L'evoluzione del videogioco, dei suoi meccanismi e delle sue strutture, passa spesso e volentieri attraverso delle vere e proprie "pietre miliari" del gaming: punti cardine che segnano una svolta decisa, dopo la cui uscita è impossibile, per publisher e sviluppatori, continuare a fare le cose alla vecchia maniera, almeno senza cadere in un terribile senso di "già visto". Da questo punto di vista il genere dei Survival Horror è forse uno dei più tormentati, con un'evoluzione assolutamente non lineare che ha visto susseguirsi sui nostri schermi le più svariate declinazioni del meccanismo della paura, interpretato in varie ottiche a seconda della visione del team di sviluppo. Di tutti i prodotti con i quali abbiamo avuto il piacere di confrontarci, è forse Amnesia: The Dark Descent (disponibile gratuitamente con PS Plus a ottobre) quello che maggiormente ha cambiato il nostro modo di intendere il terrore, dando un forte ed inaspettato scossone a un filone che sembrava ormai creativamente spacciato. Ma andiamo con ordine e cerchiamo di capire cos'è successo di preciso in questi ultimi 20 anni di paura e perché, secondo noi, questo titolo meriti un rispetto e una centralità che non sempre gli sono concessi nelle dovute misure.
Elogio della staticità: scelta stilistica o esigenza tecnica?
1996. Siamo nella prima era Playstation, agli albori dell'effettiva diffusione di un 3D supportato da un hardware potente, ma non ancora sufficiente ad elaborare situazioni troppo movimentate senza rinunciare a una vistosa perdita nel dettaglio generale. Capcom è consapevole di tutto questo e per il suo Resident Evil sceglie una struttura fatta di fondali prerenderizzati e modelli tridimensionali che si muovono su di essi come se fossero "incollati". Rifarsi alla saga di Alone in the Dark è insomma una scelta dettata probabilmente più da esigenze hardware che da una precisa direzione artistica.
L'importanza dei tempi d'attesa nei caricamenti delle stanze, delle inquadrature fisse che nascondono chissà quali orrori e di tutti quegli aspetti che per oltre una generazione hanno caratterizzato il genere la dobbiamo all'astuzia del team di sviluppo, che ha saputo mascherare i limiti dell'hardware trasformandoli in tratti distintivi del proprio prodotto. Lo stesso Silent Hill (che arriverà 3 anni più tardi) per quanto abbia costituito un significativo balzo in avanti dal punto di vista tecnico, ha continuato a "soffrire" di un gameplay statico, peraltro con l'escamotage di una nebbia perenne funzionale non solo a mettere ansia, ma anche ad alleggerire notevolmente il carico computazionale dell'hardware. Si tratta in entrambi i casi di prodotti emblematici della tendenza statica di quegli anni: l'horror è lento, pesante e ragionato, con poche armi e pochi oggetti curativi. Un'inclinazione questa destinata a subire ben presto una svolta radicale.
L'azione prima di tutto: sempre meno paura, sempre più pallottole
2005. Sono passati quasi 10 anni da quando Capcom si è imposta sul mercato come venditrice di incubi. Resident Evil ha continuato la sua corsa tra sequel, spin-off e remake, Silent Hill ha imboccato con ancor più decisione la strada dell'horror psicologico e qua e là spuntano prodotti più o meno sperimentali come Forbidden Siren e Project Zero, che tentano in tutti i modi di svecchiare un'impostazione di fondo che fatica a trovare una sua dimensione nella nuova generazione. L'eco della staticità continua a riecheggiare in ogni produzione horror, per quanto si cerchi di distaccarsi da quanto fatto in passato e le potenzialità dell'hardware siano completamente differenti. Poi, quasi come un fulmine a ciel sereno, avviene il miracolo.
Dopo aver proposto alla stampa una demo di Resident Evil 4 molto simile a quanto osservato nei capitoli "tradizionalisti" già usciti per Gamecube, Capcom lancia invece sul mercato un titolo mastodontico, una pietra miliare per l'intero mondo dei Survival Horror, che stravolge completamente gli equilibri, demolendo in profondità tutto ciò che la saga aveva costruito. Una scelta coraggiosa come poche in un settore che, oggi come allora, si basa fin troppo spesso sugli investimenti sicuri e su cambiamenti poco marcati per non incorrere nel malcontento generale. Addio zombie, addio inquadrature fisse, addio silenzi ragionati e gestione intelligente della paura: l'horror cambia per sempre e imbocca la via dell'azione, sorretto da un titolo che sembra quasi voler tagliare ad ogni costo i ponti col passato e che basta da solo a far cambiare idea a tutti i sostenitori della "vecchia guardia".
È questo insomma l'anno in cui le sorti di un genere vengono decise e il pubblico intero inneggia a un gameplay più in linea con quanto le moderne macchine da gioco hanno da offrire. Si tratta di un filone che avrà enorme successo negli anni successivi, non tanto nelle iterazioni successive della saga (che -per inciso- mai raggiungeranno i livelli qualitativi del quarto capitolo), quanto in altre produzioni che meglio bilanceranno gli elementi horror e quelli action, come sarà il caso dei primi due Dead Space.
Quel che non tutti sanno, però, è che l'euforia per Resident Evil 4 annullò praticamente qualsiasi forma d'interesse nei confronti di un titolo in uscita lo stesso anno, che tentava in maniera diametralmente opposta di rivoluzionare il genere, senza però snaturarne l'essenza spaventosa e opprimente. Sono in pochi a ricordarsi di Condemned: Criminal Origins, un Survival Horror in prima persona sviluppato da Monolith e capace di far saltare sulla sedia anche il più insensibile dei giocatori. In tale produzione rientravano già alcuni elementi avanguardistici come il connubio "horror/prima persona/scarsità di armi e munizioni", le sequenze scriptate in primissimo piano, esplicitamente volte a spaventare il giocatore al momento giusto o infine un'atmosfera cupa e malata in cui sentirsi davvero abbandonati a se stessi. Eppure si trattò di un esperimento isolato, destinato a finire nel dimenticatoio, quasi schiacciato da ciò che ormai tutti i giocatori sembravano desiderare, accecati dal miracolo di Capcom. Nonostante questo, è legittimo pensare che questo prodotto abbia avuto il suo peso nella storia dei videogiochi, mostrando a qualche occhio attento che una seconda via era possibile, anche se forse non era ancora il momento giusto di proporla al grande pubblico.
Soli e inermi: senza strumenti si aguzza l'ingegno
2010. Gli anni passano, ma non tutti si accontentano di ciò che l'horror è diventato nei videogiochi, spesso contaminato dall'azione al punto da non suscitare più la benché minima suspense o paura nel giocatore. Nella lotta tra fautori di un ritorno radicale alle origini e sostenitori di un progresso a tutti i costi, approda su Steam un timido titoletto che, grazie al passaparola e ai memorabili video di reazione su YouTube, ottiene largo consenso tanto dalla critica quanto dal pubblico.
Amnesia: The Dark Descent è un gioco semplice, con un gameplay ridotto all'osso e graficamente non brillante, ma è interamente costruito su una concezione nuova dell'horror, che si distacca nettamente da quello che vende bene in quegli anni. Soli e senza memoria siamo costretti ad esplorare un castello abbandonato alla ricerca di risposte, risolvendo enigmi basati sulla fisica e scappando da qualsiasi minaccia ci si pari davanti. Nessuna arma entrerà in nostro possesso dall'inizio alla fine dell'avventura. Le entità sono spaventose, immortali ed emettono versi agghiaccianti che riecheggiano tra i freddi corridoi. Senza considerare poi l'esigenza di rimanere alla luce per non farsi sopraffare dalla follia. Bastano davvero pochissimi elementi per far riscoprire ai giocatori il senso viscerale della paura: l'horror, dopo Amnesia, non necessita più di grandi budget o gameplay sofisticati, ma può essere interamente fondato sull'ingegno dei creatori e sulla loro capacità di far sentire a disagio chi ha in mano il controller.
Un trionfo reso possibile in questo caso proprio dalla libertà che solo un piccolo team di sviluppo come Frictional Games ha di sperimentare e, letteralmente, di giocare con il proprio target di riferimento, demolendone le sicurezze e ponendolo, attimo dopo attimo, in un contesto perennemente teso e poco confortevole.
Il successo di Amnesia non tarda a dare i natali a tutta una serie di cloni che, in forza delle bassissime richieste di sviluppo, escono su Steam, accompagnati spesso dalla controversa formula dell'early access, che ne annacqua in molti casi la qualità, ma permette al contempo di far capire ai publisher da che parte inizia a soffiare il vento e, di conseguenza, quale piega dovranno prendere i Survival Horror tripla A del futuro.
Nel 2013 arriva il definitivo colpo di grazia all'egemonia action nata a partire da Resident Evil 4: Red Barrels pubblica la propria interpretazione della paura con Outlast, ed è subito un successo. Anche in questo caso il passaparola diventa cruciale tra i membri della community, ma è la struttura stessa del gioco a mostrare (al limite della sopportazione) cosa significhi spaventare il giocatore dall'inizio alla fine, senza lasciargli un attimo di tregua. Una telecamera con visione notturna è l'unica "arma" che ci separa dalla morte in un ospedale psichiatrico abbandonato, per un titolo che prendere spunto da certa cinematografia dell'orrore (REC su tutti), calando il protagonista in un contesto opprimente e tra i peggiori che un giocatore possa ricordare. Molti azzardano un netto parallelismo con il sopracitato Amnesia, ma i più attenti si rendono conto del salto qualitativo a cui si sta assistendo. La narrazione diventa parte integrante di un gameplay più ricco e articolato, il tutto confezionato da una realizzazione tecnica finalmente sopra la media rispetto ad altri prodotti simili. Il dado è tratto, ormai nessuno può negare che il mondo dei Survival Horror stia cambiando radicalmente.
Dall'indie al grande pubblico: ritorno in auge del vero terrore
2014. In concomitanza con la Gamescom di Colonia esce sul Playstation Store P.T., un'inquietante demo horror in prima persona che si rivelerà essere un teaser del nuovo capitolo di Silent Hill, sviluppato grazie alla collaborazione tra Hideo Kojima e Guillermo del Toro. Tale progetto purtroppo rimane circoscritto a questa memorabile esperienza, che però dimostra una volta per tutte che cosa sia possibile fare investendo grandi budget nel concept che ha rivoluzionato il panorama dell'horror indipendente. Nonostante tutto si svolga nello stesso, eterno corridoio da percorrere ciclicamente, bastano infatti pochi dettagli a rendere inquietante ogni giro, suscitando un singolare senso di disperazione paragonabile esclusivamente a un delirio lynchiano. Il mondo intero assiste a questa macabra scena e realizza una volta per tutte che è quello il tipo di paura che vuole provare, finalmente modellata da team di dimensioni ed esperienza superiori.
Sempre nello stesso anno arriva addirittura un'inversione di polarità nel mondo dei Survival Horror. A distanza di pochi giorni l'uno dall'altro escono Alien Isolation e The Evil Within, due titoli che, quasi a voler ribadire una lotta implicita e silenziosa, costituiscono gli estremi opposti della medesima esperienza. Il lato sorprendente della questione sta nel maggiore apprezzamento del primo, un titolo ragionato, fatto di attese, lotta per la sopravvivenza e un'IA spaventosamente astuta, a scapito del secondo, ritenuto più un esercizio di stile citazionistico che non un passo in avanti per il genere. La volontà di spingere sull'acceleratore di un meccanismo action-horror si spegne definitivamente: il pubblico dimostra di apprezzate un'esperienza che traduce -di fatto- in salsa AAA il concept di Amnesia, seppur "edulcorandolo" per permettere alla massa di godere di una nuova forma di terrore senza abbandonare del tutto qualche utile strumento di sopravvivenza.
È quindi l'azione horror in terza persona ad essere diventata l'eccezione, o meglio, un prodotto destinato ai nostalgici. Una tendenza abbracciata non solo da titoli come Soma o Outlast 2, ma anche dal recente Resident Evil 7, da molti considerato inizialmente un erede spirituale di quel P.T. ormai perduto per sempre. Tale titolo presenta sicuramente un gameplay più ricco e variegato rispetto a quello minimale di Amnesia, ma è innegabile come tutto questo filone horror che stiamo vivendo oggi (tanto indie, quanto tripla A) sia legato all'innovativo lavoro di Frictional Games.
Corsi e ricorsi storici: l'imminente ritorno dell'action?
Se volessimo tracciare una linea delle tendenze di questi ultimi 20 anni di Survival Horror noteremmo che, prima da un lato e poi dall'altro, in qualche modo si è assistito a preferenze altalenanti, con un andamento non facile da prevedere, fatto di svolte dovute più a casi commerciali che non a precise scelte di marketing e produzione.
Ora come ora è difficile immaginare un futuro in cui improvvisamente tornino di moda titoli horror che non rientrino nei canoni della "prima persona + impotenza generale", e questo per una serie di semplici motivi. Innanzitutto vi è la possibilità di sviluppare tali prodotti con budget molto inferiori rispetto al solito, abbordabili spesso anche da parte di team indipendenti che vogliono costruire il proprio prodotto su poche idee, ma di spessore, offrendoci perle estemporanee (come, tanto per citarne uno, il più che discreto Layers of Fear). In secondo luogo è generalmente scomparsa questa rincorsa della tecnica che ha caratterizzato l'evoluzione videoludica a cavallo (per intenderci) delle prime tre generazioni di Playstation, favorendo una maggiore ricercatezza stilistica apprezzabile solo da ritmi più ragionati e meno frenetici.
Non bisogna dimenticarsi poi del ruolo che la realtà virtuale gioca in tutto questo, incoraggiando, seppur con tutti i limiti di mercato, lo sviluppo di quei titoli che meglio si prestano a un'immedesimazione diretta, in grado di coinvolgere e di far sentire immediatamente in soggezione il giocatore (in questo, Resident Evil 7 ha segnato una doppietta evidente). Infine non si possono non considerare i gusti del grande pubblico, che si è ormai abituato a un certo tipo di esperienze horror e le pretende dagli stessi publisher, un po' per gusto personale e un po', non lo nascondiamo, per una questione di tendenza.
Sembra quindi che, ancora per qualche tempo, ci ritroveremo sui nostri schermi soli, impauriti e perennemente in fuga da minacce difficili (se non impossibili) da abbattere; il tutto rigorosamente in prima persona e con qualche jumpscare qua e là. Il timore, come al solito, è che la gallina dalle uova d'oro venga spremuta al punto da perdere la fertilità: l'abuso di questo concept potrebbe portare sul mercato titoli ridondanti e privi di contenuti effettivamente innovativi.
Ma chi può dirlo: magari in questo momento un piccolo team di sviluppo che, proprio come fece Frictional Games, sta lavorando per realizzare propria visione del genere Survival Horror, concretizzata in un titolo destinato a cambiare radicalmente ciò che arriverà sui nostri schermi tra qualche anno. Proprio come Amnesia, magari si tratterà di un titolo che arriverò in sordina, incompreso dai più, a cui servirà tempo per ottenere la meritata visibilità. Ma anche in quel caso possiamo essere ottimisti: perché in fondo, le belle idee, in un modo o in un altro trovano sempre il sistema di diffondersi e "infettare" il mercato.
Amnesia: la svolta horror del videogioco contemporaneo
Amnesia The Dark Descent è forse il videogioco che in questi anni ha maggiormente cambiato il nostro modo di intendere il terrore...
L'evoluzione del videogioco, dei suoi meccanismi e delle sue strutture, passa spesso e volentieri attraverso delle vere e proprie "pietre miliari" del gaming: punti cardine che segnano una svolta decisa, dopo la cui uscita è impossibile, per publisher e sviluppatori, continuare a fare le cose alla vecchia maniera, almeno senza cadere in un terribile senso di "già visto". Da questo punto di vista il genere dei Survival Horror è forse uno dei più tormentati, con un'evoluzione assolutamente non lineare che ha visto susseguirsi sui nostri schermi le più svariate declinazioni del meccanismo della paura, interpretato in varie ottiche a seconda della visione del team di sviluppo.
Di tutti i prodotti con i quali abbiamo avuto il piacere di confrontarci, è forse Amnesia: The Dark Descent (disponibile gratuitamente con PS Plus a ottobre) quello che maggiormente ha cambiato il nostro modo di intendere il terrore, dando un forte ed inaspettato scossone a un filone che sembrava ormai creativamente spacciato. Ma andiamo con ordine e cerchiamo di capire cos'è successo di preciso in questi ultimi 20 anni di paura e perché, secondo noi, questo titolo meriti un rispetto e una centralità che non sempre gli sono concessi nelle dovute misure.
Elogio della staticità: scelta stilistica o esigenza tecnica?
1996. Siamo nella prima era Playstation, agli albori dell'effettiva diffusione di un 3D supportato da un hardware potente, ma non ancora sufficiente ad elaborare situazioni troppo movimentate senza rinunciare a una vistosa perdita nel dettaglio generale. Capcom è consapevole di tutto questo e per il suo Resident Evil sceglie una struttura fatta di fondali prerenderizzati e modelli tridimensionali che si muovono su di essi come se fossero "incollati". Rifarsi alla saga di Alone in the Dark è insomma una scelta dettata probabilmente più da esigenze hardware che da una precisa direzione artistica.
L'importanza dei tempi d'attesa nei caricamenti delle stanze, delle inquadrature fisse che nascondono chissà quali orrori e di tutti quegli aspetti che per oltre una generazione hanno caratterizzato il genere la dobbiamo all'astuzia del team di sviluppo, che ha saputo mascherare i limiti dell'hardware trasformandoli in tratti distintivi del proprio prodotto. Lo stesso Silent Hill (che arriverà 3 anni più tardi) per quanto abbia costituito un significativo balzo in avanti dal punto di vista tecnico, ha continuato a "soffrire" di un gameplay statico, peraltro con l'escamotage di una nebbia perenne funzionale non solo a mettere ansia, ma anche ad alleggerire notevolmente il carico computazionale dell'hardware. Si tratta in entrambi i casi di prodotti emblematici della tendenza statica di quegli anni: l'horror è lento, pesante e ragionato, con poche armi e pochi oggetti curativi. Un'inclinazione questa destinata a subire ben presto una svolta radicale.
L'azione prima di tutto: sempre meno paura, sempre più pallottole
2005. Sono passati quasi 10 anni da quando Capcom si è imposta sul mercato come venditrice di incubi. Resident Evil ha continuato la sua corsa tra sequel, spin-off e remake, Silent Hill ha imboccato con ancor più decisione la strada dell'horror psicologico e qua e là spuntano prodotti più o meno sperimentali come Forbidden Siren e Project Zero, che tentano in tutti i modi di svecchiare un'impostazione di fondo che fatica a trovare una sua dimensione nella nuova generazione. L'eco della staticità continua a riecheggiare in ogni produzione horror, per quanto si cerchi di distaccarsi da quanto fatto in passato e le potenzialità dell'hardware siano completamente differenti. Poi, quasi come un fulmine a ciel sereno, avviene il miracolo.
Dopo aver proposto alla stampa una demo di Resident Evil 4 molto simile a quanto osservato nei capitoli "tradizionalisti" già usciti per Gamecube, Capcom lancia invece sul mercato un titolo mastodontico, una pietra miliare per l'intero mondo dei Survival Horror, che stravolge completamente gli equilibri, demolendo in profondità tutto ciò che la saga aveva costruito. Una scelta coraggiosa come poche in un settore che, oggi come allora, si basa fin troppo spesso sugli investimenti sicuri e su cambiamenti poco marcati per non incorrere nel malcontento generale. Addio zombie, addio inquadrature fisse, addio silenzi ragionati e gestione intelligente della paura: l'horror cambia per sempre e imbocca la via dell'azione, sorretto da un titolo che sembra quasi voler tagliare ad ogni costo i ponti col passato e che basta da solo a far cambiare idea a tutti i sostenitori della "vecchia guardia".
È questo insomma l'anno in cui le sorti di un genere vengono decise e il pubblico intero inneggia a un gameplay più in linea con quanto le moderne macchine da gioco hanno da offrire. Si tratta di un filone che avrà enorme successo negli anni successivi, non tanto nelle iterazioni successive della saga (che -per inciso- mai raggiungeranno i livelli qualitativi del quarto capitolo), quanto in altre produzioni che meglio bilanceranno gli elementi horror e quelli action, come sarà il caso dei primi due Dead Space.
Quel che non tutti sanno, però, è che l'euforia per Resident Evil 4 annullò praticamente qualsiasi forma d'interesse nei confronti di un titolo in uscita lo stesso anno, che tentava in maniera diametralmente opposta di rivoluzionare il genere, senza però snaturarne l'essenza spaventosa e opprimente. Sono in pochi a ricordarsi di Condemned: Criminal Origins, un Survival Horror in prima persona sviluppato da Monolith e capace di far saltare sulla sedia anche il più insensibile dei giocatori. In tale produzione rientravano già alcuni elementi avanguardistici come il connubio "horror/prima persona/scarsità di armi e munizioni", le sequenze scriptate in primissimo piano, esplicitamente volte a spaventare il giocatore al momento giusto o infine un'atmosfera cupa e malata in cui sentirsi davvero abbandonati a se stessi. Eppure si trattò di un esperimento isolato, destinato a finire nel dimenticatoio, quasi schiacciato da ciò che ormai tutti i giocatori sembravano desiderare, accecati dal miracolo di Capcom.
Nonostante questo, è legittimo pensare che questo prodotto abbia avuto il suo peso nella storia dei videogiochi, mostrando a qualche occhio attento che una seconda via era possibile, anche se forse non era ancora il momento giusto di proporla al grande pubblico.
Soli e inermi: senza strumenti si aguzza l'ingegno
2010. Gli anni passano, ma non tutti si accontentano di ciò che l'horror è diventato nei videogiochi, spesso contaminato dall'azione al punto da non suscitare più la benché minima suspense o paura nel giocatore. Nella lotta tra fautori di un ritorno radicale alle origini e sostenitori di un progresso a tutti i costi, approda su Steam un timido titoletto che, grazie al passaparola e ai memorabili video di reazione su YouTube, ottiene largo consenso tanto dalla critica quanto dal pubblico.
Amnesia: The Dark Descent è un gioco semplice, con un gameplay ridotto all'osso e graficamente non brillante, ma è interamente costruito su una concezione nuova dell'horror, che si distacca nettamente da quello che vende bene in quegli anni. Soli e senza memoria siamo costretti ad esplorare un castello abbandonato alla ricerca di risposte, risolvendo enigmi basati sulla fisica e scappando da qualsiasi minaccia ci si pari davanti. Nessuna arma entrerà in nostro possesso dall'inizio alla fine dell'avventura.
Le entità sono spaventose, immortali ed emettono versi agghiaccianti che riecheggiano tra i freddi corridoi. Senza considerare poi l'esigenza di rimanere alla luce per non farsi sopraffare dalla follia. Bastano davvero pochissimi elementi per far riscoprire ai giocatori il senso viscerale della paura: l'horror, dopo Amnesia, non necessita più di grandi budget o gameplay sofisticati, ma può essere interamente fondato sull'ingegno dei creatori e sulla loro capacità di far sentire a disagio chi ha in mano il controller.
Un trionfo reso possibile in questo caso proprio dalla libertà che solo un piccolo team di sviluppo come Frictional Games ha di sperimentare e, letteralmente, di giocare con il proprio target di riferimento, demolendone le sicurezze e ponendolo, attimo dopo attimo, in un contesto perennemente teso e poco confortevole.
Il successo di Amnesia non tarda a dare i natali a tutta una serie di cloni che, in forza delle bassissime richieste di sviluppo, escono su Steam, accompagnati spesso dalla controversa formula dell'early access, che ne annacqua in molti casi la qualità, ma permette al contempo di far capire ai publisher da che parte inizia a soffiare il vento e, di conseguenza, quale piega dovranno prendere i Survival Horror tripla A del futuro.
Nel 2013 arriva il definitivo colpo di grazia all'egemonia action nata a partire da Resident Evil 4: Red Barrels pubblica la propria interpretazione della paura con Outlast, ed è subito un successo. Anche in questo caso il passaparola diventa cruciale tra i membri della community, ma è la struttura stessa del gioco a mostrare (al limite della sopportazione) cosa significhi spaventare il giocatore dall'inizio alla fine, senza lasciargli un attimo di tregua. Una telecamera con visione notturna è l'unica "arma" che ci separa dalla morte in un ospedale psichiatrico abbandonato, per un titolo che prendere spunto da certa cinematografia dell'orrore (REC su tutti), calando il protagonista in un contesto opprimente e tra i peggiori che un giocatore possa ricordare. Molti azzardano un netto parallelismo con il sopracitato Amnesia, ma i più attenti si rendono conto del salto qualitativo a cui si sta assistendo. La narrazione diventa parte integrante di un gameplay più ricco e articolato, il tutto confezionato da una realizzazione tecnica finalmente sopra la media rispetto ad altri prodotti simili. Il dado è tratto, ormai nessuno può negare che il mondo dei Survival Horror stia cambiando radicalmente.
Dall'indie al grande pubblico: ritorno in auge del vero terrore
2014. In concomitanza con la Gamescom di Colonia esce sul Playstation Store P.T., un'inquietante demo horror in prima persona che si rivelerà essere un teaser del nuovo capitolo di Silent Hill, sviluppato grazie alla collaborazione tra Hideo Kojima e Guillermo del Toro. Tale progetto purtroppo rimane circoscritto a questa memorabile esperienza, che però dimostra una volta per tutte che cosa sia possibile fare investendo grandi budget nel concept che ha rivoluzionato il panorama dell'horror indipendente. Nonostante tutto si svolga nello stesso, eterno corridoio da percorrere ciclicamente, bastano infatti pochi dettagli a rendere inquietante ogni giro, suscitando un singolare senso di disperazione paragonabile esclusivamente a un delirio lynchiano. Il mondo intero assiste a questa macabra scena e realizza una volta per tutte che è quello il tipo di paura che vuole provare, finalmente modellata da team di dimensioni ed esperienza superiori.
Sempre nello stesso anno arriva addirittura un'inversione di polarità nel mondo dei Survival Horror. A distanza di pochi giorni l'uno dall'altro escono Alien Isolation e The Evil Within, due titoli che, quasi a voler ribadire una lotta implicita e silenziosa, costituiscono gli estremi opposti della medesima esperienza. Il lato sorprendente della questione sta nel maggiore apprezzamento del primo, un titolo ragionato, fatto di attese, lotta per la sopravvivenza e un'IA spaventosamente astuta, a scapito del secondo, ritenuto più un esercizio di stile citazionistico che non un passo in avanti per il genere. La volontà di spingere sull'acceleratore di un meccanismo action-horror si spegne definitivamente: il pubblico dimostra di apprezzate un'esperienza che traduce -di fatto- in salsa AAA il concept di Amnesia, seppur "edulcorandolo" per permettere alla massa di godere di una nuova forma di terrore senza abbandonare del tutto qualche utile strumento di sopravvivenza.
È quindi l'azione horror in terza persona ad essere diventata l'eccezione, o meglio, un prodotto destinato ai nostalgici. Una tendenza abbracciata non solo da titoli come Soma o Outlast 2, ma anche dal recente Resident Evil 7, da molti considerato inizialmente un erede spirituale di quel P.T. ormai perduto per sempre. Tale titolo presenta sicuramente un gameplay più ricco e variegato rispetto a quello minimale di Amnesia, ma è innegabile come tutto questo filone horror che stiamo vivendo oggi (tanto indie, quanto tripla A) sia legato all'innovativo lavoro di Frictional Games.
Corsi e ricorsi storici: l'imminente ritorno dell'action?
Se volessimo tracciare una linea delle tendenze di questi ultimi 20 anni di Survival Horror noteremmo che, prima da un lato e poi dall'altro, in qualche modo si è assistito a preferenze altalenanti, con un andamento non facile da prevedere, fatto di svolte dovute più a casi commerciali che non a precise scelte di marketing e produzione.
Ora come ora è difficile immaginare un futuro in cui improvvisamente tornino di moda titoli horror che non rientrino nei canoni della "prima persona + impotenza generale", e questo per una serie di semplici motivi. Innanzitutto vi è la possibilità di sviluppare tali prodotti con budget molto inferiori rispetto al solito, abbordabili spesso anche da parte di team indipendenti che vogliono costruire il proprio prodotto su poche idee, ma di spessore, offrendoci perle estemporanee (come, tanto per citarne uno, il più che discreto Layers of Fear).
In secondo luogo è generalmente scomparsa questa rincorsa della tecnica che ha caratterizzato l'evoluzione videoludica a cavallo (per intenderci) delle prime tre generazioni di Playstation, favorendo una maggiore ricercatezza stilistica apprezzabile solo da ritmi più ragionati e meno frenetici.
Non bisogna dimenticarsi poi del ruolo che la realtà virtuale gioca in tutto questo, incoraggiando, seppur con tutti i limiti di mercato, lo sviluppo di quei titoli che meglio si prestano a un'immedesimazione diretta, in grado di coinvolgere e di far sentire immediatamente in soggezione il giocatore (in questo, Resident Evil 7 ha segnato una doppietta evidente). Infine non si possono non considerare i gusti del grande pubblico, che si è ormai abituato a un certo tipo di esperienze horror e le pretende dagli stessi publisher, un po' per gusto personale e un po', non lo nascondiamo, per una questione di tendenza.
Sembra quindi che, ancora per qualche tempo, ci ritroveremo sui nostri schermi soli, impauriti e perennemente in fuga da minacce difficili (se non impossibili) da abbattere; il tutto rigorosamente in prima persona e con qualche jumpscare qua e là. Il timore, come al solito, è che la gallina dalle uova d'oro venga spremuta al punto da perdere la fertilità: l'abuso di questo concept potrebbe portare sul mercato titoli ridondanti e privi di contenuti effettivamente innovativi.
Ma chi può dirlo: magari in questo momento un piccolo team di sviluppo che, proprio come fece Frictional Games, sta lavorando per realizzare propria visione del genere Survival Horror, concretizzata in un titolo destinato a cambiare radicalmente ciò che arriverà sui nostri schermi tra qualche anno.
Proprio come Amnesia, magari si tratterà di un titolo che arriverò in sordina, incompreso dai più, a cui servirà tempo per ottenere la meritata visibilità. Ma anche in quel caso possiamo essere ottimisti: perché in fondo, le belle idee, in un modo o in un altro trovano sempre il sistema di diffondersi e "infettare" il mercato.
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