Aspettando Final Fantasy 16: cos'è esattamente un JRPG?

Un viaggio alla scoperta delle origini dei giochi di ruolo giapponesi per capire quali sono le caratteristiche irrinunciabili di un JRPG.

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  • PS5
  • Dopo il lungo periodo di crisi che i JRPG hanno vissuto negli anni 2000, nel decennio successivo il genere è tornato in auge e ha goduto di un aumento significativo del numero di titoli pubblicati ogni anno su console e PC, cosa che talvolta ha spinto gli sviluppatori nipponici a voler sintetizzare nuove soluzioni ludiche (come i sistemi di combattimento ibridi alla base di Final Fantasy VII Remake e The Legend of Heroes: Kuro no Kiseki) e interessanti mix di generi tra i quali non possiamo non citare il recente Harvestella (per tutti i dettagli fiondatevi sulla nostra recensione di Harvestella).

    Ma cos'è esattamente un JRPG? Di questi tempi va diffondendosi sempre più l'idea - infondata e pericolosamente "esclusiva" - che un gioco di ruolo à la giapponese debba essere necessariamente a turni, eppure l'acronimo di "Japanese Role Playing Game" stabilisce in maniera inequivocabile cosa rientri o meno nella suddetta etichetta. Proviamo dunque a fare chiarezza su cosa possa essere definito un JRPG e se abbia effettivamente senso continuare a chiamarli in questo modo.

    Origini, temi e caratteristiche

    Come raccontato nel nostro recente speciale sulle origini del gioco di ruolo giapponese, il 1984 è stato fondamentale per la nascita e la successiva evoluzione del genere, non a caso in quei dodici mesi videro la luce, tra gli altri, Dragon Slayer di Nihon Falcom, Hydlide di T&E Soft, The Black Onyx di Bullet-Proof Software, Mugen no Shinzou di XTALSOFT e Dungeon di Koei. Laddove i combattimenti a turni del terzo e del quarto tracciarono la rotta che solo due anni dopo avrebbe decretato l'irrefrenabile successo di Dragon Quest, l'action RPG che risponde al nome di Dragon Slayer è spesso considerato il primo "vero" JRPG della storia, in quanto al titolo va riconosciuto il merito di aver gettato le basi del dungeon crawler. Una componente che il suo diretto successore, Xanadu, avrebbe ripreso e rafforzato enormemente soltanto qualche mese più tardi. Se oggigiorno i JRPG a turni sono sempre meno, specie se confrontanti con gli action RPG che ogni anno rimpolpano la rosa dei prodotti provenienti dal paese del Sol Levante, i due filoni principali del gioco di ruolo à la giapponese sono insomma coesistiti sin dal principio, differenziando un'offerta che già a partire dal 1982 poteva contare sui tattici.

    Sfatato il falso mito che vedrebbe nei turni l'essenza stessa del JRPG, è tempo di analizzare i veri pilastri fondamentali del genere, ossia le sue caratteristiche immediatamente riconoscibili: il forte focus sulla narrazione e sulla caratterizzazione dei personaggi, la presenza di un world building stratificato e non per ultimo il look estremamente vicino allo stile degli anime (a questo proposito vi consigliamo di dare una sbirciatina alla nostra recensione di Fire Emblem Engage).

    Mentre i giochi di ruolo occidentali hanno sempre offerto molta libertà in termini di interpretazione del personaggio, non per nulla la maggior parte di questi fa leva sulla personalizzazione dell'avatar, su scelte morali che ne influenzano l'allineamento e possono persino avere ripercussioni importanti sull'intreccio, e così via, i JRPG impiegano la narrativa tipica dei manga - o meglio, degli shonen - per raccontare delle storie complesse e rigorosamente lineari, ben costruite e intervallate da ingegnosi colpi di scena, ma soprattutto aventi per protagonisti dei personaggi dal ricco background, la cui evoluzione bellica e psicologica viene di solito esplorata di pari passo e con particolare dovizia. Rinunciando il più delle volte a scelte che nelle produzioni occidentali rafforzano l'immedesimazione, il gioco di ruolo giapponese - e più in generale quello orientale - adotta schemi narrativi lineari e ritmi talvolta compassati per valorizzare l'introspezione dei personaggi e la rappresentazione del mondo in cui questi si muovono.

    A dimostrazione di ciò, mentre gli RPG confezionati nel nostro lato del globo ruotano attorno all'unico individuo controllabile, solitamente l'alter-ego dell'utente, i giochi di ruolo giapponesi sono sorretti da un cast principale quasi sempre ampio e le loro trame possono arrivare a coinvolgere centinaia di personaggi diversi.

    Un chiaro esempio è il lavoro svolto sulla saga di The Legend of Heroes dallo studio Nihon Falcom, che negli ultimi vent'anni ha continuato a intrecciare in maniera indissolubile le innumerevoli vicende vissute dagli eroi del vastissimo continente di Zemuria, edificando di capitolo in capitolo un wold building poderoso e tuttora senza eguali (per maggiori dettagli rileggete la recensione di The Legend of Heroes: Trails of Cold Steel IV).

    Mettendo da parte la narrativa e l'abusatissimo tema del salvataggio del mondo, altre caratteristiche tipiche del JRPG vanno ricercate nella longevità fuori dal comune, che non di rado può sottrarre al giocatore alcune centinaia di ore, nella presenza di tantissime quest secondarie cui dedicarsi tra un compito principale e l'altro, altrettanti segreti sui quali far luce, senza dimenticare la sana dose di farming aggressivo richiesto per poter superare le sfide più onerose.

    Seppur con qualche sporadica eccezione, un elemento che accomuna buona parte degli esponenti del genere - specialmente negli ultimi anni - è rappresentato dal comparto grafico sempre più ispirato alle serie di animazione giapponese. Dai già menzionati Fire Emblem e Dragon Quest (la cui fama va in parte attribuita all'inconfondibile tratto e allo stile prevalentemente comico del papà di Dragon Ball), passando per Star Ocean, Atelier e Tales of, grossomodo tutti i più rinomati e longevi franchise di JRPG hanno puntato su un character design allineato al caratteristico stile di disegno degli anime, con spade e armature di dimensioni spesso esagerate, personaggi dalle capigliature stravaganti e molto colorate, nonché abbelliti da costumi alquanto scenografici. Una peculiarità, questa, che ancora oggi fatica a conquistare appieno il pubblico occidentale e che è stato ripetutamente oggetto di dibattito, ma che la dice davvero lunga sul reale target delle produzioni made in Japan e sull'ormai sottilissimo confine che separa il mondo dei videogiochi da quello degli anime.

    Non un genere, ma una filosofia

    Che scelgano di preservare la tradizione dei turni o che al contrario si votino all'azione tanto amata dalle nuove generazioni, i JRPG sono insomma definiti da qualità piuttosto specifiche e singolari, che esulano dai sistemi di combattimento impiegati di volta in volta dai rispettivi sviluppatori. Anziché portare avanti la decennale diatriba che vede contrapposti i sostenitori dell'uno e dell'altro filone, forse sarebbe più sensato domandarsi se abbia o meno senso continuare a parlare di gioco di ruolo à la giapponese, specie ora che i "JRPG occidentali" si stanno moltiplicando a vista d'occhio.

    Child of Light, Cris Tales e Chained Echoes sono solo alcuni dei tanti giochi di ruolo à la giapponese ad essere stati sviluppati in Occidente, e giacché ognuno di essi è entrato di diritto nel novero dei classici del genere, è possibile che l'etichetta di JRPG cominci a stare un po' stretta a una categoria che di anno in anno continua a espandersi oltre i confini del solo Giappone. Oppure, semplicemente, quello del JRPG non è mai stato un vero e proprio genere, bensì un cocktail di caratteristiche che da decenni continuano a definire un preciso modo di intendere i giochi di ruolo.

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