Werewolf The Apocalypse Earthblood Recensione: un lupo senza artigli

La nuova opera dagli autori di Call of Cthulhu non è riuscita a convincerci: il licantropo di Cyanide è un gioco d'azione davvero obsoleto.

Werewolf The Apocalypse Earthblood 4K
Recensione: Multi
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Disponibile per
  • Pc
  • PS4
  • Xbox One
  • PS5
  • Xbox Series X
  • Il team Cyanide è un collettivo di autori francesi che sta ancora aspettando di compiere l'effettivo salto di qualità nel mercato videoludico. Non che i suoi sforzi passati siano totalmente dimenticabili: come potete leggere nella nostra recensione di Styx: Shard of Darkness, infatti, quello con protagonista il piccolo goblin è uno stealth game di tutto rispetto, e l'avventura grafica Call of Cthulhu (recuperate qui la nostra recensione di Call of Cthulhu), pur arrancando sotto molti aspetti, resta comunque meritevole di attenzione, soprattutto da parte dei fan dei capolavori di Lovecraft. Purtroppo, con Werewolf The Apocalypse Earthblood lo studio ha compiuto un passo indietro: quella che sulla carta avrebbe dovuto rappresentare la sua opera più ambiziosa si è dimostrata invece un action con elementi ruolistici che sembra provenire da un passato lontano, arretrato nelle meccaniche ludiche e obsoleto sul versante tecnico. La licenza del World of Darkness avrebbe potuto dare a Cyanide una marcia in più nella composizione di un'esperienza soddisfacente sul piano narrativo e solida su quello del gameplay, ma il risultato è un gioco fuori tempo massimo, in cui alcune buone idee vengono sbranate da evidenti limiti produttivi.

    Il richiamo della foresta in una storia ambientalista

    Gaia, la madre Terra, soffre come non mai: l'equilibrio tra le tre forze primigenie che la governano sta progressivamente allentandosi, permettendo alla Corruzione di deturparla e consumarla poco alla volta. E la colpa è anche degli uomini: nutrendosi di cupidigia e odio, la razza umana è un'involontaria alleata di quella dissanguante forza originaria che tutto annichilisce, divorando famelicamente i frutti di Gaia.

    Con una bella introduzione da piglio documentaristico d'inchiesta, Werewolf racconta in breve la sua mitologia, senza dubbio assai fascinosa e ricca di spunti riflessivi. L'impronta ambientalista è ben evidente, e si rivela di gran lunga il pregio maggiore dell'intera produzione: come soldati di Gaia, i licantropi - nati dall'uomo, dalla bestia e dagli Spiriti - rappresentano l'ultimo baluardo di difesa contro lo strapotere della Corruzione, incarnata dalla multinazionale petrolifera Endron.

    Per opporsi all'avanzata di questa compagnia malvagia, il lupo mannaro Cahal e il suo branco di attivisti, in cui sono presenti anche esseri umani, compiono alcuni atti di sabotaggio nella sede dell'azienda, spargendo - quando necessario - fiumi di sangue e brandelli. Oltre che una vicenda ecologista, quella di Werewolf è anche una storia familiare: il percorso di redenzione e perdizione di un uomo tormentato, isolatosi volontariamente dal branco e pronto a riconquistare la fiducia della figlia e dei compagni.

    Tra macchinazioni perverse, esperimenti indicibili, villain estremamente stereotipati e personaggi dotati di una personalità un po' insipida, la trama scorre per circa 7/8 ore, narrata in maniera approssimativa e poco incisiva. La storia alla base di Werewolf potrebbe anche risultare intrigante sotto molteplici aspetti, ma viene schiacciata dal peso di uno storytelling privo di grinta. Fanno eccezione alcuni momenti che puntellano la campagna e - soprattutto - le fasi finali: non mancano infatti scelte narrative ardite, che delineano il profilo di una vicenda decisamente oscura, dove la redenzione si muove di pari passo con il peccato. La possibilità di selezionare diverse linee di dialogo nel corso delle conversazioni non ha un vero impatto sul prosieguo dell'esperienza, e l'unica decisione significativa è quella che precede la conclusione: un bivio legato al modo in cui avremo scelto di modellare, seppur superficialmente, il carattere di Cahal e che conduce a finali in parte differenti.

    Un gameplay poco affilato

    Se l'ordito narrativo ha qualche artiglio affilato dalla sua parte, lo stesso non può dirsi per il gameplay. Werewolf è un gioco d'azione con elementi stealth e con una timidissima progressione ruolistica: dovremo infiltrarci di volta in volta negli stabilimenti della Endron, e scegliere se superare le pattuglie dei soldati in silenzio, nella nostra forma umana, oppure sbrandellando ogni cosa che si muove con le sembianze di un licantropo. La meccanica della trasformazione è proprio l'elemento distintivo di Werewolf: alla pressione di un tasto avremo modo di assumere l'aspetto di un lupo, così da muoverci in maniera più scattante lungo le ambientazioni o infiltrarci nei condotti, passando attraverso grate in cui il corpo muscoloso di Cahal non può introdursi.

    Una grafica obsoletaSfortunatamente, neppure il comparto grafico riesce a salvarsi dalla mediocrità. L'Unreal Engine restituisce qui un colpo d'occhio vecchio di due generazioni, con modelli poligonali antiquati, un'espressività facciale pressoché assente, animazioni grossolane, texture spartane e un level design davvero poco ispirato. Di gradevole, per gli amanti del gore, c'è quantomeno lo scenario che si compone dopo aver massacrato ogni forma vivente: pareti e pavimenti verranno dipinti di sangue, testimonianza di una carneficina bestiale.

    Qualora venissimo scoperti, però, non avremo altra scelta che ricorrere alla terza mutazione: Crinos, un mannaro da combattimento dalla potenza incalcolabile. Eccezion fatta per qualche sporadica sequenza in cui adottare obbligatoriamente uno dei due approcci, per la maggior parte dell'avventura potremo agire in silenzio o attaccare a testa bassa, a seconda delle nostre preferenze o della nostra sete di sangue. In entrambi i casi, non mancano significativi problemi: anzitutto, le fasi stealth seguono pattern davvero antichissimi, con un level design privo di coerenza e con routine comportamentali a tratti sconcertanti. Ne consegue che l'approccio meno rumoroso, in cui dovremo anche disattivare all'occorrenza telecamere e torrette, risulta davvero molto noioso e poco stimolante.

    Potremo solo a colpire i nemici alle spalle o a metterli K.O con il dardo di una balestra ben piantato nel cranio: gli strumenti a disposizione sono dunque assai limitati, e non ci invogliano certo a proseguire con accuratezza, tentando di trovare alcune scappatoie lungo i livelli, che - in aggiunta - si assomigliano un po' tutti.

    Tanto vale dunque abbandonarsi alla furia ed eliminare chiunque si frapponga sul nostro cammino: nelle pelli di Crinos potremo darci al massacro indiscriminato, aggredendo gli avversari con assalti violenti, colpi leggeri, esecuzioni feroci e mosse speciali. Crinos possiede inoltre due posture, quella denominata Agilità che infligge zampate più rapide, e quella definita Pesante che, a scapito della velocità, massimizza l'efficacia delle artigliate. Anche se la varietà di nemici comprende semplici soldati, esoscheletri, guardie armate di proiettili d'argento e altre mostruosità che non vi riveleremo, i combattimenti si esauriscono in un button mashing forsennato contro semplici burattini, pura carne da macello dinanzi alle nostre fauci. Il caos a schermo diventa presto predominante e il sangue imbratta ogni superficie: nei minuti iniziali, darsi allo smembramento compulsivo può anche apparire abbastanza adrenalinico e divertente, ma molto presto gli scontri cominceranno a farsi tremendamente ridondanti, nonché talmente raffazzonati da smorzare la fiammella dei primi, leggerissimi barlumi di interesse.

    I bersagli subiscono i nostri colpi il più delle volte senza reagire, e accorrono sempre in massa, sbucando da punti di respawn sparsi per gli stage: si creano così orde su orde di nemici contro cui l'unica strategia, se si esclude qualche schivata qua e là, è quella di premere forsennatamente un paio di tasti per inanellare combo molto elementari e liberarsi il prima possibile degli ostacoli.

    La sensazione di invincibilità è integrale, e se alla scarsa difficoltà aggiungiamo persino la possibilità di potenziare ulteriormente Cahal con l'ottenimento dei punti Spirito (tramite un albero delle abilità non molto ramificato), allora Werewolf diventa un titolo in cui anche il combattimento si conferma poco trascinante. Qualora dovessimo morire, pertanto, sarà soprattutto a causa di una baraonda a schermo che mina la completa leggibilità dell'azione. Non giocano a favore dell'avventura nemmeno la sua estrema linearità e la pigra ripetizione delle ambientazioni.

    Prima di partire per una missione potremo muoverci liberamente in un piccolo hub centrale, in cui raccogliere documenti, parlare con gli NPC e completare qualche incarico secondario; tuttavia, quando entreremo in azione nei complessi della Endron, la strada da percorrere sarà sempre ben delineata, con solo rarissime deviazioni utili a recuperare le frecce per la balestra o fiale per ricaricare la furia. Peccato solo che abbandonarsi alla rabbia non sia poi così appagante come avremmo sperato.

    Werewolf: The Apocalypse Earthblood Werewolf: The Apocalypse EarthbloodVersione Analizzata PlayStation 5Con una licenza di pregio come quella del World of Darkness, sarebbe stato legittimo ambire a traguardi più elevati. Werewolf The Apocalypse: Earthblood è invece un action game figlio di un tempo ormai troppo antico, impreciso nel gameplay, pigrissimo nella composizione dei livelli e molto fiacco nella progressione. C’è di buono che la narrazione prova a tessere le trame di una vicenda ambientalista, crudele e impietosa, e che le fasi di combattimento, almeno per i primi minuti, cercano di trasmettere una sensazione di vigorosa potenza. Ciononostante, il gioco inizia presto a mostrare tutti i suoi limiti, non dipesi solo da un budget risicato ma anche da una palese scarsità di ispirazione. Il lupo di Cyanide, insomma, non ulula alla luna: guaisce.

    5

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