Recensione Twin Caliber

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Violenza gratuita e mal espressa

Al delle sconvolgenti fattezze da “portatore di grandi novità” con il quale Twin Caliber ha il coraggio di presentarsi, ben poco gradevole risulta la sua presenza in questo particolare momento della Line Up Ps2. Acclamato dal solo proprio distributore come l’unico sparatutto in cui è possibile utilizzare due armi contemporaneamente, risulta invece terribilmente ingiocabile e incombe minacciosamente sulla produzione pre-natalizia per la console targata Sony che sembra, con questo titolo, aver toccato il fondo.

La giustificazione formale per i litri di sangue che verranno a versarsi si presenta come una serie di bianchi sottotitoli su sfondo nero, portatori di una storia ridotta all’osso, senza cause, conseguenze, e neppure corpo centrale. Solo una non meglio precisata Setta, e alcuni non più specificatamente presentati Mutanti.
Selezionando uno dei due personaggi disponibili, caratterizzati da uno stile del tutto B-Movie, nell’aspetto e nella voce, si da inizio alla faticosa fuga per la libertà.
Nell’avanzare dall’interno di un penitenziario verso chissà quale luogo libero dalla peste rossa che affligge tutta la popolazione dell’ignota cittadina, sembra strano, ma ci sarà poco da divertirsi.
L’unico scopo del giocatore si rivelerà essere quello di muovere sconclusionatamente le levette analogiche, in modo da controllare le braccia (entrambe) dell’Alter Ego (?) digitale, così da puntare con le micidiali armi in dotazione il primo bersaglio mobile visibile sullo schermo.
Grazie poi ad una continuata pressione dei tasti dorsali, incontrollata dalla consapevolezza della scorta inesauribile di proiettili, la risultante delle ingarbugliate azioni di gioco si risolve nell’annientamento dell’avversario orripilante di turno. Ad andare avanti camminando, ci penserà la CPU.
Tralasciando la discutibilità delle scelte di quest’ultima, ben si capisce come, alla lunga, un’impostazione di questo tipo, non possa che risultare triviale e frustrante.
Adesso aggiungiamo il fatto che l’azione di gioco scorre terribilmente lenta. Sia per l’assurda pacatezza dei personaggi, sia per le scene d’intermezzo (inutili dal punto di vista coreografico, unica funzione che gli sviluppatori avrebbero gradito avessero) che interrompono continuamente il proseguir dell’opera, attraversare un corridoio lungo si e no 10 metri comporterà circa 3-4 minuti.
Si consideri poi che la pregevolezza grafica e sonora del titolo lascia assai desiderare. Sebbene i modelli poligonali possano essere considerati come accettabili, le intricate pose guidate dall’iniziale e non solo difficoltà di controllo sono addirittura risibili. Giunture ed ossa sono sostituite da una sostanza gommosa e allungabile che spesso s’intreccia attorno alla gabbia toracica, e la prospettiva di puntamento rimane totalmente ininfluente sulla posizione della testa del personaggio (che, coerentemente con lo stile di cui sopra, cammina con lo sguardo verso la fine, crivellando di colpi nemici alle sue spalle): immaginate voi quanto la situazione possa risultare piacevole all’occhio.
Gli effetti sonori, per finire, risultano ripetiti e sovrastanti una squallida musichetta di sottofondo.

Cito, ad onor di cronaca, la modalità in doppio, in cui, affiancati da un amico che rimarrà tale ancora per poco, verrete sommersi da ben quattro linee tratteggiate indicanti la traiettoria dei proiettili, col risultato unico di moltiplicare i rallentamenti ed aggiungere quel pizzico di confusione che rende nulla la fruibilità.

Le note che hanno accompagnato tutta la trattazione si sarebbero potute raccogliere nell’assolo finale di un triste grido di disprezzo.
Tuttavia rimango consapevole del fatto che ormai avrete capito e, citando Seneca, mi appello al silenzio, poiché “ogni parola è poco per lo sdegno”.