The Last of Us Parte 1 Remake Recensione: il ritorno di un capolavoro

Una nuova versione del capolavoro targato Naughty Dog: dopo tutti questi anni, vale ancora la pena vivere le avventure di Joel ed Ellie?

The Last of Us Parte 1
Recensione: PlayStation 5
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Disponibile per
  • Pc
  • PS5
  • Si suol dire che per ricevere le risposte giuste occorre porsi le giuste domande. A detta di chi vi scrive, quella corretta non è "vale la pena comprare The Last of Us Parte 1?", bensì "a chi è rivolto questo remake?". Qui, per quanto mi riguarda, si annida il vero valore della riedizione. È sempre una questione di punti di vista, di prospettive e desideri: forse non si dovrebbe pontificare su quale sia l'utilità di questa Parte 1 all'interno del mercato attuale, né puntare a tutti i costi il dito inquisitore sul prezzo di lancio, stigmatizzandolo a priori ed etichettando l'intera operazione come un facile tentativo di far cassa.

    Credo sia opportuno, di contro, focalizzarsi su quanto le modifiche apportate da Naughty Dog all'opera originale riescano o meno a massimizzarne l'incommensurabile valore, che in ormai dieci anni non ha perso neppure un'oncia della sua spietata meraviglia. Le fasce d'utenza propongono un continuo ricambio generazionale, le esigenze dei giocatori mutano col tempo, e il costo d'acquisto di un prodotto subisce con il prosieguo dei mesi gli effetti di un'oscillazione tendenzialmente al ribasso.

    C'è dunque chi non ha mai vissuto il devastante cammino di Joel ed Ellie in un mondo asfissiato da spore, rabbia e bugie, e per questo tipo di pubblico The Last of Us Parte 1 è un'opera imprescindibile, enormemente superiore sia alla versione per PS3, sia alla Remastered per PS4. C'è poi chi, pur avendolo già sperimentato in ogni sua edizione, continua ad amarlo visceralmente, e percepisce l'incontenibile desiderio di ripercorrere dal principio l'esperienza nella sua forma migliore. C'è infine chi vuol legittimamente farsi frenare dal prezzo di lancio, perché magari già soddisfatto dalla rimasterizzazione del 2014, e non c'è davvero nulla di sbagliato o di criticabile in una scelta compiuta per rispondere alle proprie volontà di videogiocatore.

    La vera domanda dunque non è se The Last of Us Parte 1 ha senso d'esistere, poiché sarebbe senz'altro presuntuoso imporre arbitrariamente la propria opinione come giudizio universale, ma se la portata dei cambiamenti è tale da annichilire il peso degli anni, per rendere così un capolavoro di ieri una pietra miliare di oggi. Per approfondire, vi rimandiamo alla nostra intervista a Naughty Dog in esclusiva italiana.

    I volti di Joel ed Ellie

    È ancora tutta lì, in quell'insieme di pixel ad altissima risoluzione e di modelli poligonali perfezionati; è ancora tutta lì l'annichilente forza della storia di The Last of Us, con i suoi feroci non detti, i suoi silenzi soffocanti, il suo dolore pervasivo che deflagra in ogni smorfia sottile, in ogni parola non pronunciata e in ogni gesto di violenza efferata, dalla brutalità più emotiva che fisica (qui potete trovare il nostro speciale The Last of Us: dove eravamo rimasti). Joel ed Ellie camminano, spesso distanti ma progressivamente più vicini, in un'America che s'è fatta cimitero della civiltà, reliquia di un passato recente eppure così lontano, dove i mostri, quelli veri, non sono stati infettati.

    Il Cordyceps ha divorato tutto, a cominciare dall'anima di chi non lo ha contratto, e si è esteso persino al di là di quel mondo virtuale, contaminando anche l'emotività di chi The Last of Us lo ha vissuto e interiorizzato (se volete approfondire, ecco il nostro speciale sul Cordyceps). È difficile giungere alla fine del viaggio senza sentirsi in qualche modo parte attiva, logorata nello spirito, di quell'ambiente livoroso e marcio, che sospetta sì di ogni gesto caritatevole ma che ha quantomeno il coraggio di non ingannarci mai, ponendoci costantemente dinanzi agli occhi la verità: la morale possiede così tante sfumature che il concetto di bene e male si svuota totalmente di significato. In un dato contesto, Naughty Dog non ci ha mentito. Tutti i proclami su quanto l'avanzamento tecnologico, la nuova resa del motion capture e la rinnovata profondità espressiva dei personaggi acuiscano la portata emozionale del racconto sono corrispondenti al vero.

    Non c'è alcunché di retorico: Joel ed Ellie sono più intensi che mai, trasmettono un vigore emotivo quasi viscerale, dal linguaggio del corpo fino alla piccola variazione della mimica facciale. Le scene sono le stesse, questo è indubbio, e seguono pedissequamente il copione originale.

    Eppure, in fondo, sono diverse. Lo sono sul piano concettuale perché ci coinvolgono in una maniera sorprendentemente genuina e perfettamente attuale, senza più alcuna ingessatura dovuta a modelli con dieci anni sulle spalle. Il realismo visivo, in questo caso, nobilita persino la potenza della sceneggiatura, che per quanto invariata - come è sacrosanto che sia - mantiene ancora oggi una densità tematica ineguagliata. Alcune cinematiche sono però differenti anche sul piano della composizione, in modo più o meno percettibile.

    La regia di certe sequenze è cambiata, e la scelta di Naughty Dog è pensata per modernizzare l'impatto artistico dell'opera originale, provando al contempo anche a massimizzare l'espressività dei protagonisti. Il cambio di inquadratura, nelle rare occasioni in cui avviene, è attuato proprio per questo: per veicolare ancora una volta, nel migliore dei modi possibili, le emozioni, verosimili e trascinanti, di chi in quel mondo martoriato sopravvive a stento e a fatica spera di vivere. Il risultato è sotto gli occhi di tutti, ed è eccezionale. Si può discutere a oltranza su quanto anche la versione originale e annessa Remastered fossero (e siano...) di altissimo impatto - un'opinione di certo incontrovertibile - ma negare che il Remake non acuisca a sufficienza la forza comunicativa della storia sarebbe una menzogna.

    La revisione del gameplay

    Gli anni sono stati clementi con The Last of Us, gentili e delicati, come una carezza al manto di una giraffa. Mentre rivivevo l'epopea di Joel ed Ellie in Parte 1, ogni tanto - soprattutto in concomitanza di qualche scontro - ho compiuto un piccolo viaggio a ritroso nella Remastered, e mi sono reso conto, con maggior freschezza mentale, di quanto la riedizione del 2014 mantenga tuttora una grande solidità ludica, come si confà del resto a un gioco che, dieci anni or sono, aveva settato altissimi standard.

    Oggigiorno si nota di più qualche limite dell'intelligenza artificiale, nonché la reiterazione un po' estenuante di qualche scontro "a ondata" che narrativamente possiede un equilibrio meno coerente di quello raggiunto, ad esempio, dall'inarrivabile Parte 2. Sono però sottigliezze che, in prospettiva "storica", affievoliscono notevolmente il loro peso specifico a fronte degli enormi traguardi raggiunti al tempo del suo esordio. È lapalissiano a dirsi, ma vale comunque la pena sottolinearlo per scrupolo di chiarezza: The Last of Us Parte 1 è molto superiore alla rimasterizzazione dell'originale. È l'attualizzazione di un capolavoro, e come tale ne eredita le meraviglie e ne smussa le spigolature. Il passo in avanti, più che radicale, è significativo, e s'avverte, in maniera non dirompente forse, ma s'avverte. Il combattimento è più fisico, e non c'è stata alcuna bugia da parte dei Cagnacci: la tecnologia del "motion matching", che - per dirla in breve - migliora e arricchisce la connessione tra le animazioni, compie il suo dovere, e non è soltanto un semplice paravento pubblicitario volto a mascherare una rielaborazione troppo pigra.

    Anche le sparatorie sono più "corpose", se così vogliamo definirle, più energiche, più pesanti. Dato che l'obiettivo di Naughty Dog era quello di farci avvertire con più verosimiglianza la fisicità di Joel, un uomo che porta su di sé il peso degli anni e del dolore, ma anche la sua tempra e la sua attitudine al combattimento sporco e aggressivo, la missione può dirsi compiuta.

    Anzitutto la visuale durante la mira si avvicina maggiormente alle spalle dell'ex contrabbandiere, creando una continuità ludica più marcata con la Parte 2. Cambia un po', in modo non stravolgente eppure tangibile, la leggibilità dell'azione, e così i riflettori vengono puntati con superiore attenzione sulle reazioni dei modelli e dei volti di protagonisti e personaggi, in grado di donare agli scontri una sensazione che il game director Matthew Gallant ha definito ai nostri microfoni più "umana e intima". Ed è la verità.

    Tutte le altre feature di PS5 sbandierate durante la campagna marketing infiocchettano l'insieme: l'audio 3D incrementa l'immersione in quelle atmosfere orrifiche e claustrofobiche, il feedback aptico e i trigger adattivi danno alle armi una personalità distintiva (soprattutto all'arco, che vanta tre tipi diversi di mirino), e chiaramente ogni battaglia, che sia a suon di pugni o di proiettili, acquista una dimensione più impattante. Anche in questo caso, c'è poco da recriminare: ogni elemento è al suo posto e ogni rifinitura è inserita con garbo per non stravolgere l'esperienza originale, limitandosi a toglierle di dosso la polvere del tempo.

    L'intelligenza artificiale

    Il discorso sull'intelligenza artificiale merita un approfondimento a parte. Come ribaditoci da Matthew Gallant, l'IA parte dalle medesime basi di quella di Parte 2, inserita poi nei sistemi ludici del primo The Last of Us. Il meccanismo che regolava gli scontri del capitolo originale era già soddisfacente per Naughty Dog, quindi il team non ha sentito l'esigenza di ricostruirlo da zero, bensì "soltanto" di riadattare le routine comportamentali al level design per rendere gli incontri più dinamici.

    La differenza più rilevante risiede nel fatto che ora l'azione dei nemici segue pattern meno pre calcolati, e possiede un numero superiore di variabili connesse al movimento dei giocatori nello spazio. Le dichiarazioni di Naughty Dog collimano solo in parte con l'esperienza ludica di Parte 1 che - vuoi per fedeltà filologica all'originale, vuoi per la composizione delle ambientazioni, vuoi per i ritmi dei duelli - non raggiunge il livello di profondità d'approccio saggiato in Parte 2.

    Questo non implica però che il passo in avanti rispetto alla Remastered non sia avvertibile: è sufficiente giocare lo stesso scontro nell'edizione del 2014 e nel remake per avvedersi di come Naughty Dog abbia fornito ai nemici una maggiore consapevolezza dello spazio, con tutto ciò che ne consegue in termini di manovre d'accerchiamento e gestione delle tattiche offensive.

    Magari la prima impressione potrebbe non essere subito così evidente, soprattutto se si è reduci dalla sublimazione di Parte 2, ciononostante c'è un concreto miglioramento nel design degli incontri all'interno del Remake. Restano comunque inalterati alcuni momenti di intontimento degli avversari, che magari rimangono troppo spesso immobili in un punto nonostante il nostro mirino sia ben posizionato sul loro cranio, tuttavia le incertezze dall'IA sono state ammorbidite quanto basta. E può andar bene così. Furbescamente, anche il comportamento dei personaggi di supporto ha subito un parziale aggiustamento, benché presenti ancora alcune flessioni qualitative. Ellie non sembra più un corpo estraneo e intangibile che si muove lungo l'ambientazione, passando sotto al naso di clicker e soldati senza che la sua presenza venga rilevata.

    Questo perché ora la ragazza ha la tendenza a rimanere più spesso nelle retrovie, soprattutto nelle fasi stealth contro gli infetti. Nelle sequenze in cui sgattaiolare surrettiziamente tra le pattuglie di banditi e membri dell'esercito, invece, non sono poi così sporadici i frangenti nei quali Ellie segue un percorso che finisce dritto nel campo visivo dei nemici, senza che questi battano ciglio. È insomma un incremento qualitativo dell'esperienza riuscito solo in parte, che deve sottostare a un po' di sospensione dell'incredulità.

    Un discorso di continuità

    Dotare questo remake del sottotitolo "Parte 1" è esemplificativo della volontà di Naughty Dog di creare una forte continuità con il sequel, sia stilistica che visiva, come se fosse un'esperienza da vivere tutto d'un fiato, in omogeneità più artistica che ludica.

    Ecco anche perché il menu del crafting è stato sostituito con quello della Parte 2, con tutti i benefici di una migliore chiarezza espositiva, così come l'interfaccia delle armi e della barra della salute è stata resa molto meno invasiva. La coerenza estetica con il seguito è insomma quasi integrale, anche se ci spostiamo sul versante della mera resa grafica. Non c'è necessità di ribadire quanto il divario tecnico sia esponenziale rispetto alla Remastered, sul fronte dei modelli e della ricostruzione dell'intera ambientazione, con una scenografia e una fotografia completamente ripensate per dar un carattere più vigoroso a un mondo già di per sé meravigliosamente devastato.

    Modalità graficheSono tre le modalità di renderizzazione: la prima, Fedeltà, propone una risoluzione in 4K e un frame rate con obiettivo a 30fps, sempre stabili in base alla nostra prova; la seconda è Prestazioni, che viaggia in 4K dinamici e a 60 fps; e infine è stata inserita anche la voce Frequenza fotogrammi non limitata che, sui televisori che la supportano, spinge il frame rate oltre la soglia massima della modalità Prestazioni. Nel corso della recensione abbiamo spesso alternato in tempo reale le prime due opzioni grafiche, sperimentando uno spettacolo visivo ammaliante e privo di tentennamenti.

    È la nuova gestione della luce a fornire corposità alla scena, rendendola più densa e sporca, e lo stesso può dirsi per un'effettistica che, nel suo marcato realismo, dona all'insieme una patina quasi sinestetica. C'è di più: i flashback all'inizio di Parte 2 sono stati ripresi quasi integralmente, con persino delle piccole - eppur necessarie - aggiustatine qua e là, come quelle apportate al viso di Ellie. L'assenza di compromessi grafici, a detta di Matthew Gallant, è il motivo per cui The Last of Us Parte 1 è disponibile solo su PS5 (e in futuro su PC), e non in cross gen con PS4: "volevamo realizzare la migliore cornice visiva possibile" - ci ha confessato - "sin dal principio il gioco è stato pensato per essere una produzione dell'attuale generazione, che potesse trarre il meglio dalla console sul piano visivo e del gameplay. The Last of Us Parte 1 è per noi un'esperienza totalmente degna di PlayStation 5. Sin dalle sue fondamenta è un gioco PS5".

    Nulla è lasciato indietro

    Al di là dell'aggiornamento tecnico e delle limature ludiche, c'è tutto un sottoinsieme di aggiunte contenutistiche volte a migliorare la qualità della vita dell'utente, sulla scia di quanto fatto con Parte 2.

    Le opzioni di accessibilità posseggono un ampio quantitativo di voci che testimonia quanto a Naughty Dog stia a cuore la totale personalizzazione dell'esperienza, per permettere al maggior numero di utenti possibili di vivere senza troppe limitazioni le sue avventure, dal lettore dello schermo alla descrizione dei filmati, passando per ogni sorta di assistenza visiva. Al novero s'assomma poi sia tutta una serie di modificatori (munizioni infinite, mondo speculare, modalità di renderizzazione in 8-bit e tanto altro) sia bozzetti, modelli, skin e documentari (la Parte 2 non è da meno: leggete qui il nostro speciale sulla modalità realismo di The Last of Us 2). Ben più stimolante sono però la presenza della morte permanente, l'opzione Speedrun che tiene accuratamente conto dei nostri progressi, e in ultimo, ma non per importanza, il New Game +, che permette di conservare i potenziamenti ottenuti durante la prima partita. In quest'ultimo caso, inoltre, c'è un duplice margine di scelta: da una parte ricominciare l'intero viaggio con l'equipaggiamento completo, già tutto sbloccato in anticipo, mentre dall'altra ripartire in versione Classica, in cui le armi e formule verranno ottenute con la naturale progressione dell'esperienza.

    S'arriva infine a Left Behind, lo splendido contenuto aggiuntivo che in Parte 1 è selezionabile dal menu principale. È un piccolo preludio di straziante dolcezza, feroce illusione di un'armonia solo temporanea (potete approfondire il passato di Ellie nel nostro speciale su The Last of Us American Dreams). Resta separato dal flusso di The Last of Us, come è giusto che sia: benché - volendo - avrebbe potuto essere inserito direttamente nello scorrere dell'avventura principale, sono della sincera idea che intaccare il ritmo narrativo - a mio avviso perfetto - del gioco originale sarebbe stato un rischio che non valeva la pena di correre.

    The Last of Us Parte 1 The Last of Us Parte 1Versione Analizzata PlayStation 5In fondo è una questione di semantica. Possiamo disquisire a lungo su quale sia la definizione più pertinente di “remake”, su quanto restrittivi possano o meno essere i vincoli imposti dal concetto di “rifacimento integrale”, che sembra dover esplicare il significato primario del suddetto termine. Per essere considerato un remake a tutti gli effetti, The Last of Us Parte 1 avrebbe dovuto allontanarsi molto di più dal sentiero filologicamente assai accurato che il team ha scelto di intraprendere? Oppure è sufficiente rielaborare in parte il sostrato del gameplay e in maniera netta quello visivo per rientrare a pieno titolo nella definizione? C’è e sempre ci sarà chi si farà fautore dell’una o dell’altra tesi, ed è per questa costante (e forse insanabile) dicotomia che non credo sia necessario focalizzarsi sul rigido significato della parola. Sono propenso a pensare che ci si debba concentrare piuttosto sul valore di The Last of Us Parte 1. Non però quello economico, benché gli 80 euro del prezzo di lancio possano comprensibilmente rappresentare un disincentivo non da poco per una certa fetta d’utenza, e sarebbe ingenuo negarlo. Il valore di The Last of Us Parte 1 si estrinseca nella sua narrazione tuttora poderosa, in una cornice visiva di profonda avanguardia, e in traguardi artistici e sonori difficilmente eguagliabili. Se la sua sovrastruttura ludica segue comunque, pur con le palesi rifiniture, le regole di un game design con un decennio sulle spalle, nella somma delle parti questo Remake (perché tale Naughty Dog lo reputa) è un’opera di assoluto pregio. Il giudizio numerico espresso qui di seguito è più che altro un ago della bilancia, quello che personalmente reputo un punto intermedio tra le possibili esigenze dei vari tipi di giocatori. Se è il vostro primo incontro con The Last of Us, e non siete spaventati dal prezzo di lancio, aggiungete pure mezzo punto in più. Se credete che le migliorie apportate non siano sufficienti a giustificare un altro acquisto, sottraetelo. Ciò che conta, a mio avviso, è sapere che Parte 1 è la versione migliore di un gioco fuori parametro, ieri come oggi. Sono disposto a giurarlo.

    8.5

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