Rubrica Play.Again Carmageddon

Rigiochiamoci: il pioniere degli eccessi

Rubrica Play.Again Carmageddon
INFORMAZIONI GIOCO
Articolo a cura di

Siamo stati tutti adolescenti. Anche i lettori che si affacciano inesorabilmente alla soglia dei 30 ricorderanno più che bene quegli anni nefasti, fatti di fantasiosi deliri autodistruttivi e intossicazioni da Topexan. Mentre assistevano, noncuranti, agli ultimi rantoli dei moribondi anni '90 e al giubilo di quei pochi che avrebbero passato quel periodo in totale serenità, milioni di tormentati ragazzini si esibivano nei più astrusi rituali di sopravvivenza pre-maturità. Potevano rintanarsi nelle proprie stanzette tappezzate di poster ed abbracciare in lacrime un cuscino, mentre in sottofondo partiva la sigla di apertura di Dawson’s Creek, oppure mettere su un disco dell’hard rock più buzzurro e fare dell’insensata violenza su indifesi omini fatti di pixel. L’industria videoludica, con una trovata sconcertante dietro l’altra, sembrava quasi vittima degli stessi turbamenti esistenziali, tanto che, nel giro di una manciata di anni, si raccolse abbastanza materiale da far esplodere i registri dell’ESRB; fra i banchi di scuola si farneticava riguardo casalinghe sovversioni contro il mostro della censura e si giudicavano i videogame in base al livello di gore, su un’improvvisata scala di valori che andava da Rainbow Island a Soldier of Fortune.
Sebbene di violenza nei videogiochi se ne vedesse già parecchia, sul finire degli anni ’90 il mercato si affollò di titoli che parevano essere studiati appositamente per mandare in bestia chi già non vedeva di buon occhio l’hobby del videogaming, che si faceva via via sempre più adulto.
Il 1997, in particolare, fu un anno parecchio duro per moralisti e deboli di stomaco. Postal, Carmageddon, e il primo di una lunga serie di Grand Theft Auto, rappresentano solo parte dell’ondata di sangue -virtuale- che ha reso l’attuale generazione di videogiocatori immune a qualsiasi eccesso di brutalità appaia sullo schermo, e che tuttora continua a riempire le bocche di illustri -quanto disinformate- penne della stampa generalista, sempre pronte a cogliere il più irragionevole dei collegamenti fra l’ultimo cruento evento di cronaca e il videogame preferito dei propri figli.

Il sangue rosso, il sangue verde

E’ giusto ricordare, tuttavia, che non tutti i titoli in questione nacquero come intenzionali ed esplicite beffe ai canoni morali di fine millennio. Il controverso racing game di Stainless Software, ad esempio, era inizialmente concepito come un semplice clone di Destruction Derby; fu forse la frustrazione del team nel perdere la licenza relativa a Mad Max prima, e di Death Race 2000 (di cui resta un forte richiamo nel design delle auto e un piccolo omaggio nel titolo del terzo episodio) poi, a far si che Carmageddon finisse sulla scia poi percorsa da Postal qualche mese dopo. Ne venne fuori un gioco di corse clandestine come non se n’erano mai visti, in cui l’uccisione degli ignari pedoni garantiva un bonus in tempo e denaro, in cui era possibile investire anche il poveraccio che reggeva la bandiera a scacchi ad inizio gara e sentire il protagonista commentare con un pacato “shit happens”.
Le accortezze degli sviluppatori nel tentativo di buttarla sul ridere, dalle esagerazioni del motore fisico alle espressioni buffe di Max Damage e Die Anna riflessi nella “prat cam”, permisero di alleggerire un po’ i toni, ma non bastarono ad evitare la scure della censura. I pedoni (mucche comprese) furono presto sostituiti da zombie (robot nella versione tedesca) e il sangue ricolorato in verde. Il provvedimento preso, come era lecito aspettarsi, finì per accrescere la fama di Carmageddon, al punto che la caccia alla versione non censurata fruttò anche qualche vendita in più. A seguito delle prime apparizioni sui tabloid britannici, il lavoro di Stainless cadde in un turbine di accuse provenienti dalle più disparate fonti: ogni categoria si sentì colpita dalle provocazioni del videogame e legittimata nel perseguire inconsistenti guerre mediatiche; il bonus “blind pedestrians” -che permetteva di fermarsi a pochi centimetri dai pedoni per poi spaventarli a morte col clacson- infuriò associazioni di ipovedenti in Australia, il clichè dell’anziano che urla “I was in the war!” mandò su tutte le furie Age Concern, senza parlare dello sdegno immotivato di Daily Mail in occasione della morte della principessa Diana (data la macabra assonanza con Die Anna).
Secondo un’analisi che potrebbe sembrare dura quanto semplicistica Carmageddon sarebbe solo il prevedibile risultato del lavoro di un team di buontemponi a cui vien data carta bianca, poi caduto vittima dell’inaspettato contraccolpo di un humor nero male interpretato, nonchè di una generale insofferenza verso un media non ancora accettato dalle masse scomposte di moralisti; le situazioni create nel gioco erano talmente piene di eccessi e così surreali che neanche le menti più ‘semplici’ avrebbero potuto confondere il gioco con la realtà, per poi mettersi alla guida della propria monovolume e comparire sui giornali, subito sopra una fumosa invettiva contro l’intero mondo videoludico.

Un buon investimento

Mentre in molti, joypad alla mano, rimasero inchiodati alle prodezze tecniche del simulatore di corse per eccellenza di casa Sony, i PC gamer poterono consolarsi con un titolo nettamente più arcade, cruento e, allo stesso tempo, carico di ironia. Nonostante le critiche apparse su alcune riviste riguardo il gameplay, anche i suddetti consolari -i cui genitori non caddero nella geniale trappola del “mi serve un PC per studiare”- avrebbero invidiato i possessori di personal computer, almeno fino al discutibile porting per PSX.
La possibilità di vincere ogni gara semplicemente facendo a pezzi le auto degli altri partecipanti, e i limiti strettissimi di tempo per raggiungere il checkpoint successivo, erano abbastanza perché ogni partita degenerasse di colpo, dopo la prima curva, per dare libero sfogo alla rabbia repressa di ogni incasinato ragazzetto in crisi adolescenziale. I due milioni di copie vendute non furono frutto della sola controversia legata al titolo: chi riuscì a cogliere l’intento degli sviluppatori e ad apprezzarne l’ironia carica di slang, trovò il gameplay di Carmageddon efficace e divertente, e non solo: secondo il surreale racconto di Neil Barden, anche gli incaricati di BBFC (British Board of Film Classification), chiamata in causa da una Sales Curve Interactive in cerca di ulteriore pubblicità, avrebbero mostrato una certa euforia nel valutare il gioco, nonostante la decisione finale.
Carmageddon fu, per molti versi, un titolo altamente pionieristico, padre di una moltitudine di eccessi che si sarebbero, in parte, rivisti nella successiva distribuzione dei vari GTA, un gioco capace di investire e lasciare agonizzanti a bordo strada parecchi tabù, rivoluzionando il barboso mondo dei racing game.

Hang to yer helmet

Dopo il porting del primo Carmageddon, rilasciato per smartphone e tablet, Stainless Software ha annunciato un nuovo capitolo della serie, Reincarnation, finanziato con gli oltre 600.000 dollari raccolti grazie a Kickstarter. In attesa del Q4 dell’anno corrente, data del previsto rilascio del gioco, il fremente fandom di Carmageddon potrà sollazzarsi con alcune chicche rese disponibili online dal team di sviluppo, come le registrazioni per la ‘prat cam’ con protagonista l’allora quattordicenne Faye Morey (Die Anna) o i disastrosi footage con Tony (Max Damage) nei panni di uno sfortunato pedone.
Ai nostalgici che hanno frugato nei cassetti per ore in cerca della scatola del gioco, così come ai curiosi che non hanno avuto modo di apprezzare l’originale Carmageddon, consigliamo il Max Pack (comprensivo del famoso Splat Pack) in vendita su GoG, accompagnato da bozzetti, colonna sonora, e dei simpatici papercraft che ripropongono i modelli 3D delle auto.