Libri a 360 Bit: Bloodborne, un cacciatore chiamato Lovecraft

Le atmosfere, la narrativa e lo stile dell'autore americano trovano una perfetta corrispondenza nel capolavoro targato From Software.

Libri a 360 Bit: Bloodborne, un cacciatore chiamato Lovecraft
INFORMAZIONI GIOCO
Articolo a cura di

Inauguriamo con questa prima puntata una nuova rubrica intitolata Libri a 360bit: un format che ambisce a mettere in comunione la letteratura ed il videogioco, spesso connessi da legami tematici ed artistici. Ogni episodio, quindi, analizzerà un prodotto videoludico sulla base delle sue somiglianze, narrative e concettuali, con il mondo letterario.

Ce lo ricordiamo tutti la prima volta che è successo. Ci eravamo appena risvegliati, ancora sporchi di sangue, in una lugubre e sudicia clinica più o meno improvvisata quando, dopo aver fatto pochi passi, ci siamo ritrovati di fronte una creatura partorita dai nostri incubi. Un lupo informe, colossale, assetato di carne ci ha prima squadrato e poi si è fiondato su di noi: inutile dire che ci ha fatti a brandelli. Eppure no, la vita quel giorno non era finita. Ci siamo destati, ancora una volta increduli, in un luogo apparentemente senza tempo, con davanti a noi un enigmatico automa dalle forme di una bella fanciulla e una magione, misteriosa e chiusa. Qualche momento per familiarizzare con l'ambiente ed ecco che siamo trasportati di nuovo in quella clinica, questa volta però armati fino ai denti: la bestia che prima ci aveva fatto paura ora è diventata preda. Adesso siamo noi i cacciatori che, ebbri di sangue, spalanchiamo la porta su un mondo malato e quasi morto. Benvenuti a Yarnham, benvenuti a Bloodborne, ovvero la più compiuta trasposizione videoludica (e non solo) dell'universo à la Lovecraft.

Lovecraft e Miyazaki: fratelli separati alla nascita?

Nelle righe d'apertura di questo articolo abbiamo voluto raccogliere a livello epidermico le principali sensazioni che il giocatore medio prova nei primi, concitatissimi, minuti di Bloodborne, il capolavoro targato Hidetaka Miyazaki e From Software, uscito nel 2015. Queste battute iniziali permettono però già di riconoscere ambientazioni, atmosfere e uno stile che ricorda, in modo inquietante quelle dei libri di Lovecraft, il "re dell'horror", uno degli autori che hanno scavato più nel profondo dell'abisso dell'animo umano, presentando i più reconditi timori dell'uomo, con una particolare predilezione per i diversi piani dell'esistenza.

È chiaro ed evidente quindi come la lore di Bloodborne, affondi le radici nelle creazioni dello scrittore che ha letteralmente plasmato l'immaginario dark. Sia Lovecraft che Miyazaki appaiono interessanti per descrivere i lati più oscuri dell'esistenza umana, accomunati da una sinergica visionarietà nelle scelte stilistiche. Ma non si creda che queste connessioni siano soltanto di semplice gusto. La vicinanza tra Bloodborne e l'opera di Lovecraft sono infatti molto più radicate.

Da Cthulhu a la "Straordinaria Verità" il passo è breve, anche se mortale

Si prenda ad esempio il seminale The Call of Cthulhu, libro dato alle stampe nel 1928 tra lo scetticismo generale. Questo volume segna una tappa importante nella carriera dello scrittore perché inaugura il suo momento forse più florido e creativo, ovvero quello del "cosmicism", il periodo cosmico in cui l'autore americano tratta sempre più diffusamente temi non soltanto fantascientifici ma anche esoterici.

Ecco quindi come i Grandi Esseri, creatori non soltanto del mondo oggi ma anche della razza umana - scaturita anzi "sgorgata" dal loro stesso sangue antico (la centralità del sangue in Bloodborne è ovviamente assoluta) - sono il diretto riflesso delle creature di Lovecraft, rinchiuse in angoli remoti della Terra e destinate, prima o poi, a destarsi per sconvolgerla ancora una volta o, forse, a riportarla alla sua primigenia dimensione (ogni riferimento al The Mind Flayer di Stranger Things, eco a sua volta dell'omonimo essere di D&D, è scontato e voluto).

Uomini di culto

Ma anche dal punto di vista del successo "mediatico", le carriere di Miyazaki e Lovecraft si assomigliano, con una particolare ma decisiva differenza. Infatti entrambi sono, di fatto, autori di culto, seguiti da milioni e milioni di lettori e videogiocatori in tutto il mondo, che hanno dato vita a gruppi di studio/gioco ed anche a veri e propri fan-club, come i "souls-player" sanno bene.

Tuttavia, e qui sta la grande distinzione tra il destino dei due, è che Hidetaka Miyazaki è, ben prima di essere passato a miglior vita, un creativo riconosciuto e premiato in ogni dove. Invece Lovecrat, quand'era ancora vivo, non è mai stato troppo considerato né dai circuiti letterari più rinomati, americani e non, né tantomeno dal mercato editoriale, che ha sempre accolto le sue opere con una certa freddezza. Forse i tempi odierni sono più giusti per un Miyazaki rispetto ai gusti del primo Novecento, epoca nella quale "abitava" Lovecraft, ma rimane il fatto che l'americano rispetto al giapponese non riuscì mai a godersi il successo in vita. Un destino gramo, insomma, molto simile a quello dei suoi personaggi.

La morte come matrice di conoscenza

Altra vicinanza tra i due è la morte, intesa non soltanto come espediente letterario o videoludico, ma in qualità di vera e propria architrave della loro opera. Infatti nei libri di Lovecraft così come nei giochi di Miyazaki, la morte non è certo "la conclusione" del romanzo oppure il "Game Over" definitivo, ma diviene uno strumento meta-narattivo, un arnese della conoscenza che approfondisce e arricchisce il mondo raccontato.

In Bloodborne poi si aggiungano i cosiddetti "punti intuizione", che si ottengono o attingendo alle varie "conoscenze del folle" disseminate lungo le mappe, oppure scoprendo sempre nuovi elementi. Questa meccanica di gioco si inserisce perfettamente nella narrativa lovecraftiana dove incontriamo costantemente protagonisti che, pur di "vedere" e di conoscere, pur di toccare con mano e osservare con i propri occhi le diverse verità straordinarie che si dipanano davanti a loro, non temono la morte. Ecco quindi che sia Bloodborne sia la letteratura targata Lovecraft vede il trapasso come matrice di conoscenza.

L'orrore dentro di noi

Ci avviciniamo in modo veloce e deciso, facendo risuonare i nostri passi sul ciottolo di Yarnham Centrale, al cuore del nostro discorso. Certamente i due artisti qui presentati si avvicinano notevolmente a tematiche dalle tinte orrorifiche. Ma qual è la particolarità di Miyazaki e di Lovecraft? Entrambi, un po' come del resto fa lo stesso Stephen King, comprendono bene che i peggiori incubi e i mostri più spaventosi ed orridi non siano tanto da ricercare intorno e fuori da noi ma proprio all'interno di noi stessi. Lovecraft e Miyazaki (fortemente ancorato alla tradizione demoniaca giapponese, pur con la volontà di superarla e di declinarla in forme nuove) fanno quindi scaturire i mostri direttamente dalla mente e dall'animo dell'uomo.

Non a caso in Bloodborne siamo in un sogno che è anche un incubo: dopo aver giocato al capolavoro di From Software prendete in mano i romanzi di Lovecraft e vi accorgerete di come, forse, l'intera opera dei due potrebbe essere riassunta con l'enigmatica e beffarda frase: "Che cos'è l'esistenza se non il sogno della morte, ovvero l'incubo della vita"? Naturale quindi che, quando lo scorso weekend ci siamo accorti dell'apparizione su Amazon di un misterioso "Bloodborne 2", un brivido (di piacere e di paura) ci è subito corso lungo la schiena. Chissà se, mai come in quel frangente, stavamo toccando con mano "la straordinaria verità dei grandi esseri"...