Addio E3 2022: in ricordo dei gloriosi tempi passati a Los Angeles

Una celebrazione assolutamente personale di quel che l'E3 ha significato per me, cresciuto col mito del Natale a giugno e in California.

Addio E3 2022: in ricordo dei gloriosi tempi passati a Los Angeles
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  • Come mi è capitato di raccontare a più riprese durante le live sul nostro canale Twitch, l'E3 per me ha sempre avuto una valenza davvero speciale: il numero di luglio sulle riviste era costantemente quello più atteso, e non caso ogni anno mi recavo in edicola con largo anticipo nella speranza che per qualche strana ragione il Mega Console di turno fosse stato consegnato prima del previsto (non era mai così ovviamente, ma vallo a spiegare a un ragazzetto di undici anni con un giornalaio a cento metri da casa e una curiosità tra il morboso e l'irrefrenabile...).

    Attraverso prima le pagine di quelle riviste e poi le immagini e qualche rarissimo trailer - parliamo del resto degli albori di Internet e dell'epoca del 56k, che qui si ha ormai una certa età - per me l'E3 è diventato una specie di mito, di chimera, di sogno a occhi aperti a cui ambire: alle medie sognavo di poter vedere di persona, almeno per una volta nella vita quel, paradiso videoludico sulla Terra, di riuscire a toccare con mano quei padiglioni stracolmi di meraviglie oltre ogni immaginazione. Semplicemente di esserci, là, in mezzo alle palme e ai tramonti di una Los Angeles distante anni luce dalla provincia in cui sono cresciuto.

    Busto Arsizio - Los Angeles andata e ritorno

    Vi dirò dì più: se oggi ho la fortuna di fare questo lavoro e se adesso sto scrivendo questo articolo, è letteralmente grazie a quel desiderio e alla mia innata caparbietà. La mia avventura su Game Network è nata infatti proprio da lì, da una mail mandata a caso a un canale TV che non mi sembrava avesse poi chissà quali mezzi, a cui offrivo di pagare a mie spese un viaggio in USA in cambio di un accredito per entrare nel Paese dei Balocchi. Quell'anno - era il 2005, quello della fantomatica presentazione di PlayStation 3 con il controller a banana e il discussissimo target render di Killzone 2 - all'E3 poi non ci sono affatto finito, ma è cominciata senza nemmeno volerlo espressamente la mia lunga carriera nel settore.

    Il battesimo al sole della California è arrivato in realtà qualche tempo dopo, per la precisione nel 2009. Un'edizione per me a dir poco indimenticabile, e non soltanto per la sensazione di avercela finalmente fatta sul serio, rendendo felice il bambino che ero stato col coronamento di un sogno: per ironia della sorte quello è stato infatti l'anno di Bayonetta e di Sin & Punishment: Successor of the Skies, ovvero due dei miei videogiochi preferiti di sempre, presenti in maniera del tutto inattesa sullo showfloor.

    Ricordo ancora con un brivido i letterali i salti di gioia quando, nel momento in cui sono andato per la prima volta a ritirare il mio badge (un vero e proprio rito per chiunque abbia avuto l'onore di partecipare, con la soddisfazione di vedere l'accredito accettato e il tuo nome stampato in tempo reale sul cartoncino da mettere al collo) ho intravisto il logo di Sin & Punishment su una parete mentre stavano montavano lo stand Nintendo, qualche giorno prima dell'apertura della fiera. O ancora, il fatto che dopo tre giorni di evento lo standista di SEGA fosse arrivato a salutarmi e a ricordarsi il mio nome, visto che ogni due per tre cercavo di tornare a giocare la demo di Bayonetta con qualche scusa.

    Se la prima edizione è stata ovviamente quella dell'estasi, delle sorprese continue, delle scoperte una dietro l'altra, è stato affascinante vedere l'E3 cambiare progressivamente pelle nel corso del tempo. I primi anni sono stati quelli degli eccessi, delle esagerazioni, del gusto per la spettacolarizzazione e lo sfarzo tipicamente yankee: monitor giganti posizionati persino sui soffitti, eventi in cui non si badava la spese, celebrità fuori posto inserite spesso e volentieri a caso, discinte booth babes uscite con tutta probabilità dalla Playboy Mansion. Un carrozzone francamente impressionante, alle volte tale da rasentare quasi il grottesco, davvero diverso da qualsiasi altra fiera "comune".

    Una settimana o quasi di follia che poteva esistere solo in quel luogo - non a caso la città degli angeli e di Hollywood - e soltanto una volta l'anno. Nel tempo, le cose sono andate decisamente in calando, con una manifesta tendenza se non proprio al risparmio almeno a una diversa espressività e a una differente

    concentrazione degli sforzi dei vari publisher, sempre meno disposti a celebrare l'insieme e sempre più concentrati verso i loro singoli spazi (a volte persino fuori dalla fiera). Mano a mano nel tempo è subentrata una certa consuetidine, fosse solo per l'abitudine di avere a che fare con gli stessi luoghi e le stesse situazioni, di sapere in anticipo come muovermi, di conoscere paradossalmente meglio alcune parti di Los Angeles che non Milano. Non ho comunque mai smesso, neppure per un singolo istante, di provare quella sensazione di incontenibile felicità nel ricevere la conferma di essere parte della spedizione annuale dall'Italia, l'invito alla conferenza Xbox (che da sempre inaugurava lo show) o il biglietto aereo con la fatidica data e ora di partenza. Attimi capaci di rendere ancora e ancora orgoglioso di me quel piccolo Marco che aspettava con religiosa devozione le riviste in edicola.

    Cartoline dagli States

    Anche in un articolo così profondamente soggettivo e personale, non è semplice condensare undici anni consecutivi di fiera. Perché l'esperienza vissuta da là è un insieme impagabile di emozioni, di cameratismo nerd, di notti insonni passate a scrivere, dormire pochissimo e mangiare una valanga di junk food: una settimana che sapeva essere insieme sia inebriante come niente altro (per lo spirito) che intossicante come poche altre cose (per il corpo). L'Electronic Entertainment Expo è e sarà per sempre per me una fonte preziosa di sorrisi e di ricordi inestimabili da portare nella tomba - pensate che col mio solito spirito macabro avevo addirittura pensato di far disperdere un giorno le mie ceneri lì, nelle aiuole del Convention Center, dove sono sempre stato davvero felice e mi sono sentito al 100% realizzato.

    L'E3 era arrivare a Los Angeles dopo come minimo una dozzina abbondante di ore di volo, cercare di tirare tardi per stancarsi ulteriormente e poi svegliarsi, ogni singola volta, attorno alle 4 del mattino in preda al jet-lag selvaggio, tanto per cominciare bene la trasferta (e allora che fai, non vai subito a mangiare bacon e pancake in uno dei diner aperti 24h di LA?).

    L'E3 era arrivare nella casa di volta in volta selezionata come base, scegliersi il compagno di letto, andare a fare la prima spesa e scoprire che la linea internet non andava affatto come ti avevano preventivato da qui. L'E3 era festeggiare il mio compleanno (7 giugno) in terra straniera, tante volte letteralmente in viaggio, giusto per aggiungere un altro carico da 90 e brindare in compagnia. L'E3 erano le dirette la mattina prestissimo, antenate estemporanee di quelle interazioni che oggi sono la quotidianità scontata su Twitch. L'E3 era mettersi pazientemente in fila sotto al sole per la conferenza Microsoft, poi correre con un autobus da Ubisoft e dopo ancora arrivare, a fine giornata e possibilmente in anticipo, alla conferenza PlayStation - per concedersi un attimo di relax smangiucchiando qualcosa ai food truck generosamente offerti da Sony, magari mentre si faceva un po' di networking e di chiacchiera.

    L'E3 era dividersi coi colleghi la copertura dei vari giochi, con tanto di spassosissima compravendita della serie "OK, io vado a vedere il gioco X, ma in cambio mi prendo Y e Z" (dove il primo era ovviamente una figata ambitissima e gli altri due titoli minori che non voleva nessuno, da prendersi come pegno). L'E3 era fisicamente correre al primo appuntamento all'apertura della fiera, cercando nel mentre di sbirciare cosa ci fosse di provabile sullo showfloor. L'E3 era concedersi un giro per lo stand Nintendo, tradizionalmente il più grande e spesso il più preso d'assalto di tutti, per godersi la messa in scena da luna park a tema col loro gioco più importante di quell'anno.

    L'E3 era lo svacco del parcheggio di Devolver Digital, un luogo squisitamente punk parallelo alla fiera dove gustarsi sugosa carne alla griglia, giochi indie da sogno presentati dentro alle roulotte e scene surreali tipo PR col costume di Borat o dildo coi vestitini delle Barbie riadattati a controller (grazie Genital Jousting!). L'E3 era andare a far pipì e incrociare Shigeru Miyamoto, o trovarsi fianco a fianco per i corridoi con Shuei Yoshida, Reggie Fils-Aime o Tomonobu Itagaki (sempre e comunque con occhiali da sole e chiodo d'ordinanza, anche al chiuso). L'E3 era l'hamburger migliore del mondo da Umami, le Domino's Pizza a ripetizione da mangiare anche a colazione il giorno dopo (quelle vere però, non la triste imitazione italica), la cena finale a little Tokyo.

    L'E3 era il consueto giro a Santa Monica a rifarmi il guardaroba da Tilly's, la capatina da Amoeba sul Sunset Boulevard e magari pure una serata al cinema (indimenticabile la visione random di Hereditary all'Arclight di Hollywood, che nel mentre ha vergognosamente chiuso). L'E3 era la malinconia devastante dell'ultimo giorno di fiera, il giovedì, che ti prendeva di primissima mattina e non ti abbandonava più: le hall che si svuotavano, gli stand che venivano smontati, l'aria di inesorabile ritorno a casa, ognuno mestamente di nuovo per i fatti suoi. Insomma la fine della festa, con però almeno la speranza di tornarci di lì a dodici mesi, passando sotto al bannerone appeso per annunciare le date dell'edizione successiva.

    Oggi, che quella festa è evidentemente più che mai finita se non addirittura fuori dal tempo, si respira davvero la sensazione di quei tristi giovedì in cui chissà se saremo ancora qui fra trecentosessantacinque giorni. Con la sempre più lucida consapevolezza che no, quei tempi non torneranno più e che un'epoca speciale della mia e della nostra vita di appassionati sia davvero inesorabilmente alle spalle (checché ne dica l'ESA, che ancora ipotizza un ritorno in presenza per l'edizione 2023 a cui è proprio improbabile credere).

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