
Transference: Recensione dell'horror psicologico di Elija Wood
Giocabile sia in realtà virtuale che con un normale televisore, il nuovo gioco horror di Ubisoft non sorprende come avrebbe potuto...
Transference è un gioco faticosissimo, per i temi trattati e per il modo in cui sono proposti all'utente; al punto che persino noi, che lo avevamo già provato più volte in passato, siamo rimasti in un certo senso sconvolti dall'esperienza proposta in questa versione finale: Transference ha infatti decisamente poco a che vedere con il prototipo mostrato due anni fa all'E3, oltre a rivelarsi presto ben più estremo di quanto si potesse già immaginare dalla recente demo. Il gioco inizia come un'avventura grafica particolarmente intrigante, con oggetti e documenti da analizzare, piccoli puzzle da risolvere, per virare subito dopo verso un caos controllato che rimbomba in maniera non del tutto piacevole nella testa di chi gioca.
Ubertragung
Transference non è il tipico videogame, fatto da chi lavora solitamente in questo campo, e lo si nota durante tutto il percorso proposto. Dietro questo progetto si nasconde infatti una collaborazione tra Ubisoft e la SpectreVision che, al contrario di quanto si potrebbe pensare, non è di una nuova software house, bensì una casa di produzione cinematografica, specializzata in thriller ed horror, fondata nel 2010 dall'attore Elija Wood e dai registi Daniel Noah e Josh Waller.
Nonostante l'aiuto tecnico di Ubisoft permane un approccio allo storytelling estremo, sovraccarico, proprio come ci si aspetterebbe dal primo videogioco di un cineasta. Una delle differenze più marcate tra un regista e un game designer è che il primo deve preoccuparsi soltanto di narrare efficacemente una storia (il suo raggio d'azione insomma si limita il più delle volte alle sole immagini), mentre il secondo ha accesso a molti più strumenti per emozionare il suo pubblico. In Trasference sembra che la SpectreVision, felice di mettere le mani su questa rinnovata gamma di input, abbia cercato di utilizzarli tutti insieme. Chissà, potrebbe anche essere stata una scelta, del resto voi come la descrivereste la coscienza di un uomo che ha distrutto sé stesso e i propri cari?
Traslazione
La transference, in italiano, è chiamata traslazione, o transfert, e il primo a studiarne gli effetti è stato Sigmund Freud. Chi ne è soggetto riversa su un individuo con cui ha attualmente una relazione sentimenti ed emozioni già provate in passato, solitamente con un familiare.
Non sempre è una condizione problematica, ma è un meccanismo mentale molto importante nella psicanalisi e viene per questo sfruttato per fini terapeutici. Il gioco è intitolato Transference perché il protagonista, lo scienziato Raymond Haynes, scopre di poter analizzare la coscienza degli umani in un modo del tutto nuovo: registrandola e trasformandola in una rappresentazione digitale che, tramite la realtà virtuale, è possibile visitare in prima persona, per comprendere e curare eventuali disagi. Senza dubbio un lodevole intento, che il luminare decide di provare però sui propri familiari, con risultati alquanto traumatici per tutte le parti in causa. E sarà proprio il frutto di questi esperimenti, le struggenti registrazioni del subconscio dei diversi componenti della famiglia dello studioso, il nostro snervante campo da gioco.
L'intero Transference è ambientato nella casa degli Haynes, ma si tratta di una rappresentazione decadente e schizofrenica, in grado di cambiare radicalmente ogni qualvolta che verranno premuti i diversi interruttori della luce sparsi per le stanze. Quel che ne esce fuori è una sorta di walking simulator alla Gone Home, che procede però con ritmi propri delle escape room: in ogni stanza c'è qualche rompicapo da superare per poter proseguire. Quelli di Transference sono enigmi puri, estremamente intelligenti ma non per questo illogici o insuperabili. Sono spesso basati su graffianti estratti sonori, ripetizioni tentacolari di scalinate che, unite all'atmosfera asfissiante, trasmettono sensazioni che potremo definire sfiancanti.
Transference non permette mai di ragionare in pace: pianti, urla, richieste d'aiuto da sintonizzare via radio, jump scare, scritte fatte di paura e sangue che sgocciolano davanti ai nostri occhi sono una costante che fa stringere i denti. E poi ci sono gli indizi da cercare, paesaggi mentali in controluce, parti di scenario mangiate da traumatici lapsus che andranno ripristinate esplorando ed interagendo con l'angosciante scenario. C'è tanta, troppo roba tutta insieme.
Da notare che senza realtà virtuale Transference perde tantissimo, anche solo per il fatto che è tramite un visore che la tecnologia di Raymond Haynes funziona. In VR c'è invece questo "sovraccarico sensoriale" che in qualche modo inficia il divertimento, al punto che arrivati a pochi metri dal finale non sapevamo se volerne ancora oppure sperare di non avere mai più a che fare con il prodotto. E visto che Transference dura poco più di tre ore, le sensazioni contrastanti non rappresentano certo un bel segnale. Graficamente il titolo se la cava però piuttosto bene, ma è il comparto audio quello che regge gran parte dell'atmosfera.
Transference: Enter the Home of a MindVersione Analizzata PlayStation 4Trama interessante, la maggior parte degli enigmi ben studiati, ma che fatica arrivare alla fine delle tre ore che compongono il gameplay di Transference. Il gioco scorre in maniera affannosa, sovrasta l'utente con input visivi e sonori, non gli lascia mai la serenità per apprezzare la costruzione del racconto. C'è qualche elemento, in Transference, che non gira come dovrebbe, e forse il problema sta proprio proprio dal punto di vista cinematografico: paradossalmente c'è molto più cinema in Batman Arkham VR che in questo titolo, e questo non ce lo saremmo mai aspettato dal primo progetto di un attore e due registi. Fortunatamente, a livello ludico, Transference è meglio di The Inpatience: al netto della fatica necessaria per portarlo a termine, questo gli garantisce una buona sufficienza.
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