Sviluppare un gioco basato su una licenza è da sempre sinonimo di azzardo per le case produttrici di software. Il rischio di realizzare un titolo dallo scarso mordente, lasciando che sia il fascino del marchio sfruttato a trainare le vendite è sempre dietro l'angolo, così come non di rado accade che ad un brand poco conosciuto corrisponda un'incarnazione videoludica dallo scarso spessore, dovuta ad una sorta di sfiducia nel prodotto finale, predestinato ad un'utenza di nicchia. Logico che il compito di “trasformare” in un titolo di successo i diritti della serie animata “Transformers: Armada” non fosse certo dei più banali, sia per la qualità non certo entusiasmante dell'opera da cui trarre ispirazione, che per il target di età molto basso a cui la stessa è rivolta. Diciamocelo: i transformers non sono più quelli degli anni ottanta, e non è certo la nostalgia per un cartone animato che ha accompagnato l'infanzia di molti a far storcere la bocca di fronte alla serie “Armada”. Tuttavia, Atari ha scommesso forte sul nuovo progetto, affidandolo ad una delle case di sviluppo interne più talentuose: quei Melbourne House già responsabili dell'ottimo Grand Prix Challenge. E se Markus Windelen, vice presidente dei Melbourne House, ha dichiarato in una recente intervista al nostro Pietro ‘Pit' Spina che Transformers è un gioco “in grado di competere con i grandi titoli che escono su PS2, come Metal Gear Solid 3, GTA San Andreas, etc...” un motivo ci deve pur essere.
Per un pugno di Minicon
L'ottimo filmato introduttivo di porta su di un Cybertron (pianeta natio dei Transformers) devastato dalla guerra civile tra Decepticons e Autobots. Lo scontro raggiunge il suo culmine quando Optimus Prime, capo degli Autobots, sembra avere la peggio contro il suo arcirivale Megatron. In quel momento giunge provvidenziale il segnale di soccorso dei Minicon, piccoli transformers capaci di donare poteri inimmaginabili ai propri fratelloni fondendosi con essi. Di fronte alla possibilità di mettere le mani su di un potere che credeva perduto (i Minicon erano infatti fuggiti ben mille anni prima), Megatron rinuncia inspiegabilmente a dare il colpo di grazia a Prime che non perde l'occasione per richiamare gli altri Autobots e organizzare l'inseguimento dei Decepticons. Manco a dirlo, le due fazioni dovranno contendersi il potere dei Minicon sulla nostra beneamata terra. Nei panni di uno dei tre Autobots il giocatore si troverà quindi immerso in scenari dall'elevato potere evocativo: si spazzia dalle intricate foreste amazzoniche alle innevate distese artiche. Una volta scelto il personaggio si viene catapultati nell'azione. Il primo impatto è disorientante, tanta è la vastità delle aree di gioco. L'orizzonte si perde a dismisura e, come se non bastasse, viene lasciata al giocatore completa libertà di movimento. Non esiste infatti un percorso obbligato da seguire per portare a termine il gioco, bensì una serie di checkpoint che si è liberi di rispettare o meno; più che tappe obbligate offrono infatti una struttura su cui il giocatore si può appoggiare nei momenti di smarrimento. La meccanica di gioco ricorda in larga misura quella già vista in Brute Force, uno dei titoli di maggior richiamo usciti lo scorso anno per X-Box. La telecamera virtuale riprende l'azione in terza persona, ma i comandi strizzano l'occhio agli sparatutto in prima persona piuttosto che ai platform tridimensionali o ai giochi d'azione. Con la levetta analogica sinistra si controllano gli spostamenti del proprio alterego: in avanti, indietro e lateralmente (il cosidetto strafe), mentre con l'analogico destro si controlla il mirino e quindi la rotazione del personaggio. Ad un primo approccio, il sistema di controllo può disorientare, ma con un minimo di esperienza si rivela preciso e reattivo. Tramite i quattro tasti dorsali si ha accesso all'arsenale degli Autobots, o meglio, si attivano i Minicons equipaggiati sul nostro robot. Una volta ritrovato uno dei piccoli automi è infatti possibile legarne l'effetto ad uno dei tasti d'azione. Ai tasti ‘r1' e ‘r2' è quindi possibile associare i Minicons ‘balistici' che attivano tutta una serie di armi, principali e secondarie, dotando l'Autobots di arsenali esplosivi o ad energia. Sui dorsali sinistri, invece, vengono agganciati i Minicons di ‘supporto', che donano al protagonista delle abilità aggiuntive, a volte necessarie per proseguire nel gioco (per esempio dotandolo di un paio di ali con cui planare su luoghi inaccessibili), altre volte semplicemente utili per districarsi nelle situazioni più complicate (scudi d'energia, accelerazioni repentine o la semplice capacità di rigenerare). Ciascun Minicons (e quindi ciascuna abilità) è legata ad una barra di “energon” che si ricarica col tempo e che viene consumata in proporzione alla potenza dell'effetto ottenuto: un lanciarazzi ad inseguimento consumerà più energon ed avrà bisogno di più tempo per ricaricasi del semplice blaster d'ordinanza. Naturalmente la scelta del personaggio influenza la dinamica di gioco: Optimus Prime è un vero e proprio arsenale semovente, lento ma letale, capace di equipaggiare un maggior numero di Minicon; Red Alert è il personaggio più bilanciato del gruppo, dotato di un elevato volume di fuoco e di una discreta velocità; Hot Shot infine è la vera testa calda del gruppo: compensa la scarsa potenza con un elevata velocità. Il gioco è un mix di esplorazione e di azione, con un baricentro che privilegia l'uso della forza bruta ma che non per questo esclude alternative allo scontro diretto. Fin dall'inizio si è dotati infatti di un utile funzione di zoom che permette vere e proprie operazioni di cecchinaggio, che risultano ancor più produttive se viene equipaggiato l'apposito Minicon. Inoltre la capacità di convertire il personaggio in un'autovettura risulta utile non soltanto per esplorare velocemente gli immensi scenari di gioco, ma anche per travolgere gruppi di ignari avversari per poi trasformarsi in corsa e bersargliarli in un'unica soluzione di letale continuità. Per quanto divertente, questa meccanica di gioco risulta però alle lunghe ripetitiva, soprattutto per chi, non conoscendo a fondo il brand ‘Transformers', non è forse invogliato a sufficienza ad esplorare il titolo in tutte le sue (numerosissime) sfaccettature. A compensare parzialmente il susseguirsi quasi senza scopo di una serie di scontri fra robot (com'era logico aspettarsi, la trama perde ben presto di mordente), abbiamo una progettazione sopraffina delle aree di gioco. Queste costringono il giocatore ad utilizzare con una certa frequenza la quasi totalità delle abilità a propria disposizione e presentano al loro interno tutta una serie di trovate che giustificano l'esplorazione approfondita. Cascate, antichi templi maya, edifici frantumabili sono solo una piccola parte di quello che aspetta il giocatore. A spezzare ulteriormente la monotonia dell'azione, gli scontri con i classici boss di fine livello sono quanto di più appagante si possa immaginare. Ciascun avversario deve essere approcciato con la giusta strategia e con l'equipaggiamento adatto, ed anche così costringe spesso il giocatore a veri e propri virtuosismi sul pad, percorrendo in lungo ed in largo i livelli appena esplorati.
Eye Candy
L'aspetto maggiormente curato del titolo è sicuramente quello tecnico. I ragazzi di Melbourne House hanno decisamente profuso tutti i loro sforzi per sfruttare a dovere l'hardware Sony. Come già ricordato, gli ambienti di gioco stupiscono per la loro vastità, e per resa visiva complessiva. Praticamente qualsiasi punto osservabile all'orizzonte è raggiungibile ed esplorabile. La cosa stupisce soprattutto se si considera che raramente ci si trova in ambienti chiusi o ad attraversare strade delimitate da pareti che precludono la visuale. La sensazione di libertà assoluta è inarrivabile, un traguardo considerevole tenendo conto di tutti gli effetti speciali che il motore riesce a gestire rimanendo (quasi) sempre ancorato sui 60 frame al secondo. Certo, il numero dei poligoni non fa gridare al miracolo, ma quando si esce da una foresta completamente tridimensionale e si affronta un'orda di avversari, tra esplosioni, effetti di luce, motion blur e lo spettacolo di una cascata nelle vicinanze, non ci si può esimere dal lodare l'ottimo lavoro svolto a livello di programmazione. Senza contare che il motore grafico non cede neppure durante gli scontri con i boss di fine livello, scontri che pur svolgendosi nelle stesse arene di gioco ci mettono di fronte ad avversari realizzati con classe e cura nei particolari, alcuni dei quali dalle dimensioni letteralmente ciclopiche. Meno curato il comparto audio. Nella norma gli effetti sonori (anche se rimane mitico il rumore della trasformazione dei nostri eroi), decisamente sottotono le musiche, se non altro non altezza di tanta maestosità visiva. A sottolineare la cura riposta nella realizzazione del titolo, un'impressionante dotazione di inserti speciali che rappresentano un ulteriore incentivo alla rigiocabilità. Infatti, schizzi, musiche, filmati, istruzioni di montaggio dei giocattoli, si rendono disponibili soltanto dopo aver recuperato durante il gioco l'apposito “Datacon”, nella sostanza nient'altro che un Minicon di colore diverso che anziché dotare il nostro alter-ego di nuovi potere sblocca una special feature. Tra tutte vale la pena di ricordare i fumetti della serie Armada, e una serie di pubblicità progresso della serie degli anni '80 andata in onda soltanto in America, una vera chicca per gli appassionati di vecchia data.
I segreti della trasformazione
L'unico, vero problema del titolo Atari è forse quello di essere legato ad una licenza non soltanto poco conosciuta qui in Italia (la serie è trasmessa solo via satellite), ma anche decisamente poco accattivante. Non si può non sottolineare come il gioco avrebbe acquistato ben altro spessore se basato sulla vecchia serie o se addirittura slegato dall'universo dei Transformers. La ricerca dei Minicon e dei Datacon perde presto di mordente se non per equipaggiare una nuova abilità o sbloccare uno dei numerosi contenuti speciali. In verità non sono moltissime le persone interessate a visionare le foto di preproduzione del giocattolo di Optimus Prime o di osservarne le istruzioni. La peggiore pecca del titolo è quindi riassumibile in una mancanza generale di carisma che più che legata alla realizzazione o alla progettazione del gioco è intrinseca alla licenza. Naturalmente il discorso cambia per gli appassionati di Transformers:Armada; per tutti loro l'ultima fatica Atari è un titolo imperdibile, forse proprio perché riesce a tirare fuori il meglio da una serie non propriamente esaltante. L'ottima realizzazione tecnica accompagna e sottolinea a dovere un gioco divertente, curato e ricco di particolari, forse eccessivamente ripetitivo, ma sufficientemente longevo ed appagante. Il consiglio è quello di dimenticare la licenza su cui è basato il titolo, e dare comunque una possibilità (anche solo per un noleggio) ad un titolo che potrebbe rivelarsi per molti una graditissima sorpresa.
Transformers: la recensione del videogioco per PS2
Leggi la nostra recensione e le opinioni sul videogioco Transformers: la recensione del videogioco per PS2 - 1185
Pronti Alla Trasformazione
Sviluppare un
gioco basato su una licenza è da sempre sinonimo di azzardo per le case
produttrici di software. Il rischio di realizzare un titolo dallo scarso
mordente, lasciando che sia il fascino del marchio sfruttato a trainare le
vendite è sempre dietro l'angolo, così come non di rado accade che ad un brand
poco conosciuto corrisponda un'incarnazione videoludica dallo scarso spessore,
dovuta ad una sorta di sfiducia nel prodotto finale, predestinato ad un'utenza
di nicchia. Logico che il compito di “trasformare” in un titolo di successo i
diritti della serie animata “Transformers: Armada” non fosse certo dei più
banali, sia per la qualità non certo entusiasmante dell'opera da cui trarre
ispirazione, che per il target di età molto basso a cui la stessa è rivolta.
Diciamocelo: i transformers non sono più quelli degli anni ottanta, e non è
certo la nostalgia per un cartone animato che ha accompagnato l'infanzia di
molti a far storcere la bocca di fronte alla serie “Armada”. Tuttavia, Atari ha
scommesso forte sul nuovo progetto, affidandolo ad una delle case di sviluppo
interne più talentuose: quei Melbourne House già responsabili dell'ottimo Grand
Prix Challenge. E se Markus Windelen, vice presidente dei Melbourne House, ha
dichiarato in una recente intervista al nostro Pietro ‘Pit' Spina che
Transformers è un gioco “in grado di competere con i grandi titoli che escono su
PS2, come Metal Gear Solid 3, GTA San Andreas, etc...” un motivo ci deve pur
essere.
Per un pugno di Minicon
L'ottimo filmato introduttivo di porta su di un Cybertron (pianeta
natio dei Transformers) devastato dalla guerra civile tra Decepticons e
Autobots. Lo scontro raggiunge il suo culmine quando Optimus Prime, capo degli
Autobots, sembra avere la peggio contro il suo arcirivale Megatron. In quel
momento giunge provvidenziale il segnale di soccorso dei Minicon, piccoli
transformers capaci di donare poteri inimmaginabili ai propri fratelloni
fondendosi con essi. Di fronte alla possibilità di mettere le mani su di un
potere che credeva perduto (i Minicon erano infatti fuggiti ben mille anni
prima), Megatron rinuncia inspiegabilmente a dare il colpo di grazia a Prime che
non perde l'occasione per richiamare gli altri Autobots e organizzare
l'inseguimento dei Decepticons. Manco a dirlo, le due fazioni dovranno
contendersi il potere dei Minicon sulla nostra beneamata terra. Nei panni di uno
dei tre Autobots il giocatore si troverà quindi immerso in scenari dall'elevato
potere evocativo: si spazzia dalle intricate foreste amazzoniche alle innevate
distese artiche. Una volta scelto il personaggio si viene catapultati
nell'azione. Il primo impatto è disorientante, tanta è la vastità delle aree di
gioco. L'orizzonte si perde a dismisura e, come se non bastasse, viene lasciata
al giocatore completa libertà di movimento. Non esiste infatti un percorso
obbligato da seguire per portare a termine il gioco, bensì una serie di
checkpoint che si è liberi di rispettare o meno; più che tappe obbligate offrono
infatti una struttura su cui il giocatore si può appoggiare nei momenti di
smarrimento. La meccanica di gioco ricorda in larga misura quella già vista in
Brute Force, uno dei titoli di maggior richiamo usciti lo scorso anno per X-Box.
La telecamera virtuale riprende l'azione in terza persona, ma i comandi
strizzano l'occhio agli sparatutto in prima persona piuttosto che ai platform
tridimensionali o ai giochi d'azione. Con la levetta analogica sinistra si
controllano gli spostamenti del proprio alterego: in avanti, indietro e
lateralmente (il cosidetto strafe), mentre con l'analogico destro si controlla
il mirino e quindi la rotazione del personaggio. Ad un primo approccio, il
sistema di controllo può disorientare, ma con un minimo di esperienza si rivela
preciso e reattivo. Tramite i quattro tasti dorsali si ha accesso all'arsenale
degli Autobots, o meglio, si attivano i Minicons equipaggiati sul nostro robot.
Una volta ritrovato uno dei piccoli automi è infatti possibile legarne
l'effetto ad uno dei tasti d'azione. Ai tasti ‘r1' e ‘r2' è quindi possibile
associare i Minicons ‘balistici' che attivano tutta una serie di armi,
principali e secondarie, dotando l'Autobots di arsenali esplosivi o ad energia.
Sui dorsali sinistri, invece, vengono agganciati i Minicons di ‘supporto', che
donano al protagonista delle abilità aggiuntive, a volte necessarie per
proseguire nel gioco (per esempio dotandolo di un paio di ali con cui planare su
luoghi inaccessibili), altre volte semplicemente utili per districarsi nelle
situazioni più complicate (scudi d'energia, accelerazioni repentine o la
semplice capacità di rigenerare). Ciascun Minicons (e quindi ciascuna abilità) è
legata ad una barra di “energon” che si ricarica col tempo e che viene consumata
in proporzione alla potenza dell'effetto ottenuto: un lanciarazzi ad
inseguimento consumerà più energon ed avrà bisogno di più tempo per ricaricasi
del semplice blaster d'ordinanza. Naturalmente la scelta del personaggio
influenza la dinamica di gioco: Optimus Prime è un vero e proprio arsenale
semovente, lento ma letale, capace di equipaggiare un maggior numero di Minicon;
Red Alert è il personaggio più bilanciato del gruppo, dotato di un elevato
volume di fuoco e di una discreta velocità; Hot Shot infine è la vera testa
calda del gruppo: compensa la scarsa potenza con un elevata velocità. Il gioco è
un mix di esplorazione e di azione, con un baricentro che privilegia l'uso
della forza bruta ma che non per questo esclude alternative allo scontro
diretto. Fin dall'inizio si è dotati infatti di un utile funzione di zoom che
permette vere e proprie operazioni di cecchinaggio, che risultano ancor più
produttive se viene equipaggiato l'apposito Minicon. Inoltre la capacità di
convertire il personaggio in un'autovettura risulta utile non soltanto per
esplorare velocemente gli immensi scenari di gioco, ma anche per travolgere
gruppi di ignari avversari per poi trasformarsi in corsa e bersargliarli in
un'unica soluzione di letale continuità. Per quanto divertente, questa
meccanica di gioco risulta però alle lunghe ripetitiva, soprattutto per chi, non
conoscendo a fondo il brand ‘Transformers', non è forse invogliato a
sufficienza ad esplorare il titolo in tutte le sue (numerosissime)
sfaccettature. A compensare parzialmente il susseguirsi quasi senza scopo di una
serie di scontri fra robot (com'era logico aspettarsi, la trama perde ben
presto di mordente), abbiamo una progettazione sopraffina delle aree di gioco.
Queste costringono il giocatore ad utilizzare con una certa frequenza la quasi
totalità delle abilità a propria disposizione e presentano al loro interno tutta
una serie di trovate che giustificano l'esplorazione approfondita. Cascate,
antichi templi maya, edifici frantumabili sono solo una piccola parte di quello
che aspetta il giocatore. A spezzare ulteriormente la monotonia dell'azione,
gli scontri con i classici boss di fine livello sono quanto di più appagante si
possa immaginare. Ciascun avversario deve essere approcciato con la giusta
strategia e con l'equipaggiamento adatto, ed anche così costringe spesso il
giocatore a veri e propri virtuosismi sul pad, percorrendo in lungo ed in largo
i livelli appena esplorati.
Eye
L'aspetto maggiormente curato delCandy
titolo è sicuramente quello tecnico. I ragazzi di Melbourne House hanno
decisamente profuso tutti i loro sforzi per sfruttare a dovere l'hardware Sony.
Come già ricordato, gli ambienti di gioco stupiscono per la loro vastità, e per
resa visiva complessiva. Praticamente qualsiasi punto osservabile all'orizzonte
è raggiungibile ed esplorabile. La cosa stupisce soprattutto se si considera che
raramente ci si trova in ambienti chiusi o ad attraversare strade delimitate da
pareti che precludono la visuale. La sensazione di libertà assoluta è
inarrivabile, un traguardo considerevole tenendo conto di tutti gli effetti
speciali che il motore riesce a gestire rimanendo (quasi) sempre ancorato sui 60
frame al secondo. Certo, il numero dei poligoni non fa gridare al miracolo, ma
quando si esce da una foresta completamente tridimensionale e si affronta
un'orda di avversari, tra esplosioni, effetti di luce, motion blur e lo
spettacolo di una cascata nelle vicinanze, non ci si può esimere dal lodare
l'ottimo lavoro svolto a livello di programmazione. Senza contare che il motore
grafico non cede neppure durante gli scontri con i boss di fine livello, scontri
che pur svolgendosi nelle stesse arene di gioco ci mettono di fronte ad
avversari realizzati con classe e cura nei particolari, alcuni dei quali dalle
dimensioni letteralmente ciclopiche. Meno curato il comparto audio. Nella norma
gli effetti sonori (anche se rimane mitico il rumore della trasformazione dei
nostri eroi), decisamente sottotono le musiche, se non altro non altezza di
tanta maestosità visiva. A sottolineare la cura riposta nella realizzazione del
titolo, un'impressionante dotazione di inserti speciali che rappresentano un
ulteriore incentivo alla rigiocabilità. Infatti, schizzi, musiche, filmati,
istruzioni di montaggio dei giocattoli, si rendono disponibili soltanto dopo
aver recuperato durante il gioco l'apposito “Datacon”, nella sostanza
nient'altro che un Minicon di colore diverso che anziché dotare il nostro
alter-ego di nuovi potere sblocca una special feature. Tra tutte vale la pena di
ricordare i fumetti della serie Armada, e una serie di pubblicità progresso
della serie degli anni '80 andata in onda soltanto in America, una vera chicca
per gli appassionati di vecchia data.
I segreti della trasformazione
L'unico, vero problema del titolo
Atari è forse quello di essere legato ad una licenza non soltanto poco
conosciuta qui in Italia (la serie è trasmessa solo via satellite), ma anche
decisamente poco accattivante. Non si può non sottolineare come il gioco avrebbe
acquistato ben altro spessore se basato sulla vecchia serie o se addirittura
slegato dall'universo dei Transformers. La ricerca dei Minicon e dei Datacon
perde presto di mordente se non per equipaggiare una nuova abilità o sbloccare
uno dei numerosi contenuti speciali. In verità non sono moltissime le persone
interessate a visionare le foto di preproduzione del giocattolo di Optimus Prime
o di osservarne le istruzioni. La peggiore pecca del titolo è quindi
riassumibile in una mancanza generale di carisma che più che legata alla
realizzazione o alla progettazione del gioco è intrinseca alla licenza.
Naturalmente il discorso cambia per gli appassionati di Transformers:Armada; per
tutti loro l'ultima fatica Atari è un titolo imperdibile, forse proprio perché
riesce a tirare fuori il meglio da una serie non propriamente esaltante.
L'ottima realizzazione tecnica accompagna e sottolinea a dovere un gioco
divertente, curato e ricco di particolari, forse eccessivamente ripetitivo, ma
sufficientemente longevo ed appagante. Il consiglio è quello di dimenticare la
licenza su cui è basato il titolo, e dare comunque una possibilità (anche solo
per un noleggio) ad un titolo che potrebbe rivelarsi per molti una graditissima
sorpresa.
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