Gli eroi dei videogiochi senza memoria nella prima puntata di Dèjà Vu

Dèjà Vu è la nuova rubrica di Everyeye.it dedicata ai cliché del mondo dei videogiochi: iniziamo dai personaggi che hanno perso la memoria.

Déjà vu: gli eroi senza memoria
Speciale: Multi
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  • Oggigiorno, veleggiando tra i flutti - spesso agitati - delle community videoludiche, capita spesso di imbattersi in aspre critiche rivolte all'uniformazione creativa dell'industria, specialmente per quel che riguarda le produzioni "tripla A". A prescindere dalla pertinenza (variabile) di questi giudizi, è interessante vedere come anche l'evoluzione del linguaggio di settore abbia portato idiomatismi come "more of the same" ad assumere connotazioni quasi esclusivamente negative, come se l'atto di riproporre concetti o stilemi fosse sempre e comunque inopportuno.

    In realtà ogni modello, per quanto rodato, può generare una gran numero di intriganti variazioni, o semplicemente accordarsi alla perfezione con le specifiche necessità di un'opera. La rubrica "Déjà vu" nasce proprio con l'idea di passare in rassegna alcuni dei più celebri cliché videoludici, per verificare se e come questi siano riusciti a sfuggire alla banalità grazie al talento degli sviluppatori. Partiamo dunque da un classico senza tempo: lo stereotipo dell'eroe senza memoria.

    The Witcher

    Il primo dei nostri smemorati eccellenti è nientemeno che Geralt di Rivia, il protagonista della saga di The Witcher nonché dell'omonima serie targata Netflix, già confermata per una terza stagione. Come i fan sapranno di certo, l'epopea videoludica del "Lupo Bianco" si apre con l'arrivo di Geralt a Kaer Morhen: ridotto in fin di vita da un'entità non meglio specificata, lo strigo viene tratto in salvo dal compagno Eskel, che assieme a Vesemir lo riporta alla roccaforte della Scuola del Lupo.

    Col prezioso aiuto della maga Triss Merigold il witcher si rimette in poco tempo, ma la sua memoria pare gravemente compromessa. Il protagonista rammenta ancora le basi del mestiere, ma sembra essersi lasciato alle spalle ogni ricordo delle sue passate avventure, compresi quelli che lo legano all'amata Yennefer di Vengerberg e alla figlioccia Ciri. In questo caso l'amnesia del personaggio è un espediente diegetico che riveste una duplice funzione: da una parte permette di innescare il sistema di progressione con un utile "colpo di spugna", sorvolando sul secolo passato da Geralt a riscuotere taglie e irretire donzelle, e dall'altra libera lo sviluppatore dalla necessità di informare il pubblico sui trascorsi letterari del Macellaio di Blaviken. Il primo The Witcher è infatti un sequel non canonico della saga "Il Sangue degli Elfi", che al momento della pubblicazione del gioco non era ancora stata tradotta in inglese (men che meno in italiano).

    Di contro, gli avvenimenti raccontati nei romanzi fanno parte del canone del videogioco, che quindi propone diversi riferimenti ad eventi narrati esclusivamente nei libri di Andrzej Sapkowski. Per quanto pretestuoso, il "cliché" dell'amnesia risulta quindi funzionale alla fruibilità dell'opera, a maggior ragione considerando che - nei capitoli successivi - CD Projekt RED ha poi provveduto a colmare i vuoti per preparare il palcoscenico al gran finale di Wild Hunt.

    Planescape: Torment

    Se The Witcher propone quella che di fatto è la declinazione più comune dell'eroe senza memoria, Planescape: Torment delinea un archetipo ben più sfaccettato e affascinante, al centro di uno straordinario intreccio narrativo. L'opera dei leggendari Black Isle Studios, guidati da un Chris Avellone in forma smagliante, cala i giocatori nei panni di un immortale senza nome, che sembra aver perso ogni nozione di sé.

    Per evitare di rovinarvi un'esperienza che, ad oltre vent'anni dal suo esordio, merita ancora di essere vissuta appieno, eviteremo di dilungarci in dettagli sulle origini del protagonista o sulle sue imprese, ma sappiate che proprio i ricordi rappresentano la chiave di volta di una campagna densa di colpi di scena e sequenze intrise di pathos.

    Con l'obiettivo di ricostruire l'identità del protagonista e comprendere le ragioni alla base della sua particolare condizione, i giocatori dovranno ripercorrere la storia delle diverse incarnazioni del Senza Nome, recuperando i loro lasciti e facendo il possibile per risolvere un enigma millenario. Le tracce delle precedenti vite del personaggio sono al contempo tasselli del racconto ed elementi di progressione ruolistica: che si tratti del braccio perso in una precedente vita o delle dolorose rimembranze della vittima di un nostro alter ego particolarmente crudele, i frammenti raccolti lungo il cammino ci permetteranno di percepire un'eco del passato e ripristinare alcune delle capacità accumulate nei secoli dal Senza Nome.

    Il tutto attraverso un sistema di dialogo quantomai ampio ed articolato, che lascia gli utenti liberi di definire la personalità del proprio avatar a prescindere dai suoi fenomenali trascorsi.

    Elevando il topos dell'eroe (si fa per dire) senza memoria da semplice pretesto ludonarrativo a colonna portante del gameplay, il team di Black Isle Studios ha modellato uno dei migliori giochi di ruolo di tutti i tempi, un capolavoro senza tempo benedetto da una scrittura sostanzialmente impeccabile. Di recente l'eredità di Planescape: Torment è stata raccolta da Disco Elysium (qui la nostra recensione di Disco Elysium: The Final Cut) un gioiello indipendente che recupera con successo molte delle idee messe in campo da Avellone e soci. Anche in questo caso parliamo di un acquisto obbligato per i fan del genere, a patto di conoscere a dovere la lingua inglese.

    Knights of the Old Republic

    Da questo punto in poi vi proporremo un terzetto di applicazioni atipiche del cliché dell'eroe senza memoria, e per delinearne correttamente i tratti dovremmo necessariamente esplicitare alcuni nodi cardinali della trama. Per questa ragione vi invitiamo a interrompere la lettura nel caso temiate di incappare in spoiler molesti, perché potete star certi che ce ne saranno. Un discorso che vale soprattutto per il primo dei casi in analisi, dato che un remake di Knights of the Old Republic è attualmente in lavorazione presso gli studi di Aspyr Media.

    Ciò che rende il protagonista di KOTOR un'anomalia nelle cronache degli smemorati videoludici è il fatto che, da principio, il personaggio sembra aderire ad un topos totalmente diverso, ovvero quello del "signor nessuno". Parliamo di un archetipo di protagonista volutamente indefinito, modellato per diventare più facilmente una semplice estensione del giocatore. Ingannati da questo artificio narrativo, passeremo una buona quantità d'ore senza avere la benché minima consapevolezza che il nostro alter ego sia affetto da amnesia.

    Dopo esserci risvegliati bruscamente a bordo del possente vascello Endar Spire, non potremo quindi fare altro che accettare placidamente il nostro ruolo di generico soldato della Repubblica, in attesa che la trama cominci ad offrici delle buone occasioni per definire con le nostre scelte tanto la caratterizzazione dell'avatar quanto la sua vicinanza a uno dei lati della Forza. Strada facendo ci capiterà di incappare in qualche visione sospetta, qualche indizio sul reale stato delle cose, ma la rivelazione non arriverà prima degli atti finali della campagna, quanto scopriremo di essere nientemeno che Darth Revan, un Sith eccezionalmente potente. Dato per morto tempo addietro, Revan è stato in realtà catturato da un'unità d'elite del Consiglio Jedi, che si è poi premurato di sovrascrivere la sua memoria con l'obiettivo di farne un fedele servitore della Repubblica. La scoperta dei nostri terribili trascorsi non ci impedirà di proseguire - volendo - sulla strada del Lato Chiaro, anzi contribuirà a delineare un efficace arco di redenzione. Alternativamente, potremo continuare ad alimentare la nostra oscura leggenda riappropriandoci del titolo di Signore dei Sith.

    Con Knights of the Old Republic, insomma, Bioware ha offerto alla platea un'intrigante rielaborazione dello stereotipo del protagonista immemore, sfruttandolo sia per dare sostanza alla progressione ludica (partire con i poteri di Darth Revan sarebbe stato quantomeno problematico), sia per regalare ai giocatori un colpo di scena di grande effetto.

    Final Fantasy VII

    Il caso di Cloud Strife, il protagonista di Final Fantasy VII, è per certi versi simile al precedente ma con un paio di differenze cardinali. Proprio come il Revan riprogrammato dal Consiglio Jedi, Cloud non ha una piena consapevolezza del suo stato mentale, ma conserva comunque buona parte dei ricordi del suo passato.

    Nel corso della campagna l'ex SOLDIER (più o meno) si troverà ad incappare in diverse discrepanze nel suo bagaglio mnemonico, tutte in qualche modo legate all'antagonista Sephiroth e ad un particolare momento del suo passato. Dal canto suo, il personaggio si dimostra piuttosto restio a ripercorrere il viale dei ricordi: un meccanismo difensivo che presto si rivelerà più che giustificato.

    I giocatori scopriranno infatti che l'attuale identità di Cloud è di fatto il risultato della fusione di due diverse personalità e memorie, la seconda appartenente al SOLDIER di prima classe Zack Fair. Complice un terribile mix di stress post traumatico, contaminazione da Mako e manipolazione psicofisica indotta dalle cellule di Jenova, Cloud è stato in qualche modo plagiato dai racconti dell'amico fino a diventare il suo "lascito vivente", una dolente testimonianza della sua stessa esistenza. L'eredità di Zack comprende anche l'iconica Buster Sword, la spada appartenuta al suo mentore Angeal.

    Nel caso di Final Fantasy VII, quindi, l'escamotage dell'amnesia ha una valenza prettamente narrativa: è un mezzo che permette alla sceneggiatura di svincolare l'eroe da un'apatica bidimensionalità, spingendolo ad affrontare la sua fragilità, la sofferenza che si porta dentro e il peso dei suoi fallimenti. La caratterizzazione di Sephiroth risulta altrettanto efficace poiché riflette in maniera distorta quella dell'avversario, con il quale condivide una storia decisamente tragica.

    Seppur non privo di leggerezze, il racconto messo in piedi dal team Kazushige Nojima propone un brillante esempio di decostruzione dell'eroe, al centro di un'epopea ruolistica che merita ancora oggi un posto d'onore negli annali del medium.

    Second Sight

    La nostra raccolta di cliché eccellenti si chiude con Second Sight, un cult videoludico pubblicato nel lontano 2004 ad opera di Crytek UK, ovvero gli ex Free Radical Design già autori della serie TimeSplitters. Al pari dell'iconico shooter del team britannico, anche Second Sight propone una storia basata sulla frequente dislocazione spazio-temporale del suo protagonista, anche se in questo caso né il personaggio né il giocatore ne hanno la benché minima consapevolezza.

    Ma andiamo con ordine. L'avventura si apre con il risveglio di John Vattic all'interno di una struttura ospedaliera in Virginia, dove l'uomo si scopre privo di memoria ma misteriosamente dotato di straordinari poteri psichici. Poteri che si faranno sempre più potenti man mano che ci troveremo a sbrogliare le trame di una cospirazione paranormale su scala globale, che sembra avere molto a che fare con le vicende personali del protagonista. Lungo il cammino, Vattic avrà dunque modo di rivivere alcuni frammenti del suo passato, e scoprirà di avere la facoltà di alterare il presente in base alle azioni compiute nei suoi "ricordi". In un caleidoscopio di flashback, visioni allucinatorie e paradossi temporali, protagonista e giocatore arriveranno a comprendere infine il reale stato delle cose: Vattic non è mai stato realmente affetto da amnesia, poiché tutte le situazioni vissute nel corso della campagna altro non sono che proiezioni di possibili futuri.

    Nel presente, quello vero, l'uomo comprende di possedere il potere della precognizione, e di aver intravisto le possibili conseguenze dell'incontro con l'antagonista del gioco. L'espediente dell'eroe senza memoria viene quindi utilizzato dagli sviluppatori per orchestrare un colpo di scena tanto inatteso quanto efficace, coerente con l'evoluzione ludica e narrativa della produzione.

    Questo catalogo di variazioni sul tema dell'amnesia dimostra insomma come anche un cliché, se sfruttato con la giusta dose di inventiva, può dare vita ad esperienze uniche e memorabili. D'altronde il videogioco è un medium che raccoglie e rielabora influenze "pop" di ogni genere e provenienza, ed è quindi naturale che certi modelli ludonarrativi tendano a ripetersi sull'onda della memetica. In fondo il concetto di originalità ha un valore estremamente situazionale, e con questo articolo speriamo di avervi offerto qualche interessante spunto sul tema della "reiterazione creativa".

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