Voice of Cards The Beasts of Burden Recensione: il nuovo gioco di Yoko Taro

Il creatore di Drakengard e NieR torna con un nuovo JRPG basato sulle carte, ultimo di una serie di tre giochi usciti in meno di un anno.

Voice of Cards The Beasts of Burden Recensione: il nuovo gioco di Yoko Taro
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  • Pc
  • PS4
  • Switch
  • PS4 Pro
  • Ormai abituati ad attendere lunghi anni prima di poter mettere le mani sull'ultimo episodio delle nostre saghe videoludiche preferite - e assuefatti ai continui rinvii dovuti ai contraccolpi subiti dall'industria a causa della pandemia - è senz'altro inusuale assistere all'uscita di tre episodi di una serie nell'arco di neanche undici mesi. Il perché è presto spiegato: Voice of Cards: The Beasts of Burden si pone in stretta continuità con i suoi predecessori, soprattutto dal lato tecnico e da quello del gameplay, andando sul sicuro e non spingendo in alcun modo sulle capacità degli hardware su cui è disponibile a partire dallo scorso 13 settembre.

    Continuità, dicevamo, o pigrizia, per i più maliziosi. The Beasts of Burden non solo non rinnova la serie, ma anzi fa leva sui più triti stereotipi tipici dei JRPG, senza che la penna di Yoko Taro riesca a dare grinta a una storia che tenta di decollare soltanto nelle sue ultimissime battute, e senza che il sistema di gioco, come al solito basato sulle carte, acquisisca una profondità degna di un capolavoro come Slay the Spire. Se volete approfondire le caratteristiche dei due precedenti capitoli della serie Voice of Cards, vi rimandiamo alla recensione di Voice of Cards: The Isle Dragon Roars e alla recensione di Voice of Cards: The Forsaken Maiden.

    E quindi uscimmo a riveder le stelle

    La storia di The Beasts of Burden comincia in un villaggio sotterraneo da tempo minacciato dai mostri. Da dove vengono? Qual è il loro obiettivo? La giovane protagonista della storia, ad appena 14 anni, non si pone troppe domande: è infatti occupata a difendere le persone che ama - e in particolare sua madre - per approfondire la natura della misteriosa minaccia.

    È proprio la mamma della ragazza a fornire uno spunto di riflessione sulle carenze narrative dell'ultima fatica di Yoko Taro e soci. In uno dei più abusati cliché della storia videoludica (e non solo), la donna viene trucidata da un gigantesco troll dopo nemmeno un'ora di gioco. Se è vero che l'espediente narrativo è davvero troppo semplice e trito per stupire o emozionare, i problemi arrivano leggendo la storia del personaggio in questione.

    In un'apposita sezione del menu è infatti possibile approfondire gli obiettivi, le caratteristiche e le aspirazioni di protagonisti, comprimari e nemici: sulle prime si sblocca una singola faccia della carta, mentre soltanto dopo un sufficiente numero di incontri o al verificarsi di particolari eventi si potrà scoprire di più. Alla morte della donna - trovata riversa in un lago di sangue dalla figlia - si apprende che era la guerriera più forte del villaggio prima di restare incinta. Difficile capire in che modo il sopravvenuto stato di gravidanza abbia potuto renderla del tutto incapace di difendersi, portandola a una fine tanto tragica quanto di mero servizio rispetto a un forzato patetismo del racconto. La distruzione del villaggio porta la ragazza a dover uscire dai sotterranei in cui vive, ormai in procinto di crollare, e a doversi gettare alle spalle il proprio passato.

    Uscendo dalla sua casa, la guerriera ammira il cielo e scopre che il sole non cede mai il posto alle stelle che lei sognava di vedere: si tratta di uno dei tanti riferimenti all'universo di Drakengard/Nier che - ne siamo certi - gli appassionati ai lavori di Yoko Taro non potranno che apprezzare.Nelle prime fasi dell'avventura si incontra il resto del team. Un tenebroso guerriero, uno studioso un po' svampito e una ragazzina dal passato misterioso: i protagonisti non riescono a lasciare il segno e la memoria delle loro vicende svanisce nel giro di qualche ora.

    Fortuna che il character design di Keiichi Okabe solleva le sorti del gioco da un punto di vista estetico, fornendo a The Beasts of Burden alcuni design memorabili, in particolare per i mostri che i protagonisti si trovano ad affrontare nel corso di quel che è un viaggio completabile in una quindicina di ore.

    Non bisogna aspettarsi un gran che dagli sviluppi della storia, il cui twist narrativo nelle battute finali è ampiamente intuibile fin dalle primissime battute del gioco. Menzione d'onore per la piacevolissima voce narrante, che vi consigliamo di non disattivare quando, nella scelta delle opzioni, ve ne sarà data la possibilità: l'abbiamo trovata un vero e proprio valore aggiunto nel contesto di uno scenario non eccelso dal punto di vista della scrittura.

    Botte da orbi a colpi di carte

    Come nei due predecessori, il sistema di gioco di The Beasts of Burden è interamente fondato sulle carte. Quando parliamo di "sistema di gioco" ci riferiamo all'esplorazione, alla narrazione e pure ai numerosi combattimenti che dovremo affrontare: il movimento dei personaggi è rappresentato da una pedina che va spostata sulle carte che compongono il mondo; sono sempre delle carte a rappresentare i personaggi stessi e i comprimari con cui si trovano a dialogare; infine, le azioni che possono essere intraprese in combattimento sono anch'esse carte da gestire e scegliere in funzione delle nostre strategie.

    Questa semplicità è stata senz'altro la chiave per consentire al team di sviluppare tre episodi della serie in brevissimo tempo. Arrivati a quest'ultimo, però, si può dire che vi sia stata una continuità forse eccessiva, cui è subentrato un certo senso di ripetitività.

    Altra nota dolente è un livello di difficoltà decisamente troppo accomodante, che subisce una repentina impennata negli ultimissimi scontri dell'avventura, tanto che si rischia di arrivare al finale impreparati e fin troppo confidenti nelle proprie capacità. A ben guardare, ci siamo trovati a utilizzare gli stessi set di carte per lunghe ore, senza in alcun modo avvertire la necessità di rivedere strategie o composizione del "mazzo" (solo impropriamente definibile tale, perché in realtà le carte/azione non si "pescano", e sono sempre a disposizione del giocatore, purché abbia a disposizione le gemme necessarie per impiegarle).

    Non si percepisce alcun senso d'urgenza nelle proprie scelte: per fare un esempio, quando veniamo avvertiti che non potremo più rientrare in una determinata città, bastano pochi passi per trovare un insediamento di mercanti che offrono gli stessi oggetti in commercio nel luogo a noi appena precluso. Manca un'autentica tensione narrativa, quindi, e allo stesso modo le nostre scelte, sia in combattimento che nelle fasi preparatorie, non contano un granché. Si è spinti costantemente a giocare sul sicuro, abbandonando le carte da combinare al lancio di un dado perché troppo rischiose: meglio fare un danno certo piuttosto che rimettersi al capriccio dei dadi e all'incognita dei numeri che risultano dal lancio.

    Questa mancanza di tensione, unita al ritmo davvero compassato, toglie urgenza e mordente all'avventura in un mondo in cui le sorprese delle "carte evento", progettate per aggiungere pepe agli scontri più importanti, non sono sufficienti per coinvolgere la mente e il cuore del giocatore.

    The Beasts of Burden è dotato di un'ottima traduzione italiana, e le musiche risulteranno riconoscibili e piacevoli per gli amanti di Nier, Nier: Automata e Drakengard 3: torna infatti il compositore Keiichi Okabe, capace di strutturare un contrappunto sonoro azzeccato e ispirato, pur privo di un tema davvero memorabile. Dal punto di vista tecnico, la nostra prova su PlayStation 5 della versione PlayStation 4 del titolo è stata impeccabile, ma come detto il livello tecnico del titolo è ampiamente gestibile dalle console di vecchia generazione e da PC di fascia medio-bassa.

    Voice of Cards: The Beasts of Burden Voice of Cards: The Beasts of BurdenVersione Analizzata PlayStation 4Voice of Cards: The Beasts of Burden ricicla estetica e idee dai due predecessori, e una trama priva di mordente rischia di fallire nel coinvolgere i giocatori nelle vicende della guerriera e dei suoi compagni. Non aiutano cliché fin troppo abusati e un sistema di combattimento interessante, ma non adeguatamente sviluppato. The Beasts of Burden sottovaluta i giocatori e potrebbe sì essere un buon entry point per chi non è avvezzo al mondo dei JRPG, ma ci sentiremmo di consigliarlo soltanto agli appassionati di Yoko Taro e dell’universo DrakeNier, che potranno cogliere riferimenti nella narrazione e nelle ambientazioni di un titolo che, per il resto, risulta facilmente dimenticabile.

    6.5

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