15 anni di Assassin's Creed: l'evoluzione della saga dal 2007 ad oggi

In attesa del prossimo capitolo, celebriamo l'evoluzione del franchise di Assassin's Creed, che quest'anno festeggia il quindicesimo anniversario.

Assassin's Creed compie 15 anni
Speciale: PC
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  • Pc
  • PS5
  • Stadia
  • Xbox Series X
  • Sono passati 15 anni da quando, al rintocco di una campana mortifera, la Lama Celata di una figura ammantata di bianco si abbatteva contro la giugulare di uno sventurato soldato Templare, prima che Altair Ibn-La'Ahad si volatilizzasse tra la folla di Gerusalemme, balzando come un felino da una tettoia all'altra per poi nascondersi tra un gruppetto di ignari monaci in preghiera. La storia degli Assassini, della loro guerra eterna contro l'Ordine Templare e dei successori che ne hanno ereditato i valori, è diventata leggenda, poi mito. Nell'ultimo decennio (e oltre) il franchise di Assassin's Creed è diventato uno dei più fortunati e remunerativi nell'industria videoludica, balzando senza troppa fatica da un medium all'altro fino alla formazione di un vero e proprio universo espanso.

    La più famosa e apprezzata saga di Ubisoft, almeno dell'ultimo ventennio, ha cambiato pelle più volte, incarnando diverse formule ludiche che hanno poi composto il DNA concettuale di gran parte delle produzioni Ubisoft Original. E proprio nell'anno del suo quindicesimo anniversario, alle porte di un imminente reveal sul prosieguo della saga (il futuro di Assassin's Creed verrà svelato a settembre 2022), vogliamo celebrare il lungo percorso della serie, che proprio come i suoi impavidi protagonisti ha indossato il cappuccio e si è mimetizzata tra le maglie del mercato videoludico per seguirne le tendenze e abbracciarne l'evoluzione.

    Da Altair a Ezio, le origini del Mito

    Nel 2007 il primo capitolo di Assassin's Creed lasciò a bocca aperta coloro che portavano nel cuore l'età dell'oro di Prince of Persia, semplicemente perché l'opera concepita da Patrice Désilets ne era una sorta di successore spirituale. Il concept narrativo e ludico dell'avventura di Altair era semplicemente clamoroso: affascinante lo scenario storico di un Medio Oriente dilaniato dalle Crociate, magnetico il racconto di redenzione del suo protagonista, inebriante la sua formula di gameplay.

    L'open world di Assassin's Creed, seppur tendenzialmente spoglio e ridondante, rappresenta il prototipo di mondo aperto "in stile Ubisoft" che gran parte dei giocatori hanno imparato a riconoscere negli ultimi anni. Un ecosistema digitale che al divertimento univa una minuziosa e accurata ricostruzione storica e geografica, rispettosa dei crismi culturali ed etnici del periodo preso in esame. Le roventi sabbie di Damasco, gli imponenti torrioni di Acri e le placide atmosfere di Gerusalemme - collegate da deserti, villaggi e crepacci a misura di cavallo - furono già all'epoca una dichiarazione d'intenti: abbattere i confini tra realtà e diegesi interattiva, immergendo il giocatore all'interno dell'Animus esattamente come il povero Desmond Miles, costretto dai suoi aguzzini a vivere un'esperienza in osmosi con il suo micidiale antenato siriano. Il lavoro di Désilets e dei suoi collaboratori, in termini di "metainterazione" applicata al game design, fu encomiabile: la salute dell'antenato rappresentava il grado di "sincronizzazione" tra Desmond e la macchina, e dunque tra giocatore e gioco. Pertanto, contravvenire ai principi di base della Confraternita degli Assassini (in particolare togliendo la vita ad un innocente) determinava una totale "desincronizzazione" tra il protagonista e il suo avatar, e dunque il crash del sistema Animus e l'insorgenza del game over.

    La cura riposta da Ubisoft nel ricreare lo sfondo culturale del primo capitolo si rifletteva persino nelle meccaniche di gameplay e chiamava il giocatore a sperimentare la routine comportamentale di un vero hasciaiscin del dodicesimo secolo: il primo Assassin's Creed era un action adventure con importanti afflati di stealth volti a rispecchiare il background mistico e religioso dei suoi eroi. Il combat system, mai troppo profondo né eccessivamente stratificato, era studiato nei minimi movimenti per restituire il senso di letale agilità e precisione dell'incappucciato.

    I segmenti di furtività, piuttosto che ispirarsi agli archetipi classici dell'industria, miravano a un mimetismo ambientale assolutamente coerente col mondo di gioco. Assassin's Creed, travestendosi da stealth, calava nelle vesti di un vero e proprio sicario mediorientale e ad oggi, almeno per il sottoscritto, rappresenta una delle esperienze più immersive nel panorama mainstream dei videogiochi. Valori che, uniti ai virtuosismi narrativi e concettuali, lo resero un progetto in tutto e per tutto unico.

    Con la cosiddetta Saga di Ezio, ovvero la trilogia composta da AC2, Brotherhood e Revelations, Ubisoft sancì definitivamente l'ingresso della serie nell'Olimpo della cultura pop. Un orgoglio tutto nostrano, peraltro, il fatto che il protagonista più iconico e amato del brand sia proprio un italiano. Assassin's Creed 2 è scolpito nei cuori di tutta la community perché rappresentò l'evoluzione naturale del primo capitolo: è, di fatto, l'episodio più simile nella struttura a quello di Altair, ora nella concezione del suo open world, ora nelle feature di gameplay. Due grandi metropoli, Firenze e Venezia nell'era rinascimentale, arricchite e collegate dalle campagne toscane e dai borghi del Centro Italia, e un sistema di combattimento che si faceva erede dello stile sinuoso di Ibn La-Ahad.

    Ancora una volta, pur discostandosi dai piani originari di Désilets (scoprite come doveva essere Assassin's Creed), il videogioco Ubisoft diventava espressione di una simbiosi totale tra giocatore e avatar: a controllare Auditore, proprio come fu con Altair, è Desmond, che grazie all'Effetto Osmosi dell'Animus e alla propria memoria genetica vive le gesta dell'antenato per poi interiorizzarne abilità, movimenti e tecniche. Un esempio a dir poco raro di un gameplay giustamente conservativo che si contamina con la narrazione, diventando elemento di coerenza piuttosto che di mera ripetizione. Chi scrive ritiene che Brotherhood, all'interno del trittico con Ezio protagonista, sia forse l'episodio più sottovalutato, nonché il vero precursore della formula ludica e contenutistica a marchio Ubisoft. Gli scontri diventarono più fluidi, gli spostamenti a cavallo più dinamici, il combat system introdusse le esecuzioni veloci a catena, mentre lo scenario principale (per la prima volta un'unica grande città, la Roma del 1500) accolse gli avamposti nemici (le Torri dei Borgia) e un intrigante sistema gestionale.

    Troviamo da una parte le opzioni di restauro delle attività commerciali romane (a loro volta evoluzione del progresso della sola Monteriggioni in AC2), dall'altra l'organizzazione della Confraternita e delle rispettive gerarchie. Elementi che in Revelations, nella Costantinopoli protetta da un'affascinante versione anziana di Ezio, trovarono ulteriore innovazione nelle fasi tattiche: le aree sicure della città, difatti, venivano costantemente minacciate dalle truppe templari, e per proteggere i propri avamposti si era chiamati a condurre delle brevi battaglie strategiche. Sia Brotherhood che Revelations, inoltre, contribuirono a plasmare l'infrastruttura del franchise oltre la storyline principale: tra segmenti di memoria secondari e timidi accenni di missioni di contorno, prendeva forma l'Assassin's Creed che conosciamo oggi. Non prima di passare per un altro importante segmento del franchise.

    Tra battaglie navali e rivoluzioni

    La trilogia ambientata nelle Americhe segnò l'inizio della fase più controversa di Assassin's Creed. Il terzo capitolo è ancora oggi uno dei più importanti in assoluto, sia in termini di evoluzione tecnica sia per il suo contenuto. Con l'epopea di Connor si aprì una parentesi narrativa di profondo revisionismo: lontano dalla sacralità di Altair e dal moralismo di Ezio, la saga iniziata con Ratonhnhaké:ton metteva in discussione i principi fondanti della Confraternita.

    L'era degli spin-offGrazie ai suoi vari spin-off, la saga di Assassin's Creed non ha rinunciato nemmeno ad esplorare generi videoludici e piattaforme di gioco differenti. Con la parentesi Chronicles, e con svariati capitoli di intermezzo nell'era Nintendo DS, Ubisoft ha colonizzato il mercato dei platform bidimensionali. La particolarità di episodi come China, India e Russia è che le meccaniche platform ben si amalgamavano con il gameplay classico del franchise. Infine non sono da dimenticare i titoli per PSP e PS Vita: da Bloodlines a Liberation, produzioni che rimanevano profondamente ancorate ai crismi dei loro capitoli principali, ma che hanno contribuito non poco ad espandere sia la Lore, sia il ventaglio di ambientazioni storiche del brand.

    Non a caso, nel memorabile prologo di AC3, vestiamo i panni di uno dei personaggi più affascinanti e misteriosi di tutta la saga: Haytham Kenway, ex Assassino divenuto Templare dopo aver realizzato le contraddizioni che muovevano il gruppo celato nell'ombra. Quasi un peccato che i suoi trascorsi vengano in parte approfonditi soltanto nell'universo espanso, per la precisione in un romanzo: per tutto il resto vi invitiamo a leggere il nostro speciale sull'universo espanso di Assassin's Creed tra libri e fumetti. Con Assassin's Creed 3 Ubisoft puntava a rafforzare la componente adventure del franchise. Le migliorie al parkour e ai combattimenti - divenuti ancor più spettacolari - erano solo il principio di un'esperienza che concepiva l'open world su vasta scala, il Nord America del 1700, e non più come singola metropoli.

    Cruciale fu inoltre l'introduzione degli spostamenti e delle battaglie navali, che unite alle attività opzionali e ai numerosi collezionabili, spostavano il focus dell'esperienza verso l'esplorazione. Dettami che vennero ulteriormente potenziati in Black Flag, che ad oggi rimane tra gli episodi preferiti dall'utenza: merito di un'ambientazione stracolma di meraviglie, la pirateria americana all'epoca del colonialismo inglese, e dei tanti riferimenti alla cultura pop e all'intrattenimento di genere (da Monkey Island a Pirati dei Caraibi, d'altronde, le citazioni si sprecano). Il quarto Assassin's Creed percorreva il solco metanarrativo delle origini - a controllare l'avatar di Edward Kenway, in un videogioco chiamato "Diavoli dei Caraibi", era un beta tester assunto dall'Abstergo per sperimentare una nuova tecnologia basata sul business dell'Animus - e rappresenta l'antenato spirituale della più recente deriva del franchise. Alla base dell'avventura piratesca di Ubisoft infatti c'era un perenne senso di scoperta in una mappa gigantesca, di fatto l'intera regione del Mar dei Caraibi. Nulla di troppo diverso da quanto proposto qualche anno più tardi da AC Origins, non a caso sviluppato dallo stesso team di Black Flag. Si arrivò, nel 2014, ad Assassin's Creed Rogue, uscito nello stesso anno di Unity: se tuttavia l'episodio parigino colonizzò per la prima volta le piattaforme di nuova generazione, PS4 e Xbox One, Rogue fu sviluppato per PS3 e Xbox 360 e andava a chiudere la trilogia americana.

    Fu l'annata più sfortunata per Ubisoft. Al netto di un protagonista convincente e di una storia che per la prima volta ci calava nei panni di un Templare, AC Rogue non ebbe esattamente il successo sperato. I motivi erano riconducibili, probabilmente, a una sceneggiatura troppo frettolosa e a un gameplay che venne giudicato come una versione ripetuta della formula ludica del quarto capitolo. Forse, analizzandolo in retrospettiva, parliamo di uno dei titoli più meritevoli di una rivalutazione: al netto dei suoi aspetti più controversi, infatti, l'epopea di Shay affrontava i dilemmi etici degli Assassini da una prospettiva diversa e metteva sotto una nuova luce l'America settentrionale di inizio ‘700.

    Assassin's Creed Unity ha invece pagato le sue enormi ambizioni tecniche, con un risultato finale che forse avrebbe meritato una gestazione più lunga. Eppure le potenzialità della produzione, ad oggi invecchiata decisamente meglio di altri episodi, erano evidenti: Ubisoft tornò a concentrarsi su uno specifico scenario storico, la Parigi dilaniata dalla Rivoluzione francese. Un protagonista carismatico, il buon Arno Dorian, faceva poi da contraltare alla prima grande co-eroina del franchise: la controversa Elise de la Serre, figlia di un Gran Maestro Templare e grande amore di Dorian. La cornice culturale e la drammatica sottotrama sentimentale si amalgamavano in uno degli open world più belli della saga, sia in termini di ricostruzione architettonica che di impatto scenico.

    D'altro canto, Unity va ricordato perché introdusse i primi accenni ruolistici, diventati soltanto di recente il cuore pulsante del brand: Arno infatti era dotato di un sistema di progressione che potenziava le sue abilità di base, e perfino il vestiario dell'Assassino francese modificava pesantemente le statistiche del personaggio. Ubisoft, inoltre, sperimentò un sistema realistico di movimenti e animazioni, l'antesignano della scalata dinamica proposta da AC Odyssey in poi: il parkour venne sensibilmente arricchito con movenze più naturali, mentre per il combattimento fu messa a punto una ricetta ludica ispirata alla vera scherma.

    Lo stealth arricchiva il mimetismo ambientale con meccaniche di stampo più classico: per la prima volta dopo 7 anni dall'inizio della saga arrivò la possibilità di accovacciarsi e ripararsi dietro angoli e coperture, sfruttando armi silenziose a distanza per eseguire assassini furtivi in modi ancor più creativi. Una delle feature più interessanti del gioco, mai più riproposta nei titoli successivi, era la modalità co-op, che vedeva 4 giocatori connessi online alle prese con missioni specifiche ambientate in svariati momenti dei moti parigini.

    Assassin's Creed Syndicate rappresentò il tramonto della saga per come l'abbiamo conosciuta nel suo primo decennio. Evoluzione naturale di Unity, la Parigi settecentesca lasciava spazio a un'intrigante Londra vittoriana, che da un lato espandeva le sfumature ruolistiche, dall'altro riprendeva alcuni crismi classici dei primi capitoli.

    Al tempo stesso, però, si guardava al futuro: Syndicate inaugurò l'ingresso di una coppia di protagonisti, entrambi giocabili, e ad oggi costituisce forse l'approccio più virtuoso al controllo simultaneo di due eroi. Ciascuno con il proprio stile e la propria storyline, Jacob e Evie Frye sono gli antesignani di Bayek e Aya, di Kassandra e Alexios, di Eivor maschile e femminile, senza tuttavia che il ruolo di uno adombrasse quello dell'altra. Subentrava, inoltre, un combattimento che doveva fare i conti con l'era moderna, accantonando le lame in favore di bocche da fuoco e tirapugni, e un sistema di movimento che doveva scendere a patti con il sostrato urbano della rivoluzione industriale. Forse, rispetto ad altri suoi predecessori, Syndicate non è passato alla storia come il più memorabile in assoluto, ma è indubbiamente uno dei più estrosi. Rigiocarlo a distanza di qualche anno, oggi, potrebbe addirittura sorprendervi e lasciarvi scoprire un Assassin's Creed quanto mai diverso dagli altri e, anzitutto, sopra le righe.

    La nuova era, tra mitologia e RPG

    Nel 2017, dopo una proficua pausa biennale dal precedente episodio, usciva AC: Origins. Un capitolo che profumava di maturità, cambiamento, rivoluzione. Assassin's Creed divenne a tutti gli effetti un gioco di ruolo, ma nella cruenta avventura egiziana di Bayek di Siwa la componente narrativa e l'introspezione dei suoi personaggi, come pure la cura registica negli intermezzi della storia, rimanevano centrali rispetto al sostrato ludico.

    Da un punto di vista del gameplay, comunque, Origins cambiava tutto: dal combattimento estremamente action, che sostituiva la classica combinazione di colpi e contrattacchi con un sistema molto più dinamico fatto di fendenti e schivate, all'intera gestione dell'open world, che recuperava da Black Flag l'esplorazione di spazi ignoti e misteriosi all'interno di una regione vastissima. Sulle orme di un GDR in piena regola, il sistema di progressione del personaggio e la gestione delle varie questline si intrecciavano in un'avventura molto più longeva delle precedenti, ma comunque a fuoco ed estremamente rispettosa dei crismi narrativi della saga. La storia di vendetta del medjay e della sua carismatica compagna, Aya, ben si amalgamava con la lore originaria di Assassin's Creed. Su questo versante, da un punto di vista ludico e concettuale, Origins ebbe il coraggio di cambiare senza tuttavia rinunciare ai dogmi delle origini. Fu l'ultimo afflato di un atto d'amore smisurato nei confronti del primo AC, prima della svolta mitologica dal 2018 in poi.

    Il viaggio di Kassandra e Alexios nella Grecia della Guerra del Peloponneso ha cambiato per sempre Assassin's Creed. È stato anzitutto l'approccio ruolistico, più profondo e stratificato, ad aver trasformato drasticamente l'esperienza ludica. Con Odyssey è iniziato un percorso che sintetizza, gameplay alla mano, il meglio di tutta la saga, proiettandola nella modernità e nel cuore del mercato dei RPG. Nel raccontare le origini di assassini e templari ha recuperato l'esplorazione e il combattimento navale della fase americana e le battaglie campali di alcuni capitoli (su tutti, forse, il 3 e Brotherhood), senza rinunciare ad un impasto più action che mai.

    Merito soprattutto della cornice fantasy: l'Antica Grecia è tempo di miti e leggende, che Ubisoft ha scelto di contaminare con la lore dei Precursori. Il risultato è quello che, ad oggi, rappresenta forse il maggior punto di rottura del franchise: Odyssey ha diviso la community come pochi altri titoli ma rimane indubbio (come testimonia la nostra recensione di Assassin's Creed Odyssey) che le gesta della prode Kassandra riservino tutt'oggi una fonte inesauribile di divertimento sfrenato.

    Valhalla, l'ultimo episodio in ordine di uscita, rappresenta l'anello di congiunzione tra Origins e Odyssey. Più a fuoco a livello narrativo come il primo, più bilanciata nel comparto ruolistico rispetto al secondo, la Saga vichinga di Eivor Morso di Lupo sorregge l'Assassin's Creed più ambizioso di sempre, con due Season Pass all'attivo e un futuro ancora da scrivere.

    Sconfinata, ricchissima e brutale, la Campagna del Clan del Corvo nell'arcipelago inglese rimane focalizzata sull'esplorazione del mito, unendo lo spiritismo delle divinità norrene al realismo storico inglese del nono secolo d.C. A differenza di Odyssey, la cui anima da GDR prestava il fianco a un pizzico di ripetitività, la componente ruolistica di Valhalla è più concreta e variegata. Tale carattteristica ha spinto Ubisoft a prolungare il più possibile l'avventura di Eivor: ora, dopo aver suonato il corno di battaglia tra Inghilterra, Irlanda e Francia, i venti di guerra di Morso di Lupo si spostano nell'aldilà scandinavo. Tra Asgard, Jotunheim, Svartalfheim e (nel prossimo futuro) Nifelheim, la controparte divina dello jarl di Ravensthorpe è pronta a cavalcare trionfante verso il Ragnarok. Che la fine dei Nove Regni cali anche il sipario sull'epica saga norrena di Ubisoft? Non ci resta che attendere il probabile reveal di settembre, in attesa che anche il prossimo Assassin's Creed si tolga il cappuccio ed estragga la sua Lama Celata.

    Assassin's Creed Infinity 15 anni di storia, mito e mistero. Di Confraternita e di Credo. 15 anni di cambiamenti che, nel bene e nel male, ci hanno accompagnato in un viaggio dal fascino smisurato. E ora, all'alba di una nuova generazione, non ci resta che attendere di sapere quale sarà il futuro della saga di Assassin's Creed. Se la direzione attuale verrà confermata o se gli assassini faranno di nuovo la muta. Comunque vada, sarà un Salto della Fede.

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