The Swords of Ditto: Recensione del nuovo rougelike firmato Devolver Digital

OneBitBeyond e Devolver Digital portano su PC e PlayStation 4 un coloratissimo roguelike ispirato alle meccaniche di Zelda A Link to the Past.

The Swords of Ditto: Recensione del nuovo rougelike firmato Devolver Digital
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  • Pc
  • PS4
  • Per un recensore è davvero molto difficile tirarsi indietro trovandosi dinanzi a un titolo che sfoggia l'etichetta di Devolver Digital. Alcuni dei motivi che giustificano questa tendenza all'entusiasmo portano il nome di Hotline Miami, The Talos Principle, Titan Souls, ma anche Minit, per citare qualcosa di recente. Prove tangibili di come il publisher di Austin, negli anni, non si sia mai sottratto dal supportare opere videoludiche estranee alle consuete griglie di genere. Esperienze variegate, spesso eccezionali, che non trovano corrispettivo alcuno in qualsiasi altro prodotto disponibile sul mercato.
    Una delle ultime produzioni a potersi gongolare del beneplacito dei "doppia D" è The Swords of Ditto, primogenito dello studio di sviluppo inglese OneBitBeyond. Un roguelike - o roguelite, per chi ama cavillare sulle definizioni - che si ispira per volontà manifesta a quel capolavoro che risponde al nome di The Legend of Zelda: A Link to the Past, salvo poi prendere una strada tutta sua. Come da tradizione dei migliori rappresentanti Devolver, per l'appunto.

    Vorrei incontrarti fra cent'anni

    L'isola di Ditto è un posto davvero paradisiaco. Un luogo che, dentro i confini delle sue splendide spiagge dorate, custodisce un'enorme selva ricolma di segreti al centro della quale, a sua volta, sorge un piccolo villaggio operoso e pacifico. Vivere a Ditto sarebbe bellissimo, se non fosse che una maledizione affligge quella terra ormai da troppo tempo. Ogni cent'anni, ciclicamente, la malefica strega Mormo ha il vizio di scatenare il proprio esercito di mostri contro gli abitanti di quel mondo, facendo disastri e spargendo il panico in ogni dove. C'è chi dice, tuttavia, che vi sia ancora una possibilità di salvezza. Una speranza che alberga in un uomo o una donna comune, un eletto che, cinque giorni prima dell'apocalisse, verrà convocato da un misterioso spirito di nome Puku per estrarre dalla roccia un'arma affilata e trasformarsi, di conseguenza, nell'eroe delle leggende: la Spada di Ditto.
    The Swords of Ditto inizia proprio così, con il neo-paladino che, scoperto il proprio destino, si dirige verso il castello di Mormo per fare a fette l'odiosa megera. L'incipit è per altro un buon modo per entrare in sintonia con le meccaniche di superficie che caratterizzeranno il gameplay da lì in avanti. Di base siamo nei lidi dell'action-adventure a visuale isometrica, dove l'azione del protagonista consiste semplicemente nel poter sferrare fendenti in serie di fino a tre alla volta, nell'eseguire una rotolata frontale e nell'utilizzare, all'occorrenza, un oggetto secondario tra quelli stipati nell'inventario. Nulla che basti a contrastare le arti oscure della fattucchiera, che infatti impiega meno di un secondo a uccidere il prode cavaliere, evidentemente non all'altezza della sua infida antagonista. Cent'anni dopo, un nuovo prescelto è a sua volta pronto a raccogliere la sfida, avvertito però da Puku che, prima dello scontro finale, sarebbe meglio trovare il modo d'indebolire la maga. Il tutto nell'arco di quattro giorni, vale a dire prima che Mormo metta in pratica il suo piano di devastazione.
    Dalle parole ai fatti, la formula di The Swords of Ditto, come già accennato, attinge a piene mani da tutti gli elementi che hanno reso il roguelike uno dei generi più fecondi degli ultimi anni. Anzitutto il mondo di gioco, che è sottoposto a una generazione di tipo procedurale. Per approcciare Mormo senza finire sopraffatti è necessario esplorare una classica world map composta da zone che variano al variare di ogni partita. Ciascuna run prevede la presenza di aree principali e di raccordo dotate di un aspetto e una disposizione esclusive all'interno della mappa di gioco. Ciò significa che, ad ogni try successiva alla prima, la piazza centrale risulterà più o meno decadente a seconda delle performance precedenti, che i tesori dell'overworld saranno nascosti in anfratti differenti, e che la conformazione dei dungeon tenderà a non essere mai la stessa.

    L'esplorazione di tutti questi spazi è un fattore determinante in vista della resa dei conti, poiché è solo curiosando qua e là che si può racimolare tutto l'occorrente per potenziare il proprio personaggio. Nello specifico è possibile scovare - oppure acquistare in negozio, sganciando un po' di denaro frusciante - i cosiddetti Giocattoli, ovvero dei particolari item dalle funzioni più svariate, e in più gli Sticker, vale a dire degli adesivi applicabili alla propria armatura che hanno degli effetti attivi e passivi sull'avatar. I Giocattoli e -soprattutto- gli Sticker sono davvero numerosissimi, ben in grado d'infondere nell'esperienza quel tocco di role-playing che, suggellato dall'obbligo di combattere per livellare l'eroe, non fatica a inserirsi nel tessuto di gioco e farsi apprezzare, sebbene sia fondamentalmente all'acqua di rose.
    Dai roguelike, poi, The Swords of Ditto prende in prestito il concetto di permadeath, che con la composizione casuale del setting va a braccetto. Nel caso in cui lo spadaccino venisse sconfitto anzitempo, il suo successore si risveglierà appunto in un mondo spazialmente modificato, da rivisitare da cima a fondo, per giunta perdendo tutte le risorse accumulate in precedenza, fatta eccezione per i soldi. Ci sono ovviamente dei modi per preservare alcuni oggetti nonostante la dipartita prematura, ma fanno parte di quel senso di scoperta su cui il titolo fa largo affidamento, motivo per cui crediamo sia giusto lasciarli alla vostra eventuale prova diretta.

    Cinque giorni, mille avventure

    L'arte di DittoUno degli aspetti più riusciti di The Swords of Ditto è senz'ombra di dubbio la sua componente estetica. Disegnato e animato come fosse un cartone in due dimensioni (un po' in stile Cartoon Network, se vogliamo), il gioco vanta splendide ambientazioni di stampo fantasy dai colori vivissimi e sgargianti, oltre a un character e monster design sinuoso e fanciullesco. Una vera gioia per gli occhi.

    Torniamo al fulcro della questione: prima della tanto temuta battaglia contro Mormo, la Spada di Ditto ha a disposizione solamente cinque giorni, di cui solo quattro per portare a termine quante più mansioni possibili e accumulare sufficiente esperienza. Ciò si traduce in un conto alla rovescia vero e proprio, un timer non realistico che scorre inesorabile quando il giocatore è intento a girovagare all'aria aperta, laddove si interrompe a tempo indeterminato entrando nei vari spazi chiusi, dungeon compresi. Il vincolo temporale che precede l'ultimo faccia a faccia è la cifra distintiva di The Swords of Ditto e, paradossalmente, il suo potenziale limite. Sicuramente si tratta di un fattore capace di motivare gli utenti più caparbi, un modo sensato per aggiungere un po' di pepe a una sfida che altrimenti rischierebbe di apparire fin troppo piatta e facilotta.
    D'altro canto, è indubbio che la spinta esplorativa del titolo ne risenta parecchio, specie considerando le dinamiche ludiche nel loro insieme. Il mondo di Ditto offre diverse missioni secondarie, svariati NPC con cui interfacciarsi, molteplici oggetti di cui è bello scoprire il funzionamento, eppure il peso del tempo che passa porta il giocatore a concentrarsi per lo più sulla quest principale, col rischio di perdersi buona parte delle attività di contorno. Attività che, ribadiamo, restano invariate solo finché la Spada di turno rimane in vita, per poi essere rimescolate a seguito del cambio di scenario che la produzione comanda al sopraggiungere di ogni fallimento.

    Perché, a conti fatti, il problema di The Swords of Ditto non è tanto la gestione del tempo in sé e per sé, quanto invece proprio la sua incapacità di combinarsi a dovere con la tanto amata-odiata generazione procedurale. Che non è un male a prescindere, beninteso, ma che non di rado corre il rischio di tramutarsi in un ostacolo molesto nei confronti di una sana progressione. Specie poi quando il level design di un videogioco non è dei più vari e brillanti. Purtroppo è questo il caso dell'opera OneBitBeyond, ed è palese soprattutto volgendo lo sguardo verso i dungeon che anticipano lo scontro decisivo. Una diversificazione delle stanze e dei puzzle al minimo sindacale, unita alla presenza ricorrente di due sole tipologie di boss fight, rendono queste fasi particolarmente ripetitive fin nel corso della singola partita. Un senso di déjà vu che, ovviamente, non può che amplificarsi a dismisura con l'imprescindibile alternarsi delle successive try, che in tal modo potrebbe suonare come un mero pretesto per allungare il brodo anziché come un reale valore aggiunto all'esperienza di gioco.

    The Swords of Ditto The Swords of DittoVersione Analizzata PCSe The Swords of Ditto non è riuscito nell’impresa di entrarci nel cuore, come invece accade sovente con i prodotti a marchio Devolver Digital, è perché esso si impunta fin troppo nel voler mischiare meccaniche che, all’atto pratico, non vanno d’accordo più di tanto. Una sfida a cronometro sulla carta sfiziosa perde di efficacia a contatto con una varietà degli ambienti piuttosto ridotta e, specialmente, con una struttura procedurale incapace di valorizzare appieno l’interessante vena esplorativa della produzione, sacrificandola sull’altare dell’ansia da prestazione. È insomma il classico troppo che stroppia, sebbene The Swords of Ditto, in fin dei conti, rimanga un “action-adventure roguelike” che intrattiene quanto basta e artisticamente notevole, anche se tutt’altro che memorabile.

    6.7

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