The Dark Pictures Little Hope Recensione: la caccia alle streghe è aperta

Arriva il secondo episodio dell'antologia dell'orrore dagli autori di Until Dawn: ci avrà fatto tremare di paura?

The Dark Pictures Anthology Little Hope 4K
Recensione: PlayStation 4 Pro
Articolo a cura di
Disponibile per
  • Pc
  • PS4
  • Xbox One
  • Switch
  • Xbox One X
  • PS4 Pro
  • Il Male ha molte forme. Può avere il volto di una strega, di un fanatico religioso, di un folle predicatore, di una bambina. Persino di una bambola. Il Diavolo è ovunque, e non è possibile sfuggirgli (a meno che non siate lo Slayer col suo BFG9000, ma per quello vi rimandiamo alla nostra recensione di DOOM Eternal) . Tra la fitta nebbia della cittadina di Little Hope, dimenticata da Dio e dagli uomini, il Demonio serpeggia, si annida nelle le fogne, nelle case diroccate, nelle Chiese, nelle menti. Il fuoco non lo scaccia, né purifica gli spiriti di quelle povere anime che, sul rogo, sono morte per causa sua.

    Un tempo, al tramonto del 1600, Little Hope era, a quanto si racconta, un covo di megere, concubine di Satana, da impiccare, annegare, bruciare. E così negli anni, secoli dopo, quella città di provincia si è tramutata in un luogo che, anche se privo della fama di Salem, ha attirato un buon numero di curiosi e, per un po', ha persino prosperato su questo macabro passato. Ora di Little Hope non resta che la foschia, e qualche ricordo da dimenticare. Come l'incendio in cui, nel 1972, un'intera famiglia perse la vita. Forse a causa di una bambola.

    Benvenuti, signore e signori, nel secondo, lugubre capitolo della The Dark Pictures Anthology, la nuova esperienza interattiva degli autori di SuperMassive Games, ancora una volta alle prese con il genere a loro più congeniale: l'orrore in ogni sua "forma". Come già avvenuto nel primo episodio (a proposito, eccovi la recensione di Man of Medan), anche Little Hope reinterpreta a modo suo un sottogenere dell'horror cinematografico, nello specifico quello "stregonesco", fatto di possessioni, rituali satanici e tanti, tantissimi omicidi. La peculiarità, così come nell'avventura della nave Ourang Medan, risiede nella possibilità di vivere questo incubo in compagnia di altri giocatori. Magari per provare ad avere meno paura.

    Storie di famiglie e di famigli

    Tanti anni dopo la tragedia che ha colpito la sfortunata famiglia, un pullman con quattro studenti universitari in gita a Little Hope, accompagnati dal loro professore, va fuori strada a causa di un brusco incidente. Risvegliatisi nel mezzo del nulla, in una notte divorata dalla nebbia, i cinque protagonisti, ognuno dotato - come i personaggi di Man of Medan - di specifiche caratteristiche comportamentali, provano a trovare una via di fuga, mentre sono braccati da presenze sovrannaturali. Tra queste c'è anche una bambina, con la sua bambola: una volta entrati in contatto con questi spiriti, gli studenti vengono trasportati nel 1692, nel pieno periodo della caccia alle Streghe.

    Per un lasso di tempo limitato, prima di ritornare nel presente, possono interagire con gli abitanti del diciassettesimo secolo, tutti stranamente identici a loro, così da scoprire quale mistero si cela dietro alle esecuzioni avvenute a Little Hope. Strappare il velo di dubbio attorno al passato basterà a salvargli la vita? In un continuo andirivieni tra i giorni nostri e la buia epoca dell'oscurantismo, l'avventura ci condurrà anche tra i meandri della psicologia dei protagonisti, dei quali potremo anche plasmare il temperamento. In base alle nostre scelte, del resto, avremo la possibilità di sbloccare delle indoli caratteriali, che influenzeranno non solo il rapporto con gli altri personaggi, ma anche l'andamento del racconto e che, nei casi più estremi, potranno persino condizionare la salvezza del gruppo.

    Sotto questo aspetto, Little Hope segue a menadito l'impianto ludico e narrativo di Man of Medan, ponendoci dinanzi a bivi che cambieranno in maniera significativa il prosieguo della vicenda. L'impressione, in questo caso, è che maggiore importanza sia stata data alle relazioni tra i protagonisti in rapporto al primo capitolo della raccolta, orchestrando una trama che dà molta rilevanza al concetto di legame che unisce i membri di un gruppo. Fiducia, supporto e comprensione sono gli elementi chiave di una storia più inquietante e subdola di quella di Man of Medan, ma non per questo meglio sceneggiata.

    L'atmosfera di Little Hope è opprimente, da horror d'alta classe, con qualche rimando nemmeno troppo velato a Silent Hill: l'avventura di SuperMassive Games propone a tratti soluzioni visive di indubbio impatto, viscerali e ansiogene, pregne di un'inquietudine costantemente in bilico tra la tachicardia e lo spavento puro. Eppure è la sceneggiatura a non essere all'altezza: le linee di dialogo sono spesso assai banali, la caratterizzazione dei personaggi a tratti un po' troppo superficiale, e gli scambi di battute tra i protagonisti arranca in più occasioni.

    Con una scrittura più affilata, Little Hope avrebbe potuto ambire a vette qualitative maggiormente elevate, anche perché alcuni risvolti del racconto, soprattutto nelle fasi conclusive, imbastiscono colpi di scena più intelligenti e riusciti del capitolo precedente. È un peccato che gli autori non abbiano prestato alla sceneggiatura la medesima attenzione riposta nella costruzione dell'atmosfera, e che in alcuni frangenti si siano palesemente impigriti, scegliendo di ricorrere allo spavento facile, tramite un uso eccessivo dei jump scare che, dopo una reiterazione dei medesimi stilemi, cominciano inevitabilmente a perdere d'efficacia.

    Si trema e si muore insieme

    Come da tradizione del genere, anche in Little Hope dovremo controllare, a seconda delle esigenze del racconto, i vari protagonisti, alternando fasi dialogiche abbastanza lunghe con momenti maggiormente interattivi, legati all'esplorazione e alle sequenze in cui i QTE la fanno da padrone. Quando il gioco ci concede un po' di libertà di movimento lungo le ambientazioni, avremo anche la facoltà di analizzare le aree di gioco, tutte assai ristrette, alla ricerca di piccoli collezionabili o di informazioni che ampliano la lore della produzione e, come avveniva in Man of Medan, ci forniscono qualche indizio utile a farci intuire quale potrebbe essere la soluzione del mistero.

    È in questa anima quasi investigativa che si annida una delle migliori trovate del team, che centellina accuratamente le varie prove per accompagnare i giocatori più intuitivi verso la piena comprensione della vicenda prima che giungano i titoli di coda. Peccato solo che la libertà di spostamento sia comunque limitata da aree parecchio claustrofobiche e da una gestione dell'inquadratura che, nel suo voler essere molto autoriale, alle volte non fornisce la giusta prospettiva per orientare lo sguardo dell'utente. Oltre agli indizi, nelle ambientazioni potremo anche rinvenire speciali cartoline definite "Presagi di Morte": il gioco ci fornirà così degli aiuti visivi, un rapido scorcio verso il futuro volto a suggerirci quali azioni potrebbero condurre alla prematura dipartita dei protagonisti.

    Sotto questo fronte, Little Hope non si distanzia né da Man of Medan, né da Until Dawn (per approfondire, la recensione di Until Dawn è a un click da voi), proponendo un avanzamento abbastanza ben bilanciato tra dialoghi, azione e puro terrore. Se si esclude un semplicissimo minigioco in cui premere col giusto ritmo alcuni tasti per mantenere la calma nei frangenti più tesi, i QTE si dimostrano estremamente basilari nel concept, e anche piuttosto semplici da completare. Il senso di sfida di Little Hope ci è parso più clemente in rapporto a quello di Man of Medan, e portare in salvo tutti i personaggi potrebbe rivelarsi più semplice del previsto. Dove il gioco perde in complessità ne guadagna in grado di tensione: le scelte che compiremo si muovono su una scala di moralità più ambigua, e sono molti i gesti, anche minimi, che potrebbero mutare quasi radicalmente lo sviluppo della storia.

    Se a giocare insieme a voi è un'altra persona, poi, le dinamiche relazionali tra i personaggi potrebbero del tutto sfuggire al vostro controllo, causando diramazioni inaspettate. Al pari del capitolo precedente, in Little Hope potremo affrontare l'avventura con due opzioni dedicate al multiplayer locale e online: insieme ad altri utenti riusciremo anche ad assistere a sequenze del tutto inedite, che nella modalità in singolo ci sono precluse, vere porzioni aggiuntive di trama che chiariscono alcuni punti del racconto. Un simile approccio alla narrazione, come in Man of Medan, è decisamente intrigante, e apre le porte alla rigiocabilità di un'avventura che, per essere completata la prima volta, non vi poterà via più di cinque ore.

    Le nebbie dell'Unreal Engine

    Little Hope è una cittadina dove non filtra neppure la luce della luna. La nebbia è talmente fitta che non si vede a un palmo dal naso: qui le ombre giocano brutti scherzi, mostrando immagini che forse non esistono, o che invece, magari, sono fin troppo reali. Per dar corpo alle paure dei protagonisti, Supermassive Games sfrutta l'Unreal Engine, la cui qualità in termini di dettaglio e ottimizzazione è equiparabile a quanto svolto su Man of Medan.

    Ne consegue un'effettistica di buon livello e in generale un'ambientazione sufficientemente dettagliata, mentre le animazioni dei personaggi e le loro espressività facciali, soprattutto nei primi piani, avrebbero meritato una rifinitura maggiore. Si nota d'altro canto un miglioramento nella regia e nel montaggio che, per quanto non perfetti, contribuiscono a rendere il racconto più fluido e meno raffazzonato. E mentre il doppiaggio in italiano si dimostra nuovamente inferiore a quello inglese, l'accompagnamento sonoro ha saputo confermarsi un terrificante e suggestivo compagno di viaggio.

    The Dark Pictures Anthology: Little Hope The Dark Pictures Anthology: Little HopeVersione Analizzata PlayStation 4 ProIl secondo tassello della The Dark Pictures Anthology è un prodotto in totale continuità con l’offerta ludica e contenutistica di Man of Medan. Ancora una volta è la componente multiplayer della produzione l’elemento distintivo di un’opera che altrimenti non si distanzierebbe minimamente dai canoni del genere: vissuta in compagnia, l’avventura assume un sapore inedito, anche se - prevedibilmente - parlare con gli amici e comunicare con loro durante la coop in locale smorza, per forza di cose, la palpabile inquietudine che si avverte nella modalità in singolo. Little Hope, d’altronde, è un’esperienza capace quasi sempre di garantire un buon grado di tensione: al netto di una sceneggiatura traballante e di un uso smodato dei jump scare, il gioco di Supermassive sa come creare un’atmosfera horror, rielaborandone i cliché e reinterpretandoli con un piglio intelligente. Insomma, questo secondo capitolo conserva inalterato il livello medio qualitativo dell’Antologia, e la nostra “piccola speranza” è che simile standard venga quantomeno mantenuto (e magari superato) anche per i futuri racconti dell’orrore.

    7.5

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