Those Who Remain Recensione: mistero e avventura a tinte horror

Those Who Remain è un'avventura oscura dalle tinte sovrannaturali, un gioco non perfetto ma che potrebbe incuriosire gli appassionati del genere.

Those Who Remain Recensione: mistero e avventura a tinte horror
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Disponibile per
  • Pc
  • PS4
  • Xbox One
  • Switch
  • Xbox One X
  • PS4 Pro
  • Avete mai visto Grano rosso sangue? È un film del 1984 diretto da Fritz Kiersch e tratto dal racconto I figli del grano, di Stephen King. Se vi è capitato, vi sarà probabilmente rimasta impressa quell'atmosfera rurale e inquietante, quei campi di grano dai quali qualcuno sembra sempre osservarti. Presenze angoscianti che popolano la campagna americana.

    Il primo impatto con Those Who Remain è per certi versi analogo: siete appena arrivati nel piccolo paesino di Dormont, Colorado, è notte fonda e certo sembrano lontani quegli accecanti e soleggiati campi di grano del film di Kiersch, ma ciò nonostante si respira un'atmosfera simile, l'inquietudine sembra avvolgere quei luoghi. Intorno a voi non c'è anima viva, potrebbe essere il tipico parcheggio di un motel di provincia, ma è chiaro che qualcosa non va. Siete arrivati lì per parlare con Diane, la vostra amante. Volete rompere con lei, per rispetto e per l'amore che nutrite nei confronti di vostra moglie Andrea. Non si capisce bene cosa sia accaduto con Andrea: forse è sparita? Il matrimonio è già collassato? Basteranno pochi minuti per entrare nel vivo, per fare la conoscenza di figure inquietanti che staranno a osservarvi per tutto il tempo. "Stai nella luce", vi dirà questa voce misteriosa. Solo nella luce sarete al sicuro da queste figure antropomorfe, che forse tanto umane non sono più, i cui occhi brillano nell'oscurità. Vi osservano, vi osservano di continuo. Statene alla larga.

    Un gioco di luci e ombre

    All'incipit di Those Who Remain, horror psicologico realizzato dai ragazzi di Camel 101, non sembra mancare nulla. Un mistero; la deriva da film dell'orrore che non dimentica l'introspezione e che porta a mettere in discussione la sanità mentale del protagonista; figure indefinibili che sembrano immobili ma che sono pronte a farvi lo scalpo qualora abbandoniate la luce. Those Who Remain, è proprio il caso di dirlo, è un titolo fatto di luci e ombre: solo che purtroppo le ombre tendono ad avere la meglio anche sul gioco vero e proprio.

    Sia chiaro, siamo consapevoli di trovarci di fronte all'opera di un piccolissimo studio ma, pur con tutte le attenuanti del caso, è impossibile chiudere un occhio di fronte alla struttura acerba, a una direzione artistica un po' troppo anonima, a un game design chiaramente scolastico. Il che non vuol dire che Those Who Remain non sia un titolo comunque ambizioso, aspetto che va certamente rilevato e lodato.

    L'avventura mette sul tavolo tematiche individuali e collettive, affronta questioni come i sensi di colpa e i rischi etici della connivenza, chiede al giocatore di diventare giudice di scelte efferate, umane e quindi fallibili e imperfette, ma pur sempre gravi. Il viaggio di Edward nella provincia americana diventa frammentario, forse persino un po' confuso nel suo ammassare cambi di piani e prospettive. Diciamocelo, anche un po' pretenzioso, ed è chiaro che la struttura di gioco si rivela infine troppo fragile per reggere il tutto.

    Troppe limitazioni

    Abbiamo già detto di quando Edward arriva al Golden Oak Motel. Il protagonista deve individuare la stanza di Diane e viene naturale andare alla reception. Non c'è anima viva. Suoniamo il campanello. Nessuno in vista. Allora sbirciamo nel registro delle presenze e vediamo che Diane sta soggiornando nella camera numero 2. Bene, andiamo alla camera 2: peccato sia chiusa e ad Edward non venga in mente di bussare. Allora bisogna capire cosa fare e girovagare ulteriormente.

    Ecco, voi avreste mai pensato che nella stanza del proprietario, dietro la reception, dentro a un cassetto di un comodino, ci fosse un messaggio di Diane a indicargli che le chiavi sono sotto lo zerbino? In realtà narrativamente può anche avere senso (Diane, che stava aspettando Edward, ha chiesto al proprietario del motel di dargli questo biglietto), ma nei fatti questa sequenza risulta forzata, poco intuitiva. Il punto è che Those Who Remain continua anche successivamente a imporre azioni, a precludere possibilità. Qualcuno grida, vuole essere aiutato: puoi giusto assistere alla scena ma guai ad avvicinarsi, c'è un muro invisibile.

    Sono poi frequenti i casi in cui devi trovare un oggetto ma non c'è alcuna logica nella sua collocazione: allora non ti resta che girovagare all'interno delle singole location e interagire con qualsiasi elemento, finché non hai trovato ciò che cerchi. In alcuni momenti i commenti di Edward appaiono fuori luogo: "Questa porta è chiusa, il fusibile si trova lì dietro". Perché dovrebbe trovarsi proprio lì dietro? È come se il protagonista volesse sopperire alle lacune del game design e indicare al giocatore cosa fare, perché altrimenti non sarebbe né chiaro, né intuitivo. In alcuni frangenti, soprattutto nelle fasi avanzate, questa "invadenza" si fa sentire ancora di più.

    Il diavolo sta nei dettagli

    Sono i dettagli che fanno la differenza: Those Who Remain è il tipico gioco che dimostra buona volontà e passione, ma che non riesce purtroppo a uscire dalla linearità, dalla ruotine esplorativa. L'avventura di Edward è costellata, si diceva, di presenze immobili, che lo fissano con quegli occhi illuminati.

    Quelle che dovrebbero essere creature inquietanti diventano già dopo un'ora di gioco puri elementi di sfondo, muri invisibili da aggirare o eliminare trovando il modo di puntargli la luce contro. Il disagio costante cede il passo a mere logiche puzzle: loro non sono lì a osservarti, sono lì per costringerti ad aggirarli, e in un gioco che vuole essere horror è una grande differenza.
    Le varie location di cui si parlava poco fa si sviluppano tutte secondo una logica di totale linearità: interagisci con l'oggetto, raccoglilo e utilizzalo altrove.

    Col progredire dell'avventura fortunatamente le cose si fanno più sfaccettate, per esempio con l'introduzione di piani sensoriali alternativi che comunicano tra loro e, nelle fasi finali, persino con alcune curiose sessioni platform. Giusto per fare un esempio che non c'entra nulla col genere, avete presente Metroid Prime 2? Ecco, Edward può agire su un piano percettivo, conscio del fatto che gli effetti si riverbereranno sull'altro. Una meccanica interessante, sebbene l'esecuzione risulti piuttosto didascalica. Senza considerare che questi collegamenti tra i diversi piani e le diverse location sembrano troppo "teleguidati", poco coesi.

    Detto questo, Those Who Remain non è certo un fallimento, ma tratta comunque di un gioco sin troppo derivativo, tecnicamente solo sufficiente (ci siamo imbattuti anche in alcuni bug che ci hanno costretto a riavviare, ma ipotizziamo che una patch sia in arrivo) e artisticamente poco memorabile. Dalla sua ha una trama che non smette di incuriosire fino alla fine e che, sebbene non del tutto originale, offre alcune risvolti tematici che il genere horror raramente ha toccato.

    Il titolo di Camel 101 potrebbe quindi rivelarsi piacevole, soprattutto per un giocatore a digiuno di horror e/o alle prime armi, a patto però di essere ben consapevoli dei suoi limiti. I patiti del genere, infatti, potrebbero storcere il naso di fronte a una certa ridondanza (le fasi stealth sono fin troppo banali e addirittura snervanti, anche a causa di un sistema di checkpoint che vi costringe talvolta a ripetere lunghe sessioni di gioco). Se però volete sostenere una piccola realtà produttiva, invece che il solito tripla A, potreste comunque decidere di dargli una possibilità.

    Those Who Remain Those Who RemainVersione Analizzata PCThose Who Remain, nonostante il voto qui riportato, non è un titolo da buttare. Rivela una certa ambizione ed è giusto valorizzare chi si prende qualche rischio. In questo caso, però, il rischio sta tutto nella narrazione e meno nell'esperienza ludica. Presi singolarmente i temi trattati dal gioco non rappresentano nulla di particolarmente originale, ma messi insieme riescono a dar vita a un racconto interessante, che spinge ad arrivare fino in fondo. Il “problema” è la struttura di gioco: troppo derivativa, ingessata, con chiari limiti sul fronte del game design. Ne nasce un'esperienza purtroppo anonima, a tratti anche snervante quando finisce nei meandri del trial and error. Vero che tecnicamente ci troviamo di fronte a un'opera a basso budget, ma artisticamente si poteva fare di più per distinguersi. Se amate l'horror e vi deliziano certi viaggi introspettivi ed inquietanti, potete comunque dargli un possibilità: il prezzo è contenuto e, per gli irriducibili, c'è anche l'italiano.

    5.5

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