Recensione The Witcher

Nuovi orizzonti ruolistici

Recensione The Witcher
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  • Un ignoto eroe

    Giunto in Italia come un perfetto sconosciuto, Geralt di Rivia, protagonista dell'attesissimo The Witcher, è in realtà l'eroe di una fortunata serie di romanzi fantasy che spopola nell'Europa dell'Est.
    Tendenzialmente poco aperto a qualsiasi sperimentazione fuori dagli schemi o ai generi “di consumo” (per via di un pregiudizio artistico formatosi nei primi decenni di questo secolo) il panorama letterario italiano resta così orfano di una delle produzioni più promettenti degli ultimi anni. Giunge a parziale rimedio appunto la trasposizione ludica delle sofisticate invenzioni di Andrzej Sapkwoski, che si configura come una produzione interessante ed ispirata, in grado non solo di portare alla luce un mondo ben caratterizzato ed una trama avvincente, ma anche di smuovere le acque restaurando una tipologia di gioco ultimamente non molto fortunata dal punto di vista delle innovazioni.

    Vecchio stile, nuovi orizzonti

    Dal punto di vista prettamente ludico, The Witcher si colloca su un piano ruolistico “trasversale”: il titolo attraversa più generi al fine di “riassumerne” le caratteristiche in un disegno concettuale molto particolare, lontano dagli inquadramenti classici. A conti fatti elementi tipici di Hack 'n' Slash convivono con una struttura narrativa e visiva preponderante in giochi di ruolo di ben più ampio respiro. Del resto, vista l'ispirazione letteraria, il gameplay e le fondamenta di quest (principali e secondarie) sono spesso pensati in funzione del risultato di scenografia e trama. Questa è dunque la vera particolarità del prodotto distribuito da Atari: nonostante lo schema di gioco corra il rischio tangibile di risultare monotono e ripetitivo, questa minaccia è del tutto scongiurata dalla varietà di situazioni e dalla particolare impostazione delle missioni. Il progredire lineare della trama porta il protagonista a scontrarsi con personaggi, ambienti, nemici sempre nuovi, e la validissima sceneggiatura che sostiene tutta l'opera incuriosisce l'utente ben più della “brama di level up” che è spesso l'unico “motore” di produzioni congeneri. Geralt divide così il suo tempo fra ignote macchinazioni ai danni degli Witcher e inattesi “flash” del passato che ha dimenticato. Coinvolto ad esempio in missioni esclusivamente investigative, il protagonista entra in contatto con una popolatissima struttura sociale: visita gli ambienti cittadini, cerca di allacciare rapporti con le personalità eminenti, di guadagnarsi la loro fiducia svolgendo per loro qualche incarico. E anche laddove il giocatore s'imbatte in quest “di recupero” o di accumulo (in cui è necessario raccogliere uno specificato numero di oggetti), queste non appaiono mai come un mero riempitivo: vuoi grazie alla possibilità di sbloccare ulteriori linee narrative conoscendo meglio i mandanti, vuoi per merito della caratterizzazione di ognuno di essi (ottenuta grazie a dialoghi mai sbrigativi), l'esperienza di The Witcher molto vicina a quella del gioco di ruolo cartaceo.
    Da questo punto di vista, bisogna tributare onore e gloria al titolo CDProjekt: la scelta coraggiosa di offrire agli hardore gamer un prodotto fatto a loro misura, in cui la componente narrativa sia principale e ottimamente integrata con le meccaniche di gioco, è da premiare ed apprezzare.
    Come vedremo, forse per non scontentare i fautori di un divertimento meno impegnato, The Witcher adopera però eccessive semplificazioni nel sistema di upgrade del personaggio, anche se la gestione degli skill tree non risulta in nessun caso del tutto banale (ma può essere affrontata con superficialità).
    Nonostante questo evidente limite (di cui discuteremo approfonditamente in seguito), The Witcher resta un prodotto molto complesso e interessante, grazie alla sua particolare “filosofia”, rara da trovare (e difficile da sviluppare), che colpisce il mercato ruolistico come un fulmine a ciel sereno. Da questo punto di vista il gioco scuote il panorama moderno, “dedicandosi” a tutti gli amanti dell'interpretazione e della narrativa fantasy.

    Hack 'n' Slash?

    Il gameplay di The Witcher, come sopra accennavamo, eredita molti elementi dalla struttura degli Hack 'n' Slash. Il suo tentativo è tuttavia quello di integrarli con qualche novità, al fine di costruire una meccanica di gioco meno passiva. Gli “innesti” al gameplay sono in effetti concettualmente brillanti. Per sopravvivere durante gli scontri l'utente non può sperare di cliccare a caso sui propri nemici per eseguire degli attacchi standard: deve invece preoccuparsi di seguire attivamente il combattimento per potersi esibire in letali e devastanti combo basate sul timing. Durante ogni affondo di Gerald, infatti, il puntatore del mouse verrà circondato per qualche secondo da una corona di fiamme: se il giocatore premerà di nuovo il pulsante sinistro in quel momento, il protagonista colpirà gli avversari con una sequenza più potente. Continuare la catena di combo significa eseguire attacchi sempre più veloci (sottolineati dal movimenti di camera e da effetti sonori più incalzanti). A conti fatti la necessità di un approccio non del tutto distaccato (anzi ben partecipe di tutti i movimenti del protagonista) è una grande idea per rinnovare abusati schemi ludici. Eppure The Witcher si imbatte in una grossa pecca che mina la bontà di questa introduzione: la limitata varietà delle azioni che è possibile eseguire in combattimento, riflesso diretto di un sistema di upgrade non troppo nutrito. Geralt è infatti in grado di utilizzare del pari armi e magie, ma entrambe queste specializzazioni non evolvono attivamente con la crescita del personaggio.
    Dal punto di vista del combattimento abbiamo un set di possibilità ben più che sufficiente. Sostanzialmente lo Witcher può utilizzare due spade, una d'acciaio (efficace contro uomini e animali) ed una d'argento (utile contro i mostri magici): impugnandole, il protagonista può scegliere inoltre tre stili di lotta: potente (lento e poco efficace contro i nemici agili, ma devastante), veloce (l'esatto contrario), e “di gruppo” (caratterizzato da fendenti prolungati e ampie rotazioni, che colpiscono anche gli avversari alle spalle e ai lati dell'eroe). L'alternanza di questi stili è la chiave per la buona riuscita degli scontri. Inoltre Geralt potrà utilizzare due armi secondarie (un pugnale leggero e veloce e un'arma a due mani, pesante e potente), senza però avere la possibilità di decidere il suo stile. Un piatto piuttosto ricco all'apparenza, ma che viene riproposto identico dall'inizio alla fine dell'avventura: tutte le abilità legate al combattimento che è possibile apprendere nello skill tree (interessino gli stili di combattimento o le caratteristiche di forza e destrezza) sono passive: aumentano i danni inferti, la velocità e la possibilità di colpire, ma non variano le mosse a disposizione di Geralt. Così, tutta l'avventura viene giocata con sei combinazioni (gli stili si differenziano a seconda della spada impugnata).
    Lo stesso dicasi per la magia: i cinque simboli magici che è possibile conquistare danno la possibilità di eseguire altrettanti incantesimi, e con quelli si deve affrontare ogni difficoltà. È possibile certo aggiungere effetti (come lo stordimento degli avversari o la combustione), o guadagnare bonus (ridurre il quantitativo di Mana da spendere), ma questo non arricchisce molto la portata principale, anche a livello meramente visivo.
    Non si deve però pensare che il potenziamento di Geralt, gestito attraverso un sistema a Talenti (di bronzo, d'argento e d'oro) sia da prendere con sufficienza: se nelle prime fasi di gioco è possibile ottenere ogni abilità, più avanti sarà necessario sacrificare molti rami dell'albero per primeggiare soltanto in un particolare campo. In ogni caso, la sufficiente profondità del sistema di upgrade non basta a nascondere il velato dispiacere di avere a che fare soltanto con abilità passive, che aumentano la potenza del personaggio ma non arricchiscono attivamente il suo “parco mosse”. Un vero peccato che un RPG dalla struttura così immersiva pecchi proprio in varietà.

    Catene di eventi

    Nonostante il “passo falso” appena descritto, The Witcher è un gioco molto nutrito dal punto di vista dei contenuti. Basti citare ad esempio la possibilità di creare unguenti e pozioni alchemiche (con cui potenziare rispettivamente le proprie armi e le proprie caratteristiche), unitamente al complesso sistema di recupero di formule e ingredienti, per far tornare il buon umore a chiunque sia in cerca di un RPG approfondito e curato nei dettagli. E se tutta la branca dedicata al “fai da te alchemico” -per altro integrata con un sistema di tolleranza della tossicità- non dovesse bastare, si conti la presenza di varie attività “extracurricolari”: dalle partite al poker nanico (giocato coi dadi invece che con le carte) che si possono intavolare con molti personaggi, alle sane scazzottate nel retro delle locande (ovviamente è possibile scommettere), passando per le missioni “di conquista” delle avvenenti fanciulle di paese (ognuna sbloccherà una piccola immagine “osé”). Insomma la carne al fuoco è molta, e la longevità cresce in maniera esponenziale. La stima del team di sviluppo, che valuta attorno alle ottanta ore il tempo necessario per concludere l'avventura, non è del tutto sballata, soprattutto per chi ha intenzione di esplorare ogni anfratto delle suggestive locazioni o di portare a termine tutte le linee narrative aperte e ciascuna subquest.
    Per altro, un incentivo alla rigiocabilità deriva da una delle caratteristiche principali della sceneggiatura, ovvero la presenza di numerosi bivi narrativi. L'idea del team di sviluppo è stata quella di evolvere e portare alle sue massime conseguenze il sistema delle scelte multiple che spesso si incontra in tante produzioni di stampo ruolistico. Nel caso specifico, ognuna delle stringenti scelte proposte in momenti chiave dell'avventura porta conseguenze non soltanto nell'immediata prosecuzione degli eventi, ma si ripercuote su situazioni future in maniera spesso inattesa. Fidarsi di un personaggio piuttosto che di un altro, uccidere un brigante o patteggiare con lui, consegnare un lestofante alla giustizia o lasciarlo fuggire: in un intricato sistema di cause ed effetti ciascuna scelta avrà influenze nel futuro. Ovviamente sarà una piccola cut-scene (realizzata con tavole disegnate), quando non gli stessi dialoghi dei personaggi, ad indicare quale sia stata la decisione le cui ripercussioni staremo vivendo ore dopo. Questo sistema è molto interessante sulla carta, e la sua realizzazione spesso altrettanto valida: il gioco riesce ad incuriosire e sottolineare in maniera impeccabile i sommovimenti di concause che l’utente ha scatenato.
    Resta il fatto che in molti casi gli unici esiti delle proprie azioni e si riducono a qualche scontro serrato o a “scorciatoie” sul pattern delle quest, o ancora alla necessità di pagare somme di denaro per corrompere qualche personaggio a cui abbiamo indirettamente pestato i piedi.
    Nonostante qualche semplificazione, la strada intrapresa per lo sviluppo di una così interessante feature è quella giusta: durante l’avventura si ha sempre l’idea di dover sacrificare una delle linee di sviluppo degli eventi, ed in alcuni casi si è più che incuriositi dalle proposte “scartate”, tanto da conservare salvataggi multipli.

    Il look del cacciatore

    Dal punto di vista tecnico, The Witcher mostra risultati più che buoni. Il colpo d’occhio generale è di ottimi livelli, le ambientazioni evocative e ben caratterizzate, i personaggi (umanoidi e mostri) modellati con cura e piuttosto ispirati. Imparando a conoscere sia gli ambienti del gioco che il folto beastiario si scopre un fantasy dalle marcate tinte Dark, in una sorta di medioevo basso e popolare, sporco e superstizioso. I bassifondi della città di Vizima, il ghetto in cui si assiepano elfi e nani, le campagne attorno alla città, fatte di casupole abbandonate e decadenti scali commerciali, costituiscono un backkground visivo che fa da perfetto contrappunto alla trama, che spazia su varie tematiche non sempre usuali per le produzioni fantasy.
    A livello meramente quantitativo si deve lamentare l’assenza di mappe superficiali (evidente solamente durante le Cut Scene in tempo reale) e fortunatamente compensata da texture di alto livello, e qualche piccola imperfezione nella modellazione di personaggi umani (volti poco espressivi, fattezze non sempre proporzionate), anch’essa evidente solo durante le scene di intermezzo. Nelle fasi In Game non si riscontrano problemi (se non di ottimizzazione), ed anzi il panorama tecnico è estremamente appagante. Il set di animazioni è fluido, credibile, ispirato, e ogni combattimento si trasforma in una mortale danza perfettamente coreografata. L’avanzata del ciclo giorno-notte tinge le locazioni di colori caldi al tramonto, allunga le ombre, proietta le strade nell’inquietudine del buio. Insomma The Witcher è un prodotto ottimamente curato anche dal punto di vista grafico. Le poche pecche oltre a quelle citate sono da ricercare nell’ottimizzazione del motore di gioco: non eccessivamente esigente in termini di specifiche, proporzionate difatti ai risultati, The Witcher mostra qualche problema di fluidità anche su computer molto prestanti (la configurazione di test vantava un Core 2 Duo e 4 Gb di Ram).
    Il comparto sonoro eccelle dal punto di vista della colonna sonora (musiche ispirate e d’ampio respiro hanno giustificato anche la produzione di una OST inserita nell’edizione limitata), ma soffre lievemente di un doppiaggio non troppo ispirato. Voci di alta qualità (neppure il riuso degli stessi doppiatori si fa sentire eccessivamente) non sono accompagnate da una recitazione attenta, che spesso non riesce a trasmettere emozioni e tonalità adeguate. Nello stesso ambito c’è da citare una traduzione dei testi che in pochissimi casi “forza la mano” inserendo termini non propriamente adatti al contesto.
    S’intenda che tutte queste piccole imperfezioni non pesano eccessivamente su un comparto audiovisivo di prim’ordine: sono note stonate in una concertazione strutturale altrimenti perfetta, ma si avvertono proprio per la grande importanza che la caratterizzazione scenica e strutturale assume nell’economia di gioco.

    The Witcher The WitcherVersione Analizzata PCThe Witcher è un prodotto coraggioso, esplicitamente dedicato ai giocatori più incalliti e agli estimatori del GDR cartaceo e narrativo. Un titolo ispirato e solido, in grado di salvare il panorama degli Hack ‘n’ Slash dal ristagno totale, collocandone il gameplay in una struttura d’ampio respiro. Un titolo curato sotto tutti i punti di vista, in grado di catturare il giocatore grazie ad una trama ben articolata e ad una caratterizzazione particolare, per un Dark Fantasy di alto livello. Sfortunatamente il gioco soffre a causa di una scarsa varietà del gameplay, non certo congenita nel genere ma imputabile allo skill tree composto interamente di abilità “passive”. Altre imperfezioni costellano l’opera dei CDProjekt (semplificazioni nel sistema causa-effetto integrato con le scelte del protagonista, qualità della recitazione), ma non riescono ad intaccare la consapevolezza che The Witcher è un titolo che traccia una nuova via ludica: gameplay immersivo e coinvolgente, in grado di svecchiare stilemi datati. Un buonissimo punto di partenza da sviluppare, impreziosito però da un background letterario invidiabile, che gli permette di raggiungere alti risultati e di configurarsi come un prodotto che merita d’esser giocato non solo dagli appassionati del genere, ma anche da chi cerca un’esperienza ludica a tutto tondo.

    8

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