Thimbleweed Park Recensione

Il viaggio indietro nel tempo guidato da Ron Gilbert passa per Thimbleweed Park: tutto è come lo avevamo lasciato 20 anni fa...

Thimbleweed Park
Recensione: PC
Articolo a cura di
Disponibile per
  • Pc
  • Xbox One
  • Chi avrebbe mai immaginato, mentre inserivamo il disco 2, che oltre 20 anni dopo ci saremmo ritrovati di fronte alla stessa schermata coi verbi, a ridere di gusto leggendo qualche battuta scritta sulla testa di un buffo personaggio che guarda verso lo schermo. Pensavamo saremmo finiti per essere trascinati da un'evoluzione tecnica inarrestabile, bombardati dalle meraviglie di un fotorealismo da brividi, osservato indossando un voluminoso casco per la realtà virtuale, con le mani al calduccio in qualche diavoleria a forma di PowerGlove.
    Immaginavamo un mondo videoludico in cui nessuno avrebbe potuto impedirci di entrare in quella dannata botola, nascosta in un tronco, nel mezzo della foresta. Eravamo certi che i videogiochi avrebbero puntato sempre più in alto, lo capivamo dalle immagini stampate sulle riviste: mentivano spudoratamente, ma sapevamo che un giorno sarebbe stato tutto così fantastico. E invece, per qualche motivo, siamo di nuovo di fronte alla schermata coi verbi, a muovere un grosso puntatore a croce, a leggere freddure scritte sulla testa di un omino che ha più carisma che pixel, e sembra masticare una gomma. E al diavolo la realtà virtuale, molti di noi ci speravano.

    Thrift... Threep... Thimbleweed

    Passano un paio di minuti dall'inizio di Thimbleweed Park, e già i due protagonisti, di fronte alla vittima di un misterioso delitto, se la ridono e sfondano la quarta parete, parlando con assoluta naturalezza di videogiochi e di avventure grafiche. È il manifesto del movimento nostalgico di Ron Gilbert, che senza paura di sembrare troppo vecchio e lamentoso, ci spedisce a calci nei sentimenti indietro nel tempo, fino agli anni d'oro dominati dalla Lucasfilm.

    In un'ambientazione che riesce in qualche modo a parodiare sia X-Files che Twin Peaks, compaiono presto le due new entry, gli agenti Ray e Reyes, una cinica e competente, l'altro un goffo ed inesperto novellino, impegnati nelle indagini federali attorno ad un misterioso omicidio a Thimbleweed, del quale nessuno sembra curarsi, nemmeno lo strambo sceriffo della città. La storia è il solito turbine di raffinato nonsense, stracolmo di figure bizzarre, fra cui il burbero Ransome, il clown degli insulti, e la giovane ereditiera della ricca fabbrica di cuscini, che rinuncia alla sicurezza di una vita agiata per intraprendere la carriera di sviluppatrice di videogiochi. I due, insieme ad un terzo personaggio di cui non riveliamo l'identità, si uniranno inconsapevolmente alla difficile e travagliata indagine, mossi da interessi personali. I nuovi personaggi hanno carattere, Ransome è sublime, la trama è avvincente quasi quanto quella di Maniac Mansion e il finale nasconde qualche chicca che bisogna avere il cuore nero e secco come quello di LeChuck per non apprezzarla.
    Sembra un'affollata riunione di famiglia, quella messa in scena da Gilbert e Winnick, e quasi nessuno sembra aver declinato l'invito; i personaggi delle storiche avventure Lucas sembrano essersi tutti trasferiti in città, alcuni li incontriamo in rosticceria, altri appaiono di sfuggita nei fondali pixellati, altri salutano timidamente attraverso qualche oggetto sovraimpresso. Anche i luoghi dicono la loro, con qualche bottiglia rotta di ketchup nascosta in frigo, con un cartello "fuori servizio" apposto su una scala a chiocciola particolarmente familiare, la stessa "Mansion Mansion" urla nostalgia da ogni fessura fra gli assi di legno. È un territorio insidioso quello in cui si addentrano Gilbert e Winnick, che rischia di far sentire a casa solo chi ha consumato i floppy e i cartoncini anti-pirateria dei classici Lucasfilm, tuttavia i due se la giocano bene, e grazie a qualche personaggio azzeccato e a tutta una serie di tormentoni nuovi di zecca, Thimbleweed Park dimostra d'esser appetibile anche per i novellini, quelli che non perderanno tutto il tempo a scorgere i cammei nei luoghi più impensabili e a ridacchiare ad ogni citazione colta fra le linee di testo.

    Ho finito Thimbleweed Park in un giorno e l'unica ricompensa è questa T-shirt idiota.

    È subito lampante, Thimbleweed Park è pensato più in grande rispetto agli adventure classici firmati da Ron Gilbert e l'area di gioco è quasi tutta esplorabile sin dalle prime ore di gioco; l'utilizzo di ben 5 personaggi -e di conseguenza 5 diversi inventari- complica un po' le cose, impedendo di fatto l'utilizzo di un approccio brute force (leggasi "usare tutto con tutto") agli enigmi, che restano sempre il punto cardine del gameplay. Può disorientare un po', può appesantire alcune fasi in cui è necessario trasferire gli oggetti da un inventario all'altro, ma di sicuro promuove un approccio più ragionato ai puzzle. Alcuni molto intuitivi, altri impossibili da risolvere senza ricorrere al pensiero laterale, maturato vent'anni fa dagli attuali giocatori over 30.

    Il consiglio, tuttavia, è quello di affrontare l'avventura in modalità difficile, se non ci si vuole perdere oltre il 50% degli enigmi: si rimane bloccati, come ai vecchi tempi, ci si innervosisce e si rischia di cadere nella tentazione di mettere mano alla soluzione. Ma è esattamente quello che ci si aspettava.Inaspettatamente longevo, Thimbleweed Park terrà impegnati per almeno una quindicina di ore (meno se giocate a livello facile).
    In questa magistrale opera nostalgica, tutto è come lo avevamo lasciato due decenni fa, prima che cominciassero ad apparire i puntatori dinamici e la grafica in 3D: è tutto così spudoratamente old school che neanche il lavoro sulla profondità degli scenari riesce a farci sentire realmente nel 2017; anche le musiche, che tornano ai motivetti ossessivi da canticchiare a mezza bocca a computer spento, non nascondono in alcun modo la loro natura di "canzoni da videogame".

    Thimbleweed Park Thimbleweed ParkVersione Analizzata PCThimbleweed Park è un’operazione nostalgica dall’indubbio successo: pare quasi che i creatori di Maniac Mansion siano rimasti per tutto questo tempo rinchiusi in una capsula del tempo. È un omaggio senza vergogna ai tempi dello SCUMM, ai verbi scritti in una griglia, agli oggetti raccolti e mai usati davvero e a quelli inaspettatamente utili, alle grandi fatiche premiate con una T-shirt e all’autoreferenzialità sfrenata. Corre il rischio di creare un ambiente troppo poco familiare per l’utenza più giovane, ma si rivela un prodotto di tutto rispetto anche se avvicinato da chiunque apprezzi le avventure grafiche. È certamente il titolo che avremmo voluto vedere sugli scaffali -rigorosamente in scatola di cartone- dopo l’uscita di Monkey Island 2, prima che iniziasse il lento e tuttora inspiegabile declino del mondo delle avventure grafiche.

    CONFIGURAZIONE PC DI PROVA

    • CPU: Intel Core i7 4790
    • RAM: 16,0GB Dual-Channel DDR3
    • GPU: NVIDIA GeForce GTX 970
    9

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