Voice of Cards The Forsaken Maiden: recensione del nuovo gioco di Yoko Taro

A quattro mesi da The Isle Dragon Roars, Square Enix torna con un secondo capitolo fin troppo simile al precedente, sia nei pregi che nei difetti.

Voice of Cards The Forsaken Maiden: recensione del nuovo gioco di Yoko Taro
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  • PS4
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  • Voice of Cards - The Isle Dragon Roars, pubblicato ad Ottobre 2021, è stato uno dei progetti più interessanti - almeno sulla carta - della Square Enix degli ultimi anni: un titolo affascinante e sperimentale, per quanto a conti fatti si sia rivelato un esperimento in cui la stessa Square ha forse creduto troppo poco (ne abbiamo parlato nella recensione di Voice of Cards The Isle Dragon Roars). È per questo che ritrovarsi per le mani un nuovo capitolo a soli quattro mesi di distanza fa un effetto molto strano; le tempistiche sono a dir poco inusuali, ma da un certo punto di vista l'annuncio di Voice of Cards - The Forsaken Maiden poteva far pensare a un tentativo dell'azienda di rimediare con celerità alle imprecisioni del primo gioco.

    Invece questo seguito è un prodotto caratterizzato dagli stessi identici problemi, ma anche dalle medesime virtù, del suo predecessore. Scriverne una recensione diventa dunque un compito alquanto complicato, perché The Forsaken Maiden è similissimo a The Isle Dragon Roars in quasi tutti gli aspetti. Quantomeno, il titolo non è in alcun modo collegato al primo, ed è per questo accessibile liberamente da tutti.

    Una nuova storia

    Se il capostipite della serie era in tutto e per tutto una sorta di sublimazione del JRPG classico che insisteva sui soliti cliché a cui il genere ci ha abituati, The Forsaken Maiden riprende le suggestioni - a livello puramente strutturale - di videogiochi come Skies of Arcadia e Suikoden IV. Il mondo in cui è ambientato si compone infatti di tante piccole isole disseminate all'interno di un mare che sembra estendersi all'infinito e che va esplorato a bordo di una nave disponibile sin dai primi momenti dell'esperienza. Anche questa volta, il twist è che tutto, dai personaggi fino alle ambientazioni, passando per le finestre di dialogo, è presentato sotto forma di carte, donando all'opera quel feeling da gioco da tavolo così squisitamente caratteristico.

    Questa volta impersoneremo Nel, un giovane eroe che incontra Jeri, una misteriosa ragazza muta, decidendo di accompagnarla in un'avventura alla ricerca dei ricettacoli delle sacerdotesse, di cui la fanciulla vuole far parte per proteggere l'Isola del Crepuscolo, giunta ormai sull'orlo all'alba della sua fine.Il loro viaggio via mare li porta a visitare l'arcipelago e ad allearsi con le vestali delle isole e i loro compagni per ottenere tutti gli oggetti necessari a completare il rituale di Jeri e permetterle di mettersi al servizio della popolazione.

    Una trama che sembra molto simile a quella di altri GDR, ma che in certi frangenti riesce a far emergere qualche accenno di personalità in più. Se messa a confronto con quella di The Isle Dragon Roars, la narrativa di The Forsaken Maiden sembra essere molto più in linea con lo stile di Yoko Taro, che in questa seconda produzione sembra aver avuto un ruolo creativo decisamente meno marginale rispetto alla scorsa avventura, nonostante ricopra di nuovo la posizione "manageriale" di creative director.

    Il problema è che, esattamente come accadeva nel primo Voice of Cards, anche in questo caso la narrazione soffre particolarmente la fretta con cui sembra essere stata progettata. In quella che ancora una volta sembra voler essere una semplificazione delle lungaggini narrative del JRPG, The Forsaken Maiden si lascia andare a una discutibile gestione dei ritmi dell'esposizione. La storia sembra infatti dover andare per forza di corsa, senza concedersi davvero il tempo necessario per approfondire correttamente i suoi aspetti più affascinanti.

    Poche aggiunte significative

    Rispetto al primo Voice of Cards, The Forsaken Maiden introduce qualche piccola novità, principalmente legata alla quality of life del titolo. La nuova

    modalità veloce permette di accelerare i combattimenti, andando a limare così la durata degli scontri che, nel computo finale, rappresentavano la sezione del gioco più lenta nell'esecuzione. Ottima anche l'introduzione delle mosse speciali combinate utilizzabili dalle vestali e dai loro partner al costo di numerose gemme (che sono, in breve, l'equivalente "materiale" dei più classici MP): quando attivate, infatti, i due personaggi si fondono in una sola carta su cui campeggia un'inedita illustrazione di coppia e scatenano sul campo tutta la loro forza. Per il resto le meccaniche sono le stesse viste quattro mesi fa, affascinanti nell'idea ma piuttosto limitate pad alla mano.

    Anche il mondo di gioco ha subìto una lieve revisione, trasformando The Forsaken Maiden in un gioco dal sapore più open world grazie alle sue infinite distese azzurre da attraversare via nave. Lo stesso vale per i (pochi) dungeon, che ora si articolano in maniera un po' più complessa ed elegante; eppure, questo generale ingrandimento mal si sposa con le meccaniche legate all'esplorazione, che risultavano lente già nello scorso capitolo, decisamente più compatto a livello di estensione spaziale.

    In generale il feeling è lo stesso di The Isle Dragon Roars, con le sue atmosfere sognanti, la meravigliosa colonna sonora firmata da Keiichi Okabe, la presentazione unica nel suo genere a livello estetico e la voce del narratore impegnata nel dare vita alle ambientazioni suggerite dalle carte. Data la sua natura di sequel che reitera lo stesso concept a soli quattro medi di distanza, però, tutto sembra decisamente più stanco.

    Potenziale inespresso

    A suscitare più di un dubbio circa la natura stessa di The Forsaken Maiden è il fatto che si tratti di un capitolo completamente slegato dal precedente. Se è

    vero che da un lato questa scelta permetterà al pubblico di neofiti di tuffarsi nell'avventura senza bisogno di recuperare The Isle Dragon Roars, dall'altro tutti i giocatori del primo episodio accuseranno necessariamente il contraccolpo di una formula che ripropone persino gli stessi identici e ineludibili tutorial già visti quattro mesi fa. A quanto pare, Voice of Cards è così: un gioco che va di fretta e che in entrambe le sue incarnazioni ha in parte sprecato una discreta dose del suo enorme potenziale. Al pari del suo predecessore, The Forsaken Maiden ha comunque personalità da vendere, merito dell'idea geniale di riutilizzare in maniera così innovativa le carte da gioco, in un mondo in cui i deckbuilder e i card game hanno preso d'assalto una porzione notevole di mercato. Ciononostante, l'impressione è che ancora una volta non tutti gli aspetti della sua formula siano stati trattati con la giusta attenzione.

    A conti fatti, per migliorare la qualità dell'esperienza servirebbe solamente una narrativa capace di prendersi i suoi tempi per far emergere la forza di un worldbuilding che chiede a gran voce di potersi esprimere in libertà. Il fatto che tra The Forsaken Maiden e The Isle Dragon Roars siano passati solamente quattro mesi e a fronte delle poche (per quanto a tratti significative) innovazioni di gameplay, sembra testimonianza di una fretta produttiva che non permette a questa pur intrigante proprietà intellettuale di mostrare a dovere le sue qualità.

    Voice of Cards: The Forsaken Maiden Voice of Cards: The Forsaken MaidenVersione Analizzata PlayStation 4Quella di Voice of Cards è un'operazione dalla natura incerta: troppo poco tempo tra un capitolo e l'altro, troppi pochi cambiamenti, troppa reiterazione dei medesimi inciampi. Certo, qualche aggiunta c'è e si vede, in particolare per quanto riguarda la scrittura, che fa trasparire meglio lo stile tipico di Yoko Taro, ma esattamente come nel capitolo precedente il gioco non si concede il tempo necessario per esprimersi al meglio. Le carte, perlomeno, sono ancora meravigliose.

    7

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