Yomawari: Night Alone Recensione

Yomawari traduce in gioco una fiaba oscura, la traveste da survival horror ma la mette in scena con i tratti delicati di un adventure 2D.

Yomawari: Night Alone Recensione
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  • PSVita
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  • Chi ha paura dell'uomo nero? Yomawari ha il sapore tremolante di quelle fiabe per bambini, quelle fiabe oscure che non fanno dormire. Non resta che tenere accesa la luce. Non basta. Lasciare socchiusa la porta. Nascondersi sotto le coperte; giusto uno spiraglio sul volto, lo spazio necessario per respirare. Ci sono paure ataviche, come quella del buio, paure che in genere associamo alla fanciullezza. Quando si è bambini le ombre assumono contorni pericolosi; ogni rumore sconosciuto è presagio di orrore. Il cuore batte forte, in attesa che il sonno abbia la meglio. Yomawari: Night Alone traduce in gioco una fiaba oscura, la traveste da survival horror ma la mette in scena con i tratti delicati e all'apparenza edulcorati di un adventure 2D con visuale dall'alto. Yomawari, in un certo senso, è la versione cattiva di Yo-kai Watch (senza creature da collezionare).

    Il trauma della perdita

    Il titolo Nippon Ichi attinge da quel sottobosco di spiriti e creature mitologiche tanto cari alla cultura giapponese. L'atmosfera leggera di Yo-kai lascia spazio al trauma della perdita. In Yomawari si vestono i panni di una bambina che si trova di fronte alla doppia scomparsa del suo cane, Poro, e della sorella. Dopo un incipit inatteso e spiazzante, che suggerisce in pochi istanti il registro macabro del titolo, la piccola protagonista si ritrova sola in un villaggio infestato da ombre e spiriti maligni. È notte fonda, non c'è traccia di vita. La bambina vaga smarrita, munita solo di una torcia e di qualche sassolino. La narrazione, in Yomawari, è affidata a poche righe di dialogo, agli appunti sul diario che raccontano di giorno in giorno l'esperienza della protagonista. Nippon Ichi guarda al mondo virtuale con gli occhi di un bambino: la mappa di gioco ricorda quei disegni a matita un po' infantili; di fronte ai mostri non c'è alcuna arma efficace, non resta che nascondersi e attendere. Mentre il cuore batte forte e l'oscurità dello schermo lascia spazio ad aloni rossi pulsanti. Sono i nemici che si aggirano intorno a noi. Quando il cuore smette di battere si può uscire da dietro il cespuglio e rimettersi in viaggio.

    L'horror esotico

    Night Alone affascina per quel gusto esotico dell'orrore, che riporta dritti all'immaginario nipponico. È un survival horror che rifiuta la tipica messa in scena del genere, il tradizionale punto di vista iperrealista. Il terrore, tuttavia, si annida dove meno te lo aspetti: in una grafica da "cartoon" che concede spazio allo splatter; in una dolce bambina col fiocco che suo malgrado deve farsi forza, puntare la torcia per rivelare l'orrore e fuggire.

    Tutto si gioca tra esplorazione e fuga. Il villaggio è teatro di lugubri apparizioni, che solo la torcia può mettere a fuoco. Bisogna muoversi cauti, puntare la torcia con attenzione quando il cuore inizia a battere veloce. Mai come in questo caso giocare con le cuffie si rivela fondamentale. Gran parte dell'angoscia passa attraverso il cuore che batte, sempre più forte man mano che ci avviciniamo agli spiriti. Li sentiamo ma non li vediamo, a meno che la luce non ne illumini gli oscuri contorni. Alcuni rincorrono la bimba, altri si lasciano aggirare, altri ancora si attivano solo se illuminati. Il cuore pulsante non segnala solo i nemici, ma incide anche sulla velocità di fuga della bimba. Quando il cuore batte, quando si ha paura, la resistenza della bimba diminuisce e con essa la velocità della corsa. C'è una barra che normalmente consente di correre, che però si consuma più velocemente quando si ha paura, ovvero nell'80% dei casi. Una dinamica da tenere in profonda considerazione, visto che ne va della vostra sopravvivenza. Quando la barra della resistenza si svuota potete (purtroppo) solo camminare. Bisogna allora aggirare il nemico, attendere che la barra si carichi. Yomawari è un racconto dell'orrore e come tale vuole mettere a dura prova il giocatore.

    Alcuni limiti

    Nippon Ichi opta per un gioco non difficile ma impegnativo, di quelli che non perdonano troppa leggerezza. Si può salvare solo alla fine di ogni nottata. Nel mentre potete affidarvi ai checkpoint "su richiesta": basterà devolvere una monetina ai tempietti sparsi qua e là per lo scenario per creare un checkpoint provvisorio. I tempietti funzionano anche da teletrasporto, per cui potete spostarvi agilmente da un luogo all'altro della città una volta che li avrete scoperti. Un sistema non del tutto convincente, perché troppo legato alla discrezionalità del giocatore, che però non può sapere quello che lo attende qualche via più in là.

    Tendenzialmente non si rimane mai a corto di monetine (come tutti gli oggetti, si possono trovare illuminando lo scenario con la torcia), ma può capitare di fare male i conti e di ritrovarsi a dover ripercorrere porzioni consistenti di scenario, quantomeno finché non si entra nella logica del curioso sistema di salvataggio. Se per esempio si prende un oggetto importante, vedi una chiave, e poi si viene uccisi, si viene riportati all'ultimo tempietto in cui abbiamo salvato, con la chiave già nell'inventario. In certi frangenti conviene di più farsi ammazzare, per tornare dritti al punto di partenza. Comodo, ma poco verosimile. A tratti, inoltre, il trial and error si fa frustrante, perché certe azioni da compiere non sono chiare e il gioco lascia molto spazio alla sperimentazione e poco al tutorial (per alcuni potrebbe essere tuttavia un bene).

    Narrazione incerta

    L'esplorazione, che va di pari passo con l'intreccio, non convince. Gli obiettivi della giornata (di fatto le varie zone del villaggio, ognuna scenario di una sorta di microstoria nella storia) non sono legati da nessi narrativi forti. In altre parole, si va in un quartiere perché non c'è alternativa, o perché sulla mappa vediamo che è ancora inesplorato, senza una reale e specifica motivazione narrativa. L'insieme manca cioè di coesione, se si esclude l'obiettivo più generale di ritrovare Poro e la sorella. Più convincente invece l'atmosfera generale dell'avventura, sospesa fino in fondo tra viaggio di formazione e fiaba dell'orrore. Il risultato incuriosisce, perché è forte il desiderio di capire dove andrà a parare il racconto al termine delle cinque/sei ore che conducono all'epilogo.

    Yomawari: Night Alone Yomawari: Night AloneVersione Analizzata PlayStation VitaYomawari: Night Alone convince quando cerca di proporre qualcosa di originale, una fiaba dell'orrore che rifugge 3D e iperrealismo per puntare tutto sull'atmosfera e sulla discrepanza tra stile “cartoon” e tema affrontato. Convince meno sul fronte della narrazione, troppo abbozzata e poco coesa. L'obiettivo della piccola protagonista - ritrovare il proprio cane e la sorella tra le vie notturne di un villaggio popolato da presenze oscure - motiva indubbiamente il giocatore, ma non si lega al meglio con le microstorie delle singole nottate che scandiscono la progressione. Ne risulta un'avventura intrigante, sul fronte dei contenuti, ma imperfetta. A tratti persino frustrante, tormentata com'è da alcuni passaggi poco chiari o troppo impegnativi e da un sistema di checkpoint “adattabile” che rivela più di qualche limite. Se siete alla ricerca di un survival horror inconsueto, Yomawari potrebbe fare al caso vostro, ma è bene che siate preparati ad affrontare un percorso decisamente non adatto a tutti.

    6.8

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