Rubrica Dreamland Express - Vol. 10 - Momenti Videoludici Indimenticabili

In questa puntata: Sonic Adventure 2, Mad World, Red Dead Redemption

Rubrica Dreamland Express - Vol. 10 - Momenti Videoludici Indimenticabili
INFORMAZIONI GIOCO
Articolo a cura di

Nella memoria collettiva spesso rimangono opere di ogni tipo: dai film, dei quali si ricordano magari battute o scene particolari, alla musica, con brani che hanno fatto e continuano a fare la storia. Il videgioco è un medium culturale non da meno, e anzi si presta ancora di più ad un'operazione di recupero, dato che in molti casi fonde quelle che sono le caratteristiche di altri prodotti.
Questa rubrica nasce quindi con l'intenzione di cercare e riproporre alcuni dei migliori momenti della storia videoludica tutta, senza far alcuna distinzione: troverete quindi estratti di titoli storici così come recenti, di enorme successo così come di nicchia. Ma in ognuno di loro ci sarà sempre qualcosa, dall'estetica alla colonna sonora, dalle emozioni suscitate da un particolare episodio ad un singolarissimo espediente di gameplay (finanche al connubio di tutti questi elementi), che saprà stuzzicarvi, catturarvi e magari invogliarvi a rivivere quella particolare esperienza
Pensate ad un viaggio in una terra di affezionati ricordi, una landa onirica, sterminata, una terra di frontiera tutta da esplorare. Un viaggio lungo i binari della creatività e della fantasia. Un viaggio a bordo del Dreamland Express.

Still unstoppable after 20 years

E' stato un commento spontaneo e naturale, meditato nemmeno i proverbiali dieci secondi: "Happy birthday Sonic!". In pochi lo hanno sentito, ma l'importante era che giungesse alle orecchie di Takashi Izuki, il patrigno del porcospino blu dopo la scappatella di Yuji Naka verso altri lidi.
Siamo ancora una volta all'E3 e Sonic Team sta mostrando a pochi intimi la rielaborazione per Sonic Generations del livello d'apertura di Sonic Adventure 2. Quello in cui si solcavano le strade di una simil San Francisco a cavallo di un hoverboard, mentre in sottofondo tamburellava l'energica Escape from the city. Si finiva quindi per essere inseguiti da un camion tritatutto, capace di sfondare muri ed edifici pur di agguantare Sonic, che nel frattempo se la rideva dal divertimento.
Eccolo il topos del porcospino: talvolta la giocabilità è sacrificata sull'altare dell'adrenalina, dell'orgia cinetica nel cielo della velocità. Sonic è uno a cui piace correre. Nei suoi giochi a farla da padrone sono i giri della morte, gli ottovolanti sospesi nel vuoto, i trampolini e i respingenti, le ruote panoramiche, gli acceleratori appena prima di un'irta salita o una ripida discesa a cui serve giusto una spintarella per divenire fotonica.
Eggmanland a conclusione di Sonic Unleashed è un ode alla perfidia del dottor Robotnik, altro che uomo-uovo: giostre in perenne movimento, passaggi angusti a molte leghe sopra i mari e l'intero esercito di robottoni alle nostre calcagna. Il Lost World di Sonic Adventure fa del porcospino un esploratore del tempio maledetto, risvegliando peraltro un drago di pietra sul cui dorso sfreccia alla velocità della luce. Infine l'Asteroid Coaster di Sonic Colours ci lancia a perdifiato dal primo vagone di una montagna russa: i primi a scorgere le curve, ma anche i primi a dover accorgersi degli ostacoli. Ehi, ma questo è il Sonic moderno, quello che molti snobbano e detestano, ma in verità non sanno cosa si perdono. Credono che le tre dimensioni abbiano scippato il divertimento iniziale, del Sonic adolescente su Megadrive, che un certo frame rate danzerino lo abbia rallentato oltremodo. Ripeto, non sanno cosa si perdono.
Aldilà dei ricordi piacevoli del doposcuola dei primi novanta, ci viene da bacchettare la scarsa precisione del titolo d'esordio (ebbene sì, lo ho detto), la troppa velocità del seguito, l'eccessiva lunghezza dei Sonic & Knuckles. Non disperate perchè salviamo senza ombra di dubbio il terzo capitolo e pure il poco battuto Sonic CD, come summe del bilanciamento della saga tra velocità, esplorazione dei bivi e passaggi segreti, divertimento salterino. Ma queste sono considerazioni che si fanno oltre il ventesimo anno d'età e se questo pezzo lo avessi scritto al culmine delle superiori, avreste letto una lode sperticata ad un porcospino che corre ininterrottamente da vent'anni tondi tondi, che nonostante certi inciampi non ha mai desistito. Tenace e orgoglioso continua a sfrecciare sugli schermi delle nostre console, sfugge tra i palmeti lungo la battigia come dietro i neon di qualche ipertecnologica città del futuro, incappa nei fondali marini e allo stesso modo nelle vette innevate, stringe rapporti con umani di vario lignaggio e all'occorrenza fa qualche puntata al Casinò.
Rivolge costantemente lo sguardo verso il cielo. You can feel the sunshine. Nanananana...

Nicolò Pellegatta

Ode alla volgarità

Non verremo mai da voi a dirvi che i videogiochi sono maturati perché adesso vi troviamo scene di sesso esplicito, lesbiche che limonano come se non i fosse un domani, dialoghi pieni zeppi di parolacce ed insulti. Mai e poi mai. La maturità di un medium, qualunque esso sia, risiede nella sua capacità di permeare la società, di fornire spunti d'interesse per chiunque vi si approcci; e per allargare i propri orizzonti non c'è bisogno per forza di portare i titoli su campi borderline.
Però. Però volete mettere la soddisfazione di un impropero tirato ad hoc, quando sbattete il mignolo contro lo spigolo dell'armadio, quando siete in ritardo e non ricordate dove avete messo le chiavi della macchina, quando siete di fronte all'ultimo boss, che ha uno sputo di vita rimanente ma ugualmente vi manda al creatore. Ecco, in questo caso la parolaccia è catartica.
Poi c'è un altro approccio alla nobile arte del parlar sboccato: quello descrittivo, che dà colore anche alla più grigia delle situazioni, che recupera la mediocrità e la trasforma in qualcosa di volgarmente apprezzabile, nella gomitata all'amico alla vista di un fondoschiena, con conseguente commento sconcio. E se il grigio è nel mezzo tra nero e bianco, e sempre di videogiochi si parla da queste parti, il pensiero non può non andare a MadWorld, peculiarissimo piacchiaduro per Wii. MadWorld è grigio nel gameplay: non è bianco, non è nero, perché non è immediatamente riconducibile ai canoni classici del genere, e vivacchia in un limbo ludico che, privato delle sue strutture portanti, sarebbe un inferno di noia. Una è la violenza, che concede l'unica variazione cromatica, quel rosso sangue tramite il quale tutti i livelli si colorano di morte. L'altra, ovviamente, è la volgarità, gridata a gran voce dai commentatori, Howard e Kreese.
Voci fuori campo di un gioco fatto di mutilazioni e massacri, i due amano crogiolarsi nella volgarità più assoluta, e se il primo mantiene un approccio più professionale il secondo, il commentatore tecnico, il classico sportivo ormai ritirato ed arrivato in cabina di commento, si produce in turpiloqui che farebbero impallidire chiunque. Qualunque parolaccia abbiate in mente, sappiate che è stata usata in MadWorld, ed in modi talmente vari e creativi che fatichereste a trovarne altri. In quello che è un enorme calcio nel culo al politically correct, i due non si esimono dal commentare madri particolarmente disponibili, straordinarie qualità aspiratorie, attributi femminili di proporzioni sessualmente invitanti (fantastico Howard quando, presentando la popputa vampira Elise, ripete imbambolato, numerose volte, la stessa battuta: "che belle tette!"), alieni trattati con i peggiori degli epiteti razzisti. Anche grazie ad una localizzazione eccellente nell'italico idioma, il giocatore viene spinto a fare del suo meglio per sentire cos'hanno da dire, per assecondarne l'istinto becero e maschilista, strafottente ed ignorante, è loro complice, ne condivide lo spirito biecamente volgare.
E quindi, ogni qualvolta li sentirete cominciare una frase, aprite bene le orecchie, e magari tenete vicine carta e penna per prendere appunti (arricchire il proprio vocabolario fa bene): perché ogni volta che questo succederà, starete per ascoltare parole degne di un fottuto indimenticabile momento videoludico.

Fabio Canonico

Resurrezione

Chissà come sarebbe, il nostro mondo, visto dall'esterno. Chissà cosa coglierebbe lo sguardo di un visitatore straniero, proveniente da terre lontane, nell'innegabile magnificenza che l'uomo ancora è riuscito a corrompere del tutto. Deserti sconfinati, boschi fitti e pieni di vita, oceani che nascondo creature mai viste nei loro abissi. Non è il mondo di un videogioco, è la nostra meravigliosa Terra, madre di ognuno di noi, scrigno d'inestimabili tesori, massima rappresentazione della vita: perché il nostro corpo cadrà, e tornerà a lei, e mentre diverremo nessuno sa cosa, lei continuerà a vivere, immutata, splendida. A meno che proprio noi, i suoi figli, non le faremo del male a tal punto da danneggiarla in maniera irreparabile, ma questo è un pensiero che chiunque di noi può allontanare cedendo un attimo al fascino di un paesaggio, alla maestosità di qualunque rappresentazione della natura.
Il mondo di Ark è ben diverso dal nostro. Prima di tutto non è un mondo, ma un piccolo villaggio, dal quale è proibito uscire. Cosa c'è fuori non è dato saperlo, fin quando il ragazzo non è costretto ad intraprendere un viaggio per motivi che non può comprendere del tutto: quello che trova fuori è una landa di neve e lava, tra montagne inaccessibili e fiumi bollenti, un'immagine vicina all'inferno. Poi quelle torri che svettano alte e tremende nel cielo, lugubri custodi di segreti indicibili, anime perse e...
Nel suo mantello rosso, perso nella tormenta di neve, Ark fa fatica ad andare avanti, e c'è già tantissimo della poesia di Terranigma in questa unica scena, evocativa come pochissime altre nella storia dei videogiochi. Il cielo non è cielo: è una cupola, fatti di riflessi strani, immagini distorte di qualcosa che non riusciamo a definire...Colline, pianure, città forse? Cosa c'è lì fuori? Noi ancora lo sappiamo, ma quello è l'inizio di un viaggio straordinario. Ce ne accorgiamo quando, in cima alla prima torre, in una stanza buia che sembra ai confini dello spazio e del tempo, abbiamo la prima visione: un continente emerge, nella sua sconvolgente bellezza, verde e blu di vita. Eurasia, si chiama. Sulla cima della seconda torre, un'altra resurrezione: il Sud America rinasce dai brandelli dispersi nello spazio. Ora capiamo: quello che sta riportando in vita Ark è il nostro mondo, la nostra Terra.
Ed è proprio il fatto che si riporti in vita il nostro pianeta a rendere Terranigma unico e quei momenti indimenticabili. Abbiamo già salvato innumerevoli volte terre perse nella fantasia, anche la Terra è vero, ma vista con tutti altri occhi, ma mai la madre nella sua realtà,e per questo incredibilmente più stupefacente di qualunque visione fantastica ma comunque artificiale. Con ancora più determinazione, proseguiamo il viaggio affianco al ragazzo, sperando magari di arrivare a toccarle quelle terre che stiamo risollevando dall'oblio, una ad una. Accadrà? Lo speriamo, mentre stanchi viandanti solitari, decisi però come eroi, ci volgiamo verso la prossima torre...

Fabio Canonico

Far away

Proprio come nel Mucchio Selvaggio John Marston assalta Fort Mercer piazzando una gatling sopra un carro. L'operazione ha buon esito, ma all'interno del fortino giacciono i corpi fumanti dei banditi di Williamson, non lo stesso Bill Williamson dileguatosi con la coda tra le gambe in Messico.L'assalto a Fort Mercer, l'evento che conclude la prima parte del gioco, non è il momento il nostro momento indimenticabile da Red Dead Redemption. O almeno non è quello più indimenticabile.
E' quanto avviene poco dopo ad aver fatalmente rapito il nostro cuore di videogiocatori. Sapete, sono le opportunità narrative del medium videogioco oggigiorno la scommessa maggiore dei più affermati game designer: una storia vissuta diventa una storia da vivere in prima persona. Dialoghi e recitazione sono la parte più sciocca del processo, il difficile risiede nel coinvolgere il giocatore ad esplorare il mondo di gioco, ad entusiasmarsi per ogni singolo anfratto, gli ultimi Big Foot nelle montagne a Nord, i bari di professione al casinò lungo il fiume, l'impetuosità della ferrovia.
In Redemption parlano più che mai i dettagli, quelle minuzie che fanno del videogioco un'esperienza interattiva. Parlano anche i silenzi, le valli sterminate, l'oceano Pacifico all'orizzonte, l'assolato deserto, la neve ovattata. Il giocatore è al centro di questa girandola di suggestioni, in cui è facile perdersi, smarrire la via della progressione solo per scalare un costone roccioso scavato al centro alla maniera di un ponte naturale. Tanto monumentale, quanto melanconico. Guarda imperituro le triste esistenze dei pistoleri, ma ne condivide ineluttabilmente lo stato d'abbandono e dimenticanza.
Questo il destino delle lande a Ovest degli Stati d'America, condiviso dalle ancora meno rigogliose terre messicane oltrefiume. Terra rossa arsa ogni dì dal Sole, covo di puttane e briganti dalla nervosa parlantina spagnola. Temono da un momento all'altro il proiettile fatale. Quaggiù imperversa l'ennesima guerra civile, caro John...
E tu credi che in mezzo a questo trambusto riuscirai a trovare la redenzione? Solo l'Irlandese è pazzo quanto te: sua la zattera che al chiaro di Luna dovrebbe assicurarci il passaggio.
Ma dalle rocce abituate a specchiarsi nelle pacifiche acque sbucano indigeni armati di fucile. Desiderano darci il benvenuto in Messico. Hanno pessime intenzioni.
La battaglia è dura ed estenuante, l'imbarcazione offre poche munizioni e giusto un paio di assi dietro cui coprirsi. Oltretutto il fucile dell'Irlandese è alquanto moscio, non so se mi spiego.
Chi sono in verità questi assatanati? Perchè ci vogliono morti? Fino ad ora gran parte dei corpi salutati dalla canna della nostra pistola erano o rifiuti della società o scagnozzi di Williamson, ma ora ci troviamo a fronteggiare un nemico senza nome, in numero incerto e senza reali motivazioni per farlo fuori. Motivazioni sempre indispensabili per acquietare la nostra coscienza.
La salvezza la si guadagna raggiungendo una piccola insenatura protetta dall'inferno. E' un approdo sicuro e - miracolo videoludico! - una cavalcatura è proprio lì ad attenderci. Picchia gli zoccoli a terra e poi si lancia al galoppo lungo un sentiero nascosto tra le rocce. Pochi accordi di chitarra intonano un tema d'accompagnamento. "Step infront of a runaway train, just to feel alive again.
"Pushing forward through the night, aching chest and blurry sight" biascica la calda voce di Jose Gonzalez. Non sproniamo più del dovuto il novello destriero, non abbiamo tutta questa fretta di freddare il nostro uomo. Piuttosto rallentiamo l'andatura, assaporiamo l'odore della nuova terra, oscilliamo tra il cuore montuoso e le rive del fiume, immaginiamo le avventure che vivremo, gli incontri che faremo, i luoghi che visiteremo. Il brano cantato mentre esploriamo le lande messicane fa volare l'immaginazione, ritempra il nostro fisico spossato dalla sparatoria, ci fa amare ancora di più questo West pezzente. Rinvigorisce il nostro entusiasmo per l'opera Rockstar.
"Cold wind blows into the skin. Can't believe the state you're in". Questa è Far Away. Questo è il Messico.

Nicolò Pellegatta

Dreamland Express C’abbiamo messo il cuore in questo ultimo viaggio insieme, speriamo l’abbiate apprezzato. Ultimo? I ricordi che affiorano non possono essere rimandati indietro, però sentiamo il bisogno di fermarci per un po’. La frontiera della fantasia tanto è sempre lì, e non la raggiungeremo mai, finché esisteranno persone disposte a rappresentare e condividere i loro sogni: ed allora, una pausa non ci farà di certo male, il nostro treno ha bisogno di un altro po’ di carbone e di una lubrificata agli ingranaggi. Ma badate, è una promessa, questo non è un addio; è un caloroso arrivederci.