Rubrica Dreamland Express: Momenti Videoludici Indimenticabili - Vol. 1

Una rubrica per ricordare e descrivere i più bei momenti della storia videoludica. Volume I

Rubrica Dreamland Express: Momenti Videoludici Indimenticabili - Vol. 1
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Nella memoria collettiva spesso rimangono opere di ogni tipo: dai film, dei quali si ricordano magari battute o scene particolari, alla musica, con brani che hanno fatto e continuano a fare la storia. Il videgioco è un medium culturale non da meno, e anzi si presta ancora di più ad un'operazione di recupero, dato che in molti casi fonde quelle che sono le caratteristiche di altri prodotti.
Questa rubrica nasce quindi con l'intenzione di cercare e riproporre alcuni dei migliori momenti della storia videoludica tutta, senza far alcuna distinzione: troverete quindi estratti di titoli storici così come recenti, di enorme successo così come di nicchia. Ma in ognuno di loro ci sarà sempre qualcosa, dall'estetica alla colonna sonora, dalle emozioni suscitate da un particolare episodio ad un singolarissimo espediente di gameplay (finanche al connubio di tutti questi elementi), che saprà stuzzicarvi, catturarvi e magari invogliarvi a rivivere quella particolare esperienza
Pensate ad un viaggio in una terra di affezionati ricordi, una landa onirica, sterminata, una terra di frontiera tutta da esplorare. Un viaggio lungo i binari della creatività e della fantasia. Un viaggio a bordo del Dreamland Express.

Touch fuzzy, get dizzy



Che Super Mario World 2: Yoshi's Island sia un capolavoro è indiscutibile, e non deve venire di certo il sottoscritto a ricordarvelo. Oltre che per il sopraffino level design, una componente action valorizzata dalla meccanica del lancio delle uova, una direzione artistica ed una realizzazione tecnica inaudita per l'epoca, il primo gioco che vede apparire Baby Mario ha fatto la sua fortuna anche su particolari elementi del gameplay ed alcune riuscitissime trovate, che gli hanno dato una varietà ed una freschezza fuori dal comune: le trasformazioni, i particolari scontri con i boss, i piccoli puzzle all'interno dei livelli sono tra queste. Eppure ve ne sono altre magari meno influenti sulla struttura di gioco, ma che hanno lasciato il segno nell'animo di chi vi ha giocato, lasciando un ricordo indelebile. Come dimenticare quel particolare livello, il settimo del primo mondo per la precisione: "Touch fuzzy, get dizzy", il primo momento in cui, a contatto con qualcosa del quale forse è meglio non conoscere la natura, Yoshi, e di riflesso il giocatore, fa la sua prima esperienza con gli acidi.
La prima parte del livello è abbastanza canonica, e durante la progressione la ricerca delle agognate monete rosse e di una chiave per poter accedere ad una sfida con un infido Bandit varierà un po' il ritmo dell'azione. Ma passato il primo checkpoint le cose cambiano, e lo schermo improvvisamente è invaso da enormi matasse semoventi di polvere, polline, qualunque cosa sia. L'unica cosa certa è l'effetto: Yoshi sbanda, barcolla, le pupille si dilatano ed il mondo circostante si distorce, così come i suoni che arrivano alle orecchie. E per di più il contatto con gli allucinanti batuffoli produce un suono sul quale forse è davvero bene non indagare. Yoshi diventa improvvisamente difficile da controllare, le reazioni allentate, il punto di riferimento (la piattaforma) mutevole, sfuggente, traditore, tra improvvisi cambi di pendenza e movimenti consoni più al mare in tempesta che a una placida foresta. Oh, e provate a sparare un uovo in questo frangente: il rosso dinosauro proverà a prendere la mira, ma continuerà a barcollare, e con l'uovo in mano sembrerà assai simile ad un ubriaco con in mano la sua bottiglia (vuota, ovviamente) all'uscita di un'osteria.
E qual è la cosa più bella di tutto questo? Che dura, pad alla mano, circa una ventina di secondi, anche meno andando spediti, e la difficoltà impressa sulla sessione di gioco da questo breve ma allucinato viaggio è praticamente nulla. Eppure molti di quelli che hanno giocato il titolo all'epoca conservano quei pochi secondi tra i migliori ricordi associativi. Non solo: con un po' d'attenzione è possibile evitare del tutto i batuffoli ed il relativo trip; ma avanti, rinunciare ad un'esperienza del genere sarebbe davvero da cinici e noiosi bacchettoni.

Fabio Canonico

Let's get ready for some Bionic Action

A parlare di Turrican bisogna star attenti. Non solo bisogna infatti tenere ben presente il rispetto dovuto ad una delle serie cardine della storia dei videogiochi, ma a parlarne male si rischia di venir assaliti da uno stuolo di fan inferociti, in genere giocatori vecchia scuola, che l'hanno eletto a propria divinità personale. Il perché di questa idolatria è presto detto: Turrican è l'opera del genio creativo che risponde al nome di Manfred Trenz, demiurgo non solo di uno dei migliori action platform della storia ma anche di deliri estetici e folli visioni apocalittiche, e Chris Huelsbeck è il suo primo sacerdote, compositore di bravura inaudita e dall'altrettanta fervida e prolifica genia. Helsbeck sta a Trenz come Morricone sta a Leone, tanto per intenderci. Ora qualcuno potrebbe trovare questo paragone di una blasfemia inaudita, ma se lo scrivente è uno che sa a memoria persino i dialoghi dei film del Maestro potete ben crederci: e qualora non lo vogliate ancora fare, moderni San Tommaso, c'è qualcosa che può farvi cambiare idea immediatamente.
Turrican ha avuto innumerevoli incarnazioni 2D, toccando praticamente quasi tutte le console dell'epoca, dall'Amiga al Commodore 64, dal Super Nintendo al Sega Megadrive. Erano i giorni degli sprite e della parallasse e della musica midi, e nell'opera trenziana possiamo ritrovare innumerevoli picchi di eccellenza in tali ambiti. Un solo episodio però abbiamo scelto: il primo livello di Super Turrican, su SNES.
L'impatto visivo è, a dir poco, devastante. Una landa brulla, forse un altopiano di montagna, visti gli enormi livelli che si stagliano un livello di parallasse più in là: monti azzurri, sulle cui vette si arroccano edifici che potrebbero essere torri di comunicazione così come antichi presidi fortificati; il cielo è incendiato dai colori del tramonto, in una tonalità di rossi che fa da perfetto contrasto con i monti e con il blu scuro, cupo, delle nuvole sovrastanti. Un quadro in cui la natura si mostra imponente, contaminata però dalle macchine e da metalliche costruzioni. E forse di questo è arrabbiata, perché nel bel mezzo del livello si scatena una tempesta: il cielo diventa plumbeo, foglie vengono portate via da vento, lampi saettano e tuoni risuonano, mentre il nostro eroe continua il suo percorso tra antichi templi e torri robotiche (ancora la contaminazione tra moderno e antico). E a completare questa incredibile esperienza le musiche di Chris Huelsbeck: anzi, la musica. Bionic Action risuona imponente e tremendamente incalzante, in un tripudio di sintetizzatori e con la batteria a martellare pesantemente. Anche qui, incredibilmente, pare di udire cose fuori dal mondo, in un brano che da solo è eccelso e adattato al livello è qualcosa di più, coniugandosi perfettamente con le sensazioni restituite dal gameplay: sfida, avventura, solitudine in un mondo stupendo ma letale, e tutto questo con giusto qualche sprite, due livelli di parallasse ed un brano sinth.
Solo chi non ha cuore non potrà rimanerne estasiato.

Fabio Canonico

Terrore a quattro zampe

Stare qui a disquisire sulla nascita della serie di Resident Evil e sulla sua conseguente affermazione come uno degli elementi fondamentali della storia videoludica moderna sarebbe un esercizio facile, ma probabilmente assai retorico e poco interessante. Ai fini del nostro viaggio nei ricordi è sufficiente ricordare che c'è stato un tempo in cui i nemici principali erano gli zombi, in cui le munizioni scarseggiavano e la testa di Chris Redfield era ancora naturalmente più grossa del suo bicipite: un tempo, insomma, in cui Resident Evil faceva ancora paura. Che poi, paura: più che altro si trattava di angoscia, un'angoscia prolungata ed amplificata da particolari espedienti, come le telecamere fisse, da un sapiente utilizzo del sonoro ambientale, dal calcolato raziocinio con il quale venivano elargite le munizioni perché si sa, se non puoi sparare allora ti conviene correre, e sebbene gli zombi non siano propriamente noti per le loro capacità atletiche poteva capitare di finire circondato o messo all'angolo da un gruppo di traballanti non morti. Inoltre le possibilità d'azione dei propri personaggi erano ridotte rispetto a quelle dei titoli attuali (ricordiamo che fu Resident Evil 4 lo spartiacque della serie), e di conseguenza davvero alcune volte ci si sentiva in completa balia delle vicende. Però, lo ripetiamo, di paura, di terrore nel senso vero del termine, ce n'era poco, a parte che per i giocatori (molti più di quanti si pensi) con particolari fobie, ed ecco allora che per chi aveva paura di serpenti o ragni il panico era assicurato.
Ma, perché le eccezioni ci sono sempre, in particolare il primo capitolo offriva momenti in cui il giocatore sobbalzava sulla sedia come se morso da una tarantola. Pochi ma saggiamente preparati e costruiti e, questo il bello, irripetibili, dal punto di vista delle emozioni. Perché il trucco funziona bene la prima volta, o al massimo quando ci si è dimenticati di una particolare sessione di gioco (ed in tal caso oltre il godimento che si trae dal classico coccolone è doppio), ma non di più. E come si fa a scordare la prima volta che si apre quella porta, che si entra in un bel corridoio "ad L"; su una parete un mobilio antico e ricercato, sull'altra tetri finestroni dai quali entra appena un filo di luce lunare (questo ovviamente solo nella miglior versione del titolo originale, quella Gamecube). Siamo nelle prime fasi del gioco, giusto qualche incontro con pochi zombie, tutto tranquillo pare: una stanza vuota, da attraversare senza patemi. Col cavolo! E' un attimo: a metà del percorso il primo vetro improvvisamente si spacca, e fa irruzione un cane zombi. Il giocatore salta sulla sedia, pulsazioni a mille, corre via e crash, un altro vetro, un altro cane, doppio colpo al cuore, fuga verso la salvezza rappresentata dalla porta in fondo al corridoio. Qualcosa che le parole non possono descrivere, video nemmeno, perché solo ognuno di noi sa bene cosa ha provato per la prima volta in quel particolare momento: dieci secondi di irripetibile, grandioso, impagabile, puro terrore.

Fabio Canonico

Addio

Gli alberi intorno a lui sono sempre gli stessi, quelli che ha imparato a conoscere in tredici anni. E le stesse, variabili foglie, che cambiano col mutare delle stagioni; cambiano, ma senza aspirare mai a nient'altro che non sia quel familiare angolo di verde che le fa sentire protette, al sicuro, durante un ciclo senza fine ignorato dal vento esterno, che le farebbe cadere. Così, i Kokiri, al pari di foglie che non si chiedono se oltre al loro verde possa esserci altro, vivono la loro vita senza domandarsi se il mondo, lì fuori, è davvero così diverso. O forse se lo domandano, magari inconsciamente, senza volersi realmente concedere una risposta, tale è la forza delle radici sopra cui sono nati e sotto cui, inevitabilmente, moriranno.
Ma Link non è uno di loro, e non lo è mai stato.
Come un ragazzo che sta per diventare uomo, il suo corpo, la sua mente ed il suo spirito appartengono a qualcos'altro, a qualcosa di più grande, qualcosa che non riesce ad esprimersi tra le verdi mura di casa, ma scalpita per uscire, per avere vita propria. E d'un tratto è lì, scaraventato dalla forza degli eventi, di fronte ad un ponte di legno la cui semplice fattura non rende giustizia alla responsabilità che sopporta. Il passaggio dalla famiglia alla vita reale, dal piccolo villaggio Kokiri alle sconfinate pianure di Hyrule, l'addio agli affetti, alle sicurezze di casa, agli amici, all'ingenua prepotenza di Mido, a quelle foglie sempre uguali. E l'addio a Saria, sua migliore amica d'infanzia. Lei è lì, al centro del ponte, non avrebbe mai voluto perdersi un momento così importante.
Qualche parola, un dono, forse una lacrima.
"Promettimi che saremo amici per sempre."
Te lo prometto. Ma ora è il momento di andare, senza lasciarsi nulla alle spalle e senza cedere alla tentazione di guardare indietro. Un passo, un altro, poi più decisi, fino ad insultare, ingrato, il confine che aveva giurato di proteggere lui e i suoi amici.
Un breve corridoio di vegetazione, la familiare quiete prima di doversi esporre alla vita, e poi, tutto d'un tratto, come un fortissimo schiaffo sul volto, la grandezza di Hyrule.
E la paura nelle vene. Mille strade sotto gli occhi - cosa faccio? dove vado? - il profumo di qualcosa di nuovo, finalmente slegato dai limiti della giovinezza. Ed il sole, là in alto. Che, illuminando equamente ogni singolo anfratto di quella nuova immensità, disegna alla perfezione la parafrasi della vita.

Dreamland Express Il primo viaggio a bordo del Dreamland Express è appena finito, che già viene voglia di iniziarne un altro. Abbiamo toccato quattro saghe storiche, ma in accezioni particolari, e questo vuol essere il punto cardine della nostra nuova iniziativa editoriale: non c'interessa il blasone, ma il ricordo e la valorizzazione di quello che il medium videoludico è capace di regalare. Appuntamento al mese prossimo, prenotate i vostri biglietti.