Resident Evil Code Veronica: 20 anni di terrore in My Generation EP.15

A vent'anni dal lancio, ripercorriamo la storia di Resident Evil Code Veronica, uscito il 3 febbraio 2000 su SEGA Dreamcast.

My Generation EP.15: Resident Evil Code Veronica
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Considerato da Shinji Mikami come il "vero" Resident Evil 3, almeno da un punto di vista narrativo, Code: Veronica non è soltanto uno dei capitoli più brillanti della serie ma è anche l'ultimo ad aver aderito agli stilemi classici, segnando al contempo un importante balzo evolutivo rispetto alle incarnazioni PS1. Forti della potenza del Dreamcast, la console che ha visto nascere l'avventura di Chris e Claire, gli sviluppatori sono riusciti ad abbandonare i background pre-renderizzati e hanno davo vita a un'esperienza terrificante e piena di sorprese. Nonostante siano passati ben vent'anni dal suo debutto, sono in molti a ricordare Code: Veronica con sincero affetto, senza contare coloro che vorrebbero il suo ritorno in RE Engine. Per festeggiare degnamente l'anniversario, abbiamo ripercorso lo sviluppo ed evidenziato le caratteristiche principali dell'opera, non mancando di menzionarne il simpatico spot giapponese e i trascorsi post-lancio. Bentornati a My Generation, la rubrica pensata per celebrare i videogiochi che hanno fatto la storia.

Nascita di un terrore "next-gen"

Dopo aver collaborato per consentire l'approdo di Resident Evil su Saturn, Capcom e SEGA hanno tentato di ripetere l'operazione con il secondo capitolo, ma l'occasione è sfumata in poco tempo perché avrebbero dovuto sacrificare la qualità generale dell'esperienza. Per scusarsi con i fan e dar seguito alla partnership con la casa di Sonic, Yoshiki Okamoto ha pensato di realizzare un titolo in esclusiva per Dreamcast, la console next-gen di SEGA.

Siccome gran parte dello staff di Capcom era impegnato su altri progetti, dal RE 1.9 di Aoyama fino al prequel del capostipite della serie, lo sviluppo di quel che sarebbe diventato Code: Veronica è finito nelle mani di XAX Entertainment, TOSE e Nextech, che ha cominciato a reclutare dei freelancer del calibro di Satoshi Nakai per rimpolpare la squadra. Posto alla direzione del progetto con il benestare di Capcom, Hiroki Kato ha intrapreso la gestazione del gioco con l'idea di prendersi i giusti tempi per realizzare qualcosa di memorabile.

Fondamentale come quella degli episodi numerati, la trama di Code: Veronica ha subito alcuni stravolgimenti non da poco, uno su tutti l'abbandono degli "echi nazisti". In origine, infatti, Jill Valentine avrebbe dovuto affiancare Chris nella caccia alla divisione europea dell'Umbrella e scoprire i segreti sul Virus Progenitor e sulla fondazione stessa della compagnia. La formidabile coppia si sarebbe trovata al cospetto di Hilbert e Hilda Krueger, figli di un ufficiale della Wehrmacht e ovviamente pazzi assassini.

A completare il trio c'era anche il maggiordomo di Hilbert, che aveva combattuto al fianco di suo padre durante la Seconda Guerra Mondiale. Mikami, Okamoto e i suoi però temevano che i riferimenti al nazismo avrebbero minato le vendite sul suolo europeo, ecco perché - quando Jill è stata riportata nel bel mezzo dell'orrore a Raccoon City - i Krueger si sono trasformati nei nobili Ashford e buona parte delle idee iniziali sono state scartate. Come ben sappiamo è stata Claire Redfield a prendere il posto dell'agente S.T.A.R.S in Code: Veronica, in modo da creare un senso di continuità con gli eventi di Resident Evil 2.

Mentre i precedenti titoli della serie condividevano il setting statunitense, l'opera per Dreamcast avrebbe portato il giocatore a visitare Rockfort Island e l'Antartide, impreziosendo il tutto con architetture gotiche e ambientazioni incredibilmente lugubri. Il panico di Raccoon aveva lasciato spazio a un nuovo tipo di orrore e a un costante senso di tensione, merito anche del passaggio agli scenari in full 3D.

Per ottimizzare la gestione di una squadra multi-studio, Mikami ha diviso gli addetti ai lavori in base ai loro interessi, assegnando ad alcuni il design delle armi e ad altri l'ideazione del mondo di gioco previa ricerca sul campo, un po' come accaduto per il Devil May Cry di Hideki Kamiya.

Animare i dettagliatissimi zombie, tra mascelle penzolanti e movimenti oculari, non è stato affatto semplice, per non parlare del costruire da zero il complesso di Rockfort Island, ma la realtà è che la dedizione degli sviluppatori ha permesso al prodotto finito di settare nuovi standard grafici per la serie. Con la conta dei poligoni che aumentava durante le cutscene, i personaggi principali riuscivano finalmente a lasciar trasparire paura, risolutezza e altri stati d'animo, a cominciare da Claire. Dopotutto l'esperienza a Raccoon City aveva fortificato la giovane Redfield e ciò si percepiva chiaramente sia durante il gameplay, che durante le sequenze filmate, come vedremo tra poco. In definitiva, sebbene sia stato affidato in gran parte a dei team esterni, il progetto Code: Veronica era tenuto in grande considerazione da Capcom, che tra l'altro ha deciso di rinviarne l'uscita per proporlo nella miglior forma possibile. Dal settembre del '99 fino al lancio nel febbraio del 2000, SEGA ha mandato alcuni dei suoi sviluppatori ad aggiungere i tocchi finali e ad assicurarsi che il frame rate fosse sufficientemente stabile, in modo da garantire il debutto di una vera killer app per il nuovo Dreamcast.

Ricordare il passato per plasmare il futuro: le caratteristiche di Code Veronica

La storia di Code: Veronica cominciava pochi mesi dopo gli eventi di RE 2, con Claire che continuava a seguire le tracce lasciate dal fratello per raggiungerlo. L'iconica cutscene d'apertura in stile John Woo mostrava sin da subito la sicurezza della giovane, che non esitava a infiltrarsi in un laboratorio europeo dell'Umbrella. Il montaggio col piglio da film d'azione si componeva di rapide successioni di inquadrature e frangenti al rallentatore, sottolineando il coraggio mostrato dalla Redfield nell'affrontare un intero manipolo di sgherri e un elicottero armato di gatling.

Dopo una strenua resistenza l'eroina dai capelli castani veniva infine catturata e si risvegliava in una buia prigione del complesso di Rockfort. Questo non era che l'inizio di un'avventura ispirata e pregna di mistero, basata su due concetti antitetici di famiglia. Mentre Chris e Claire mettevano a repentaglio la propria vita per aiutarsi l'un l'altra, Alfred e Alexia Ashford avevano un rapporto morboso e deviato (ne abbiamo parlato nel nostro speciale su videogiochi e personalità multiple), su cui aleggiava l'ombra del virus T-Veronica. L'intreccio non era avaro né di momenti toccanti - si pensi alla mutazione e alla conseguente dipartita del povero Steve - né di sorprese, come ben dimostrava l'entrata in scena di un redivivo Albert Wesker.

Grazie all'ottima interpretazione di Richard Waugh - che superava di gran lunga le altre "voci" del cast - i giocatori assistevano al ritorno di un fantasma del passato, che aveva messo da parte la fragilità umana in favore di un potere proibito. Al pari dei filmati, anche il gameplay vantava un pool di nuove soluzioni registiche, a partire dalla visuale dinamica già vista in Dino Crisis. La telecamera infatti seguiva in modo coerente gli spostamenti del personaggio e nel mentre inquadrava le ambientazioni con una certa eleganza, mettendo in luce l'inedita solidità degli scenari in 3D.

In un'unica avventura da più di 10 ore di gioco, i due protagonisti dovevano superare i classici puzzle e vendere cara la pelle contro orde di mostruosità ancor più temibili che in passato. Pensiamo al ritorno degli Hunter, ma anche ai Bandersnatch, degli orridi "mini Tyrant" in grado di allungare le braccia per colpire o afferrare i malcapitati dalla lunga distanza. Approntato il design di questa nuova BOW, Satoshi Nakai avrebbe voluto inserire anche un'inedita tipologia di Tyrant, poi sostituita dal più familiare T-078.

Per pensionare il gigantesco mostro, Alexia Ashford, e gli altri abomini al seguito, i Redfield potevano ricorrere a un vasto arsenale, dalla balestra alla Magnum, fino alle iconiche mitragliette doppie. Quando si utilizzava il fucile di precisione, tra l'altro, era possibile passare a una visuale in prima persona per servirsi realmente del mirino in dotazione. Purtroppo Code: Veronica non ha preso in prestito solo la giravolta dal predecessore, ma anche la totalità dei famosi "tank controls", che gli hanno impedito di distaccarsi realmente dall'era PlayStation.

Nonostante ciò il titolo di Capcom, Nextech e TOSE, narrava la storia più lunga e complessa della serie, forniva indizi sul torbido passato dell'Umbrella e sfruttava le capacità della console di SEGA per offrire una presentazione visiva semplicemente impensabile altrove. Non a caso Shinji Mikami lo considera uno dei suoi capitoli preferiti, perché pensa si sia avvicinato più di molti altri alla sua personale visione di Resident Evil.

Una perla di rara bellezza: l'uscita, lo spot e l'arrivo di Code Veronica X

Approdato su Dreamcast nel febbraio del 2000, Code: Veronica è stato osannato dalla stampa, che ne ha lodato il comparto narrativo e la presentazione visiva pur criticando un sistema di controllo ormai vetusto. Dopo aver superato lo Shenmue di Yu Suzuki nella prima settimana in commercio, ha raggiunto un totale di 1,14 milioni di copie in tutto il mondo, spingendosi oltre le aspettative della stessa Capcom.

Cogliamo l'occasione per citare un famoso spot pubblicitario di quel periodo, che vedeva un losco individuo "simil Albert Wesker" avventurarsi in una stanza buia per accendere il suo Dreamcast e finire nel bel mezzo degli orrori di Code: Veronica. La voce narrante giapponese illustrava i principali aspetti della produzione mentre - a schermo - Claire e Chris eliminavano i mostri con le mitragliette e tentavano di liberarsi dalla furia di Albert Wesker. L'individuo dai capelli tirati all'indietro esortava gli appassionati a non lasciarsi sfuggire l'acquisto e le luci si accendevano.

Ora pienamente illuminata, la cantinola buia si rivelava essere un set pubblicitario mentre gli astanti si complimentavano con l'attore per la sua interpretazione. La seconda camera che inquadrava la stanza però, zoomava improvvisamente sull'apparecchio principale per svelare una terrificante sorpresa: il cameraman era un famelico zombie che - soddisfatto del lavoro svolto - sfoderava un sorriso sornione a dir poco inquietante.

Tornando a noi, nonostante abbia superato gli obiettivi di vendita, Code: Veronica non è riuscito a eguagliare i risultati dei predecessori, e il motivo di ciò è molto semplice. Con la PlayStation 2 all'orizzonte, il Dreamcast non era riuscito a imporsi sul mercato e aveva una base installata piuttosto ridotta. Pur sapendo che si trattasse di un importante capitolo della serie, in altre parole, molti appassionati non erano disposti ad acquistare la console per recuperarlo.

Capcom sapeva che il futuro del brand fosse altrove e, per non sprecare le potenzialità commerciali di una simile perla, ha deciso di pubblicarne una Extended Cut sulla nuova console di Sony, passata alla storia come Resident Evil Code: Veronica X. Di base, stiamo parlando della stessa esperienza, ma forte di 10 minuti di cutscene aggiuntive che svelavano alcuni retroscena sul coinvolgimento di Wesker nei piani dell'Umbrella Corporation. Secondo l'azienda la presentazione visiva era stata migliorata, ma sono in molti a non aver trovato efficace il look più saturato della versione X.

In ogni caso il gioco ha ottenuto risultati migliori sui lidi PlayStation e poi è giunto anche su GameCube, Xbox 360 e PS3 con dei porting piuttosto pigri, che non hanno tratto alcun reale beneficio dagli hardware di riferimento. Con ciò, il tour dell'orrore dei Redfield resta una pietra miliare del mondo di Resident Evil, che tutti i veri appassionati della serie dovrebbero recuperare. Sarebbe davvero un peccato se Capcom decidesse di scartare un possibile remake di RE Code Veronica, perché avrebbe l'occasione di regalare ai fan un glorioso incontro col passato.