The Land of Pain Recensione: un'avventura ispirata ai racconti di Lovecraft

Sviluppato da una sola persona, The Land of Pain è un'avventura horror tutta italiana ispirata alle atmosfere di H.P. Lovecraft.

The Land of Pain Recensione: un'avventura ispirata ai racconti di Lovecraft
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  • Oggigiorno sviluppare videogiochi è diventata una cosa dannatamente seria: da una parte, infatti, i titoli che prima potevano essere creati da un team di venti persone ora ne richiedono dieci volte di più, la tecnologia con cui realizzarli si rivela sempre più complessa e gli investimenti sono lievitati. D'altro canto, molti motori grafici sono stati resi disponibili per il grande pubblico, in modo tale che anche gli utenti meno esperti possano mettere le mani sull'ultima versione dell'Unreal Engine, di Unity o del CryEngine. Sono comparsi così giochi sviluppati da team sparuti, fan remake di vecchi classici e chi più ne ha più ne metta. The Land of Pain è un progetto nato proprio dalla passione di un solo sviluppatore italiano, Alessandro Guzzo, che ha deciso di sfruttare le sua abilità per imbastire un'avventura horror con forti ispirazioni lovecraftiane. Come se la sarà cavata?

    One man band

    The Land of Pain ci spedisce in un rigoglioso bosco di montagna: il nostro protagonista è intenzionato a raggiungere una vecchia baita dove passare una breve vacanza all'insegna del relax più assoluto. La sua lunga camminata in compagnia del cinguettio degli uccelli lo conduce ad una piccola casupola nei pressi di un laghetto, un luogo che ispira profonda calma e serenità. Tempo di accendere un fuoco e di recuperare un po' d'acqua al pozzo che succede l'incredibile: un'enorme sfera appare vicino alla baita. Non appena si avvicina per toccarla, il protagonista si ritrova in un altro bosco, oscuro e piovoso. Una "terra del dolore" in cui accadono eventi inspiegabili e strani omicidi, e dove campeggiano strane figure di un mostro molto simile a Cthulhu.
    Le ispirazioni ai racconti di Lovecraft sono evidenti fin da subito: i testi sparsi per gli ambienti di gioco parlano di un Grande Antico, mentre le atmosfere sembrano uscite dritte dritte da uno dei libri dello scrittore statunitense. L'intreccio narrativo, tuttavia, non riesce a creare delle premesse interessanti e si perde in uno sviluppo privo di mordente. La scrittura è piatta, scolastica e prevedibile, e la conclusione giunge senza portare con sé nessun alito di sorpresa. Anche per colpa di una narrativa scontata e superficiale, le atmosfere di The Land of Pain ne escono parzialmente compromesse. Le pareti imbrattate di sangue, i terribili strumenti di tortura affiancati da cadaveri mutilati e da scheletri scarnificati si parano davanti a noi privi di quel sentimento orrorifico che invece vorrebbero evocare.
    Il punto più alto della produzione, e quello che la salva da un capitombolo rumoroso, risiede nella cura nella (ri)costruzione degli ambienti.

    Molti dei luoghi presenti nel gioco sono infatti ispirati all'Altopiano di Asiago e al comune di Enego, in provincia di Vicenza, posti in cui l'autore ha passato la sua infanzia e dove è tornato per scattare delle foto da digitalizzare attraverso la tecnica della fotogrammetria. La fusione tra reale e fantastico dà vita a degli scorci belli da vedere e da esplorare, senza veri e propri elementi con cui interagire (solo pochi oggetti e qualche segreto collezionabile), ma pur sempre d'impatto. Aguzzando bene la vista si possono notare delle texture poco dettagliate e qualche elemento, soprattutto negli interni, non proprio in linea con la qualità di tutto il resto: aspetti, tuttavia, su cui si può soprassedere senza problemi. Non fosse per l'ottimo sfruttamento del CryEngine, The Land of Pain avrebbe dovuto rinunciare anche a quell'ultima oncia d'atmosfera che risiede in alcuni panorami illuminati dalla fioca luce della lanterna.
    Il gioco di Alessandro Guzzo riprende anche alcune soluzioni ludiche che portano la memoria ai titoli di Frictional Games, la saga di Penumbra in primis. I semplici enigmi proposti possono essere risolti raccogliendo uno o due oggetti: la progressione è molto lineare e difficilmente capiterà di rimanere incartati e senza nessun indizio su come procedere. La grande facilità nel dipanare le matasse spegne anche quel barlume di piacevolezza che avrebbe potuto accendersi da una struttura un po' più curata e stratificata, riempiendo la progressione di ulteriori tempi morti. Quando non sopraggiunge la noia arriva invece la perplessità per come sono stati gestiti gli inseguimenti con l'unica minaccia presente nell'avventura. Non che sia difficile sfuggirle, ma la struttura sempre uguale e la prolissità delle situazioni di pericolo sono fattori che ci hanno impedito di apprezzare queste, fortunatamente non troppo numerose, fasi di gioco.

    In ultimo, abbiamo trovato il protagonista un po' troppo "atletico" considerato il tipo di avventura in questione: i frangenti più d'atmosfera e le fasi d'esplorazione avrebbero infatti necessitato di un sistema di movimento meno affine a quello di uno sparatutto in prima persona, in cui non esiste consumo di stamina ed è possibile muoversi come un coniglio saltellante. Una soluzione di questo tipo, peraltro, avrebbe reso più coinvolgenti anche le fasi con il mostro alle nostre calcagna, il quale può essere seminato fin troppo semplicemente grazie alle nostre doti da centometrista.

    The Land of Pain The Land of PainVersione Analizzata PCSe consideriamo che dietro a The Land of Pain c’è un solo uomo, non si può non rimanere sorpresi dal lavoro fatto, soprattutto in termini visivi. L’avventura di Alessandro Guzzo, tuttavia, è un gioco che non ha molto da offrire oltre a qualche scorcio ed atmosfera apprezzabile: una narrativa piatta e scontata accompagna un’infrastruttura ludica un po' superficiale, che non riesce ad impedire al ritmo di collassare già dai primi attimi. The Land of Pain scorre piuttosto rapidamente nelle sue circa quattro ore di durata, ma non porta con sé nessun sedimento.

    6.2

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