvi che la diversità degli incarichi ci ha sorpreso in positivo, così come la tendenza di alcuni a germogliare in questline sorprendentemente profonde e variegate.
Strada facendo capiterà anche di trovarsi davanti a bivi decisionali di grande impatto, talvolta con un peso significativo sul prosieguo della campagna, ma nella gran parte dei casi le conseguenze delle nostre azioni rimarranno isolate all'interno di una specifica catena di missioni, nel quadro di un universo che solo di rado si dimostra davvero reattivo di fronte alla condotta del protagonista. Sulle stesse note, non aspettatevi grandi variazioni rispetto al classico dualismo "buono-cattivo", perché in Starfield è piuttosto raro che le vicende si muovano convintamente negli interstizi grigi tra i poli morali.
Malgrado tutto, però, nel corso del nostro pellegrinaggio tra gli astri non abbiamo mai percepito questa limitata arborescenza - tipica dei giochi Bethesda - come un reale limite alla gradevolezza dell'insieme o alla discrezionalità concessa all'utente. D'altronde uno dei cardini del titolo è proprio la grande libertà offerta al giocatore nel tracciare il proprio percorso verso i titoli di coda, come sempre in maniera non lineare e in risposta ad una massiccia pletora di stimoli, matrice di quella spinta alla diversione che da sempre rende speciali i titoli dello sviluppatore. Una nota raccolta per caso, un frammento di conversazione captato girovagando tra le vie di un insediamento, una comunicazione radio intercettata nello spazio profondo:
Starfield offre agli utenti una raccolta sterminata di occasioni per allontanarsi dalla strada maestra, per perdersi in un dedalo di sottotrame in grado di arricchire il tesoretto della narrazione con nuovi ritagli di lore e memorie preziose. A rendere ancor più allettanti queste digressioni ci pensa il grande talento di Bethesda per la costruzione di mondi tanto affascinanti quanto poliedrici, stracolmi di dettagli capaci di catalizzare l'attenzione degli avventurieri. A tal proposito, ci preme sottolineare come la diversificazione delle location principali, specchio dei grandi divari culturali che separano le varie fazioni dell'universo, abbia un ruolo di spicco nel nutrire la malia di Starfield, che si riflette anche in una caratterizzazione dei personaggi generalmente efficace, con qualche picco d'eccellenza. Se fino a questo punto l'esclusiva di Microsoft sembra dunque trarre il meglio dalla pesante eredità ruolistica di Fallout e The Elder Scrolls, l'assetto e le ambizioni del titolo determinano una fondamentale divergenza tra Starfield e i suoi predecessori. Una dissonanza che, col passare delle ore, finisce per adulterare il sapore di uno degli ingredienti chiave della ricetta ludica di Bethesda: l'esplorazione.
Come anticipato nel nostro precedente articolo, in Starfield l'astronave del giocatore viene gestita come una sorta di base mobile pesantemente armata, che al di fuori dei combattimenti spaziali serve da punto di partenza per gli spostamenti rapidi tra i vari punti d'interesse del cosmo.
La struttura del titolo non concede deviazioni rispetto a questo precetto: la galassia è porzionata in sezioni relativamente contenute, che in genere funzionano da zone di passaggio per il successivo "salto" o per l'approdo planetario. Sebbene le aree in questione, disposte attorno ai diversi corpi celesti, possano ospitare attività di vario tipo (incontri più o meno casuali con altri vascelli, l'assalto di compagini nemiche, abbordaggi, ecc.), per buona parte del tempo si comportano come semplici tappe tra un viaggio rapido e il seguente. Contestualmente, muoversi "manualmente" verso un astro vicino a quello appena raggiunto è un'impresa quantomeno ardua, visto che i tempi di percorrenza sarebbero nell'ordine delle decine di ore. Passando all'esplorazione dei pianeti, Starfield ospita un buon numero di scenari istanziati e curati in ogni dettaglio, tra cui figurano le principali città del gioco e una generosa quantità di località secondarie, che generalmente fanno da teatro a specifiche questline. Per quanto riguarda metropoli come New Atlantis o Neon, i crocevia di gran parte delle attività incluse nell'offerta ludica, queste sono frammentate in una moltitudine di sezioni più o meno ampie (può anche trattarsi di una singola stanza) e separate da caricamenti.
Nel caso decidiate invece di atterrare in un qualsiasi altro punto di un determinato pianeta, vi troverete al centro di un quadrante (con limiti invalicabili) generato proceduralmente in base alle caratteristiche di quel mondo, circondati da una quota variabile di siti di rilievo che purtroppo dovrete necessariamente raggiungere a piedi, magari utilizzando il vostro zaino-razzo per sveltire la traversata e ridurre i rischi derivanti dai rigori di un bioma particolarmente ostile.
Che siano rovine misteriose, vecchie istallazioni scientifiche, avamposti minerari, piccoli insediamenti o basi militari, ci preme precisare che le location dislocate all'interno di ciascuna mappa procedurale sono sì "fatte a mano", ma anche tratte da un assortimento limitato di strutture preconfezionate. Ciò vuol dire che periodicamente il giocatore si ritroverà ad attraversare i medesimi ambienti, perlopiù privi di alterazioni planimetriche e difformità nella disposizione di ninnoli, mobilio o depositi di loot.
Se in prima battuta questa sistematica reiterazione latita sotto la soglia percettiva, senza scalfire la fascinazione suscitata dagli indiscutibili pregi del worldbuilding, col passare delle ore l'inghippo si farà sempre più manifesto, fino a scadere nel tedioso quando anche la missione principale ci porterà a visitare scenari divenuti nel tempo più che familiari. Sebbene quest'ultima evenienza non sia poi così frequente, è indubbio come un tale assetto ciclico finisca per disincentivare la perlustrazione planetaria e affievolire il piacere della scoperta, complice il fisiologico ridimensionamento di una delle connotazioni tipiche delle proposte "made in Bethesda", ovvero la tendenza a titillare la curiosità degli utenti con un bel patrimonio di narrazione ambientale.
L'incontenibile gigantismo del progetto di Todd Howard, a braccetto con i conclamanti limiti del Creation Engine, porta quindi con sé almeno un paio di note dolenti: in primis abbiamo una conformazione fin troppo frammentaria del mondo di gioco, tenuta assieme da una serie infinita di schermate di caricamento, e in secondo luogo una revisione non proprio felice delle dinamiche di esplorazione, che rapidamente scadono nella routine finendo col sottolineare la sostanziale vacuità di molti, moltissimi pianeti. Queste considerazioni vanno però inquadrate nella cornice di un titolo che, come rimarcato in precedenza, riesce comunque a bombardare il giocatore con una dose monumentale di stimoli che, tra missioni primarie, incarichi secondari, attività sistemiche e incontri fortuiti, si traducono in decine e decine d'ore di divertimento. Una fitta rete di opportunità ludiche che, come detto, si dipana a partire dai maggiori punti d'interesse del gioco, a sostegno di una mole contenutistica che per qualità e proporzioni stabilisce un nuovo apogeo per le produzioni di Bethesda.
Seppur non impeccabile, anche la concertazione dei sistemi ludici in seno al gameplay ci è parsa efficace e ben congegnata, a partire da una progressione che, di livello in livello, permette di sbloccare bonus passivi, utili complementi per le meccaniche di base (come l'indicatore della visibilità durante le fasi stealth) e abilità in grado di alterare in maniera consistente la gamma degli approcci a disposizione del giocatore.
La necessità di completare delle semplici sfide per accedere alla versione potenziata di ciascun perk delinea un connubio alquanto funzionale tra il più classico dei paradigmi ruolistici, quello basato sull'accumulo di esperienza e sulla distribuzione di punti abilità, ed il modello utilizzato negli ultimi capitoli della saga di The Elder Scrolls, in cui la crescita di un parametro era legata al suo utilizzo. C'è qualche asperità che meriterebbe una revisione, come ad esempio la necessità di uccidere nemici per migliorare la furtività, ma in linea di massima il meccanismo funziona a dovere
e conduce con naturalezza a concentrarsi sui tratti più in armonia col proprio stile di gioco, senza precludere qualche divagazione più sperimentale. Va poi detto - a mezza bocca - che le dinamiche di progressione di Starfield sono tarate non solo per adattarsi all'eventualità di New Game Plus, ma anche per avvalorarne i presupposti diegetici. Senza indugiare oltre su questo punto, vi confermiamo che le scelte effettuate tra le maglie del sistema di avanzamento hanno dunque un impatto considerevole sul bilancio dell'esperienza, tutto sommato coerente con la rotta libertaria tracciata dal team di sviluppo. Tanto per intenderci, se è chiaro che ignorare del tutto la categoria dedicata alle abilità combattive non è proprio la migliore delle idee, dato che non sempre sarà possibile cavarsela a suon di chiacchiere, nulla costringe i giocatori a investire più di qualche punto nella propria formazione guerresca. Parlando di sparatorie, il nostro parere sul gunplay di Starfield non ha subito particolari mutamenti rispetto all'ultima disamina: sebbene il feedback delle armi sia un po' "morbido" e disomogeneo, e si noti qualche piccola imprecisione nella regolazione delle hitbox, lo shooting risulta nel complesso gradevole, conforme a quelli che sono i requisiti di un prodotto di questo genere.
La varietà dell'arsenale contribuisce poi a rendere più vivace e godibile questo aspetto del gameplay, permettendo al protagonista di mettere le mani su una gamma decisamente ampia di bocche da fuoco ai diversi livelli di rarità, cui in genere corrisponde una quota più o meno abbondante di modifiche estetiche ed effetti che incidono in maniera relativa sulla loro efficienza letale. Anche le tute spaziali, i caschi e i boost pack offrono un simile spettro di benefici, che influiscono su valori come la resistenza ai vari tipi di danno o la capacità di sopportare le avversità ambientali.
Sfruttando il sistema di crafting è inoltre possibile personalizzare ognuno dei pezzi d'equipaggiamento ottenuti, con limitazioni la cui entità dipende soprattutto dalle abilità sbloccate dal protagonista. In base alle vostre vocazioni, potrete ampliare in maniera consistente l'elenco degli elementi che sarà possibile creare presso gli appositi banchi da lavoro, a patto di avere la giusta quantità di risorse. Queste possono essere accumulate con il looting o raccolte durante l'esplorazione dei pianeti, sfruttando un frantumatore laser per estrarre i materiali dai depositi in superficie. Un'alternativa ben più efficiente è quella di costruire pezzo dopo pezzo un avamposto minerario per estrarre le risorse direttamente dal sottosuolo, immagazzinarle e instradarle verso un altro insediamento eletto a centro manifatturiero, convertendo poi ogni eccedenza in crediti sonanti.
Pur essendo del tutto opzionali, insomma, le meccaniche di crafting offerte da Starfield possono arricchire in modo significativo l'esperienza di gioco, aggiungendo al gameplay sfaccettature potenzialmente molto fruttuose e appaganti. Un fattore quest'ultimo legato a doppio filo a dinamiche di costruzione che, specialmente nel caso degli insediamenti, risultano molto più agevoli e flessibili rispetto ai precedenti tentativi di Bethesda. Dopo aver preso un po' più di dimestichezza con l'editor delle astronavi, possiamo inoltre dire di aver in parte rivalutato la fruibilità di quest'ultimo - spettacolare - tassello creativo, che comunque fatica a nascondere i difetti di un'interfaccia utente raffazzonata e manchevole.
Quasi ogni componente dell'UI, dai menu alle mappe, presenta infatti problematiche di vario genere, figlie di un design grossolano che ne intacca la leggibilità o rende inutilmente farraginosa la navigazione. L'assetto delle mappe locali, ad esempio, non fornisce alcuna indicazione davvero rilevante, in particolar modo quando ci si trova ad attraversare uno scenario metropolitano. Elementi come la gestione macchinosa dell'inventario dei companion, la rigida impostazione registica dei dialoghi, la scarsa reattività degli NPC e l'IA talvolta cagionevole degli avversari rappresentano poi i lasciti più scomodi della tradizione di Bethesda, legata a doppio filo alle caratteristiche del suo engine proprietario.
Senza tornare ad approfondire gli aspetti più tecnici della proposta, già ampiamente dissezionati nella nostra "road to review", ci limitiamo a dire che il Creation Engine 2 rappresenta comunque un deciso passo avanti rispetto alla sua precedente iterazione e, a braccetto con una una direzione artistica in grande spolvero, si dimostra in grado di allietare la vista con un caleidoscopio di scorci suggestivi. La qualità di queste istantanee può però variare notevolmente a seconda del contesto, generando una certa inconsistenza nella resa corale del comparto grafico.
Parlando di inconsistenza, è innegabile come gli sviluppatori abbiano ancora ampi margini di manovra per migliorare tanto l'ottimizzazione quanto la scalabilità del gioco su PC, specialmente per quel che riguarda le configurazioni costruite attorno alle GPU di Nvidia. Le prestazioni su Xbox Series X mostrano invece flessioni meno rilevanti, al netto di qualche fluttuazione del frame rate che comunque non arriva mai a compromettere la godibilità del gameplay. Malgrado tutte le sue imperfezioni, asperità e dissonanze, Starfield si conferma però un titolo il cui valore complessivo supera agilmente la somma delle sue singole componenti. L'epopea cosmica di Bethesda è un'esperienza a tratti totalizzante, più che capace di intrappolare il giocatore in una ragnatela di preziose diversioni e gesta memorabili, al centro di un'offerta contenutistica semplicemente pantagruelica. Con lo sguardo fisso tra le stelle, insomma, è più facile chiudere un occhio sui difetti di una produzione che, con qualche guizzo in più, avrebbe potuto varcare senza tentennamenti la soglia dell'eccellenza.
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