The Last Faith Recensione: echi di Bloodborne, ma si poteva fare di più

Non manca davvero nulla: una bella pixel art, boss fight molto impegnative e dungeon labirintici da esplorare.

The Last Faith Recensione: echi di Bloodborne, ma si poteva fare di più
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Disponibile per
  • Pc
  • PS4
  • Xbox One
  • Switch
  • Xbox One X
  • PS4 Pro
  • Lo sposalizio tra soulslike e metroidvania in 2D ha portato alla nascita di numerosi successi negli ultimi anni, come Blasphemous e il suo recente sequel (qui la recensione di Blasphemous 2). Gli sviluppatori dello studio Kumi Souls Games hanno provato a replicare la verve stilistica a base di pixel di quest'ultimo con The Last Faith.

    Il gioco introduce nell'equazione anche l'estetica gotica e le vibrazioni "sanguigne" di Bloodborne. A una prima occhiata sembra non mancare nulla: una buona pixel art, boss fight importanti e dungeon labirintici da esplorare. Tuttavia il risultato, pur se discreto, è meno soddisfacente del previsto a causa di un bilanciamento della difficoltà non ottimale e di un level design non sempre all'altezza.

    Una partenza gotica promettente

    Il primo impatto con The Last Faith è stato positivo. La storia del protagonista, un guerriero senza memoria di nome Eric, come da tradizione funge più da pretesto per esplorare il mondo di gioco che da traino narrativo principale. Se deciderete di proseguire nell'avventura fino in fondo sarà merito della lore, interessante anche se a tratti derivativa, descritta da classici dialoghi (in inglese) e note testuali nascoste.

    Eric si scopre colpito da una malattia del sangue che gli garantisce sì una forza sovrumana, ma anche pesanti effetti collaterali. Dopo aver assistito alle cinematiche introduttive in pixel art, ci siamo perciò messi di buona lena per sopravvivere, sfruttando ogni mezzo a nostra disposizione. Presi da un'iniziale euforia ci siamo lanciati contro il primo, semplice Boss del tutorial, una enorme creatura di bloodborniana memoria, che abbiamo sconfitto con facilità. Subito dopo ecco comparire i primi NPC disposti ad aiutarci, con le loro frasi criptiche piene di rimandi a questa o quella città maledetta. Una nobildonna seduta su una carrozza si offre di migliorare le nostre statistiche, ma solo se la trattiamo in modo adeguato al suo rango. Invece, un'inquietante anziana curva su un passeggino vuoto ci assegna il compito di trovare un oggetto chissà dove, e un maggiordomo ci regala la chiave utile per avanzare oltre l'area iniziale. Non senza averci prima ricordato, tutti e tre, che il nostro sangue è corrotto e siamo destinati a diventare belve orribili, come la maggior parte degli esseri umani con cui entreremo in contatto. Gentilissimi, non c'è che dire.

    Lungo tutta la campagna principale la scrittura funziona e i personaggi incontrati si rivelano intriganti al punto giusto. Tuttavia il loro ruolo è solo quello di colorare il racconto di folklore, senza grossi suggerimenti sul modo corretto di proseguire.

    Capita spesso di perdersi nel mondo di The Last Faith, e in questi casi le parole di un personaggio alleato avrebbero potuto fare la differenza, indirizzandoci, anche con qualche criptico indizio, verso la meta. Le loro storie vaghe e i rimandi misteriosi con cui comunicano, invece, pennellano la lore, ma non sono di chissà quale utilità pratica.

    La pixel art

    La pixel art di The Last Faith è di buona qualità. Offre un colpo d'occhio evocativo, tratteggia con dovizia di particolari gli svettanti design gotici affollati da dozzine di nemici diversi e arredi distruttibili.

    Siamo comunque distanti dai vibranti e profondissimi scorci di Blasphemous. La varietà di biomi è soddisfacente, anche se alcuni non sembrano sempre avere grande attinenza col contesto, e sembrano inseriti più in nome della diversificazione che dell'omogeneità. La mappa è generalmente interconnessa da numerose scorciatoie e quando poi ci si imbatte in un vicolo cieco, basta usare i checkpoint per far teletrasportare Eric altrove. In merito alla progettazione degli spazi però The Last Faith ci ha talvolta deluso e useremo le grotte congelate per andare più nello specifico. Il problema è che, una volta entrati nei freddi dedali del bioma, si può uscire solo raggiungendo un dato checkpoint posto alla fine di un percorso molto impegnativo, o rinunciando in toto ad affrontare la sfida e cercando altre strade da imboccare. Oltretutto, le grotte conducono a una Boss Fight davvero dura, soprattutto per quel momento dell'avventura.

    Quando è toccato a noi superarla, il grinding di esperienza e livelli è stato inevitabile, altrimenti non avremmo mai potuto avanzare oltre l'enorme drago di ossa con il cranio umano che ci si parava davanti. È accaduto lo stesso anche in seguito, di fronte a molti altri dei gatekeeper più importanti.

    Avremmo chiuso un occhio se con il nostro stile di gioco fossimo stati in parte responsabili, "sottolivellati" perché avevamo saltato troppi nemici anziché abbatterli. Tuttavia non era questo il caso: anzi, ogni volta che ci si presentava l'occasione abbiamo sconfitto tutti gli avversari nel quadro, senza perdere la preziosa valuta accumulata e usandola per migliorare le statistiche del nostro guerriero. In altre parole, crediamo che il team avrebbe dovuto svolgere un lavoro più attento nel bilanciare il livello di sfida.

    Come in ogni buon metroidvania, infine, non potevano mancare gli strumenti, divisi tra consumabili o "eterni". Questi ultimi sono sempre chiavi o abilità particolari che consentono di superare ostacoli specifici: muri da arrampicata, blocchi di marmo pesantissimi, strapiombi molto lunghi per sfoggiare i salti più estesi ecc. Il problema è che quelli esauribili sono elargiti al giocatore con troppa parsimonia, mentre gli altri sono eccessivamente distanti tra loro.

    Prima di trovare lo strumento con cui spostare i massi abbiamo incontrato: un paio di pareti troppo alte, vari punti su cui, in seguito, ci saremmo potuti appendere per salire ai piani alti e almeno altri tre "ostacoli in stile metroidvania" simili. Dal momento che sulla mappa non sono adeguatamente segnalati, tenerli a mente tutti per tornarci in seguito può diventare un'attività frustrante, specie se si scopre che nascondevano solo consumabili di scarso valore.

    Difficile o frustrante?

    Non si può dire che il sistema di combattimento di The Last Faith non funzioni, perché non è così. Anche se i movimenti del protagonista sono volutamente un po' pesanti, Eric è comunque abilissimo a schivare e saltare in giro, i comandi sono responsivi e non c'è l'ombra di un rallentamento. I colpi all'arma bianca sono tutti dotati di una marcata fisicità e i moveset di ciascuna delle armi equipaggiabili sono ben diversificati.

    Ci piace anche che l'hitbox coincida con le parti effettivamente taglienti dello strumento: per abbattere i nemici con una lunga ascia bisogna trovarsi a una certa distanza, per non dare loro in testa solo il manico. Le armi da fuoco sono un po' situazionali e legate a un sistema di proiettili consumabili noiosi da accumulare, ma aggiungono un elemento di strategia alle lotte. Anche le magie sono tante e quasi tutte efficaci, a patto di trovarle nei forzieri appositi e di essere stregoni provetti. Le statistiche sono sempre disponibili per qualunque build ibrida, ma all'inizio dell'avventura è possibile selezionare una classe di partenza specifica fra quattro: una "all round" adatta a tutto e le altre rispettivamente votate alla forza, alla destrezza e alla magia. Quest'ultima - l'astrologo - è contemporaneamente la scelta più forte e quella più problematica.  I combattenti all'arma bianca devono preoccuparsi solo di avere sempre la propria lama ben affilata, possibilmente potenziata, e di alzare la statistica corrispondente allo scaling migliore. Ma gli incantatori sono tutt'altro discorso. Quando colpiscono sono molto forti, ma la loro progressione è decisamente più lenta e la loro efficienza dipende da molti fattori: quali e quante magie possiedono, come le usano, eventuali resistenze elementali dei bersagli e, soprattutto, da una barra del mana assai corta.

    Tutte le categorie di personaggio possono e devono mulinare le lame a più non posso, sfruttando l'assenza di limitazioni e punti fatica. Così, possono infliggere più colpi critici, atterrare i nemici e azzerare la loro vita con una finisher cruenta e diversa per ogni tipo di avversario. Nemmeno i maghi sono esenti, ma nel loro caso ogni sfida "atletica" si fa più dura. Non hanno lo stesso output di danni fisici, e quando ricorrono alla magia devono essere parsimoniosi, o rischiano di restare a secco di energia troppo presto. Ci sono strumenti adatti per curare tanto gli HP quanto gli MP, certo, ma i secondi sono più rari e costosi

    Trovare l'equilibrio fra difficoltà "che impegna" e difficoltà "punitiva" è una delle maggiori sfide nella creazione di queste produzioni. Purtroppo The Last Faith mette con frequenza il giocatore in situazioni esageratamente probanti. Non perché il singolo nemico sia mal progettato, anzi: le animazioni e le capacità di ciascuno sono ben ponderate, a eccezione di qualche Boss troppo forte. Il problema è nel posizionamento delle minacce.

    Distribuire avversari che colpiscono a distanza su piattaforme troppo alte, rese irraggiungibili a terra da un'immensa orda di zombie, magari anche parecchi passi dopo l'ultimo checkpoint che precede una sessione di platform estrema, non è un buon modo di calibrare la difficoltà.

    La soddisfazione di superare una sessione come questa, o un Boss che uccide sempre con un colpo solo è alta, ma ad appannaggio dei pochi con la pazienza sufficiente da sperimentare moltissime strategie diverse, cambiare arma solo per affrontare questo pezzo o mettersi a grindare per diventare più forti.

    The Last Faith The Last FaithVersione Analizzata PCThe Last Faith è un metroidvania soulslike con tanti pregi e altrettanti difetti. Un'esperienza che oscilla fra il soddisfacente e il frustrante a causa di un level design un po' pigro e, soprattutto, di un errato bilanciamento delle forze in gioco. A volte ci sono troppi nemici in uno spazio piccolo, dei Boss troppo resistenti, o ancora checkpoint mal distribuiti. Tuttavia il prezzo non troppo elevato, la direzione artistica ispirata, i tanti bei modelli in pixel art sono dei buoni incentivi a dare una chance al gioco, specie se siete appassionati del genere.

    7

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