Aspettando GTA 6: i giochi dimenticati di Grand Theft Auto

Un viaggio tra i capitoli meno conosciuti di GTA, fra perle da recuperare e passi falsi che sarebbe meglio dimenticare...

I Grand Theft Auto dimenticati
Speciale: PC
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Disponibile per
  • PS5
  • Xbox Series X
  • A quasi un quarto di secolo dall'esordio del primo Grand Theft Auto, pietra angolare di una delle saghe più amate del mondo dei videogiochi, l'avvento della nuova generazione ha intensificato notevolmente l'attesa per l'annuncio di un nuovo capitolo del franchise, rimasto parcheggiato a Los Santos dai tempi di PlayStation 3 e Xbox 360. Il futuro della serie di punta di Rockstar è ancora nebuloso, ma i trascorsi della compagnia parlano chiaro: GTA 6 potrebbe riscrivere ancora una volta gli standard dell'industria, aggiungendo un'altra pietra miliare su un percorso costellato di esperienze indimenticabili. Non tutti i titoli della saga sono però riusciti a lasciare un segno indelebile nell'immaginario collettivo, specialmente quelli in qualche modo slegati dalla sua rotta principale. In questo articolo passeremo quindi in rassegna i GTA "dimenticati", quelli che solo di rado vengono nominati quando si celebrano le gesta dei fratelli Houser, tra giganteschi passi falsi, brevi deviazioni ed esperimenti da recuperare.
    Sarà un viaggio movimentato.

    Grand Theft Auto: London 1969

    La prima tappa del nostro viaggio tra i capitoli "dimenticati" di Grand Theft Auto ci riporta alla fine degli anni ‘90, all'indomani della svolta che ha dato inizio alla scalata di Rockstar verso l'olimpo dell'industria videoludica. A un anno dalla pubblicazione del primo capitolo, il brand era ora nelle mani di Take-Two, dopo l'acquisizione del publisher BMG Interactive da parte della compagnia statunitense.

    La successiva ristrutturazione dell'etichetta portò alla cancellazione di diversi progetti e alla riorganizzazione del suo assetto dirigenziale: un cambiamento che favorì l'ascesa dei fratelli Houser, che di lì a poco sarebbero diventati i fondatori della sussidiaria più importante di Take-Two, ovvero Rockstar Games.

    Un bel salto di qualità, considerando che solo tre anni prima Dan Houser aveva un contratto part-time come tester, mentre Sam lavorava in BMG Interactive come video producer. Nel 1999 Take-Two stava ancora negoziando l'acquisto di DMA Design (i creatori di GTA) con Infogrames, ma i fratelli Houser avevano tutta l'intenzione di capitalizzare l'attenzione suscitata dall'esordio della serie, proponendo ai giocatori un nuovo scenario per le proprie imprese criminali.

    Per questo motivo i due avevano affidato alla neonata Rockstar Canada (ora Rockstar Toronto) il compito di sviluppare un'espansione pensata per mantenere vivo l'interesse del pubblico in attesa dell'uscita di GTA 2. Ambientato all'apice degli "swinging years" britannici, Grand Theft Auto: London 1969 cala i giocatori nei panni di un talentuoso delinquente che, per un bizzarro scherzo del destino, si ritrova coinvolto in una faida tra il governo inglese ed il malvagio Hans Nemesis, un cattivo "bondiano" determinato a travolgere Londra con un'ondata di terrore.

    Questo è solo il primo atto di una campagna piena di citazioni e interessanti guizzi stilistici, che però manca di offrire alla platea qualcosa di concretamente nuovo rispetto al gioco base, esattamente come il successivo mission pack Grand Theft Auto: London 1961.

    Se la formula è identica a quella dell'originale GTA, con un gameplay fatto di forsennati inseguimenti (con guida rigorosamente a sinistra), furti e sparatorie al centro di un'ampia gamma di attività criminose, c'è almeno un elemento che rende indimenticabile la produzione di Rockstar Canada. Si tratta infatti della "prima volta" di Dan e Sam Houser alla guida della serie, rispettivamente nei ruoli di lead writer ed executive producer: il debutto di un sodalizio che avrebbe reso Grand Theft Auto uno dei franchise più acclamati dell'ultimo ventennio. Malgrado il talento degli Houser, le due espansioni londinesi vennero accolte piuttosto tiepidamente sia dal pubblico che dalla critica, soprattutto per l'assenza di novità degne di nota.

    Grand Theft Auto Advance

    Nel 2001, dopo l'uscita nei negozi del Game Boy Advance, Rockstar decise di approfittare del successo della console di Nintendo per portare la saga di GTA anche su dispositivi handheld. Per non dirottare le risorse creative dei suoi team, impegnatissimi sul filone principale della serie, l'azienda cercò quindi di appaltare lo sviluppo a uno studio esterno, rinunciando per la prima volta al completo controllo su uno dei progetti legati al brand.

    Fu un processo tutt'altro che semplice: dopo aver revocato l'incarico a Destination Software, Rockstar assegnò la produzione al team di Crawfish Interactive, che purtroppo fallì improvvisamente poco prima della finalizzazione del titolo. GTA Advance passò quindi nelle mani di Digital Eclipse, già autore di diversi titoli di successo per la piattaforma di casa Nintendo.

    Tenendo a mente gli stringenti limiti hardware di Game Boy Advance, il team puntava a comporre una sentita lettera d'amore ai primi due capitoli del franchise, lasciando da parte il canone ludico dell'universo 3D di GTA per tornare alla visuale top-down e al gameplay delle origini: un risultato raggiunto solo a metà. Se da una parte GTA Advance proponeva un'esperienza piacevolmente nostalgica, al titolo mancava la verve creativa degli Houser (Dan in primis), che negli ultimi cinque anni avevano avuto un ruolo fondamentale nel forgiare l'identità della saga. I personaggi al centro della campagna ambientata a Liberty City, compreso il protagonista Mike, risultavano molto meno interessanti rispetto a quelli della serie principale, e anche gli incarichi sembravano aderire a un modello ormai superato da tempo.

    Pur non considerando le notevoli aspettative maturate dal pubblico dopo GTA 3 e Vice City, e la scelta discutibile di pubblicare il gioco in contemporanea con San Andreas, il capitolo per Advance arrivò a meno di un mese di distanza dall'uscita di Nintendo DS, e pertanto su una piattaforma prossima al capolinea generazionale.

    Complici i responsi non proprio esaltanti della critica internazionale, le vendite del gioco mancarono di soddisfare le previsioni di Rockstar, che comunque non rinunciò all'idea di colonizzare il mercato delle console portatili.

    Grand Theft Auto Liberty City Stories

    L'obiettivo venne raggiunto l'anno successivo con la pubblicazione di GTA Liberty City Stories su PlayStation Portable, spin-off che tuttora detiene la corona di titolo più venduto per la console portatile di Sony. Le ragioni di questo successo sono presto dette: il progetto poteva contare sulla supervisione creativa dei fratelli Houser e di Leslie Benzies (allora a capo di Rockstar North), alla guida di un team ben assortito di veterani e "nuove leve" (gli uomini di Rockstar Leeds), e su un motore creato appositamente per il gioco.

    Messo da parte il RenderWare di Criterion, gli sviluppatori avevano creato un engine pensato per garantire un'esperienza all'altezza della serie ammiraglia: seppur con qualche ragionevole compromesso, il gioco vantava un comparto grafico che non fatichiamo a definire "spaccamascella", almeno per gli standard di PSP. Malgrado l'assenza di alcune feature presenti in San Andreas (come ad esempio la capacità di nuotare, arrampicarsi e guidare velivoli), Liberty City Stories recuperava gran parte dei punti di forza della saga per offrire agli appassionati un open world carico di attività e svaghi delinquenziali, che faceva da palcoscenico ad un gameplay di ottima fattura, riadattato efficacemente per accordarsi con le caratteristiche tecniche di PSP.

    Al centro dell'avventura c'era un personaggio già apparso in GTA 3, Toni Cipriani, impegnato a farsi un nome tra le fila della "famigghia" Leone con l'obiettivo di spodestare il rivale Vincenzo Cilli, l'odiato braccio destro del boss Don Salvatore. Tra imprese malavitose, tradimenti e vendette, la campagna ospitava un buon numero di momenti memorabili e, sebbene la qualità complessiva non raggiungesse i livelli dei capitoli principali, la produzione fu accolta con grande entusiasmo sia dal pubblico che dalla critica.

    Tra i tratti distintivi di Liberty City Stories (per approfondire vi rimandiamo alla recensione di GTA Liberty City Stories per PSP) c'era inoltre un comparto multiplayer con sette modalità di vario genere, dal più classico dei deathmach a corse veicolari senza esclusione di colpi. Tale fu il successo del titolo, che l'anno successivo Rockstar decise di pubblicarlo anche su PlayStation 2 alla metà del prezzo originale.

    L'assenza del multiplayer e di funzionalità come la personalizzazione della sountrack, unita a un lavoro di adattamento piuttosto pigro, incapace di compensare i limiti (ludici e tecnici) della produzione, ebbero un impatto consistente sul valore di questo porting, che però riuscì comunque a piazzare un buon numero di copie.

    Grand Theft Auto Vice City Stories

    A due anni dalla pubblicazione di Liberty City Stories, Rockstar tornò sugli scaffali con un nuovo prequel portatile, questa volta ambientato nell'assolata Vice City. Il protagonista dell'avventura è Victor "Vic" Vance, un soldato costretto ad abbandonare la divisa a causa delle macchinazioni del suo sergente, Jerry Martinez, che prima lo coinvolge forzosamente nei suoi loschi affari e poi lo fa cacciare dall'esercito.

    Assieme al fratello Lance, uno dei personaggi principali di GTA Vice City, Vic decide allora di "rilevare" l'attività di Martinez e diventare un pezzo grosso del narcotraffico dell'East Coast, ma per ragioni ben più nobili di quelle del suo avversario: ai Vance servono soldi per finanziare le cure del fratello minore, affetto da una forma d'asma particolarmente grave.

    L'ascesa di Vic ai vertici della criminalità di Vice City viene scandita da una storia costellata di personaggi ben caratterizzati e missioni avvincenti, al centro di un titolo che proponeva diverse migliorie rispetto al suo predecessore portatile.

    Nel complesso, l'esperienza offerta da Vice City Stories era più ricca, varia e vicina agli standard della serie principale, complice l'introduzione di alcuni elementi assenti nell'avventura di Toni Cipriani (nuoto e velivoli pilotabili) e di una meccanica nuova di pacca. Il sistema di "empire building" del gioco permetteva di costruire un fiorente impero malavitoso prendendo il controllo - in punta di proiettile - delle numerose proprietà sparse in giro per la mappa, successivamente convertite in attività criminali più o meno remunerative. Oltre a proporre un combat system più rifinito ed efficiente, il titolo vantava diversi miglioramenti tecnici, come una migliore effettistica, tempi di caricamento ridotti e una draw distance sensibilmente più generosa. Malgrado tutto, però, Vice City Stories non riuscì a bissare il successo del precedente capitolo per PSP, sia in termini di vendite che di accoglienza da parte della critica. Questo perché, al netto degli indiscutibili passi avanti, la formula di Rockstar cominciava a mostrare un po' di ristagno creativo, e il pubblico chiedeva a gran voce novità più sostanziose.

    Con oltre 8 milioni di copie vendute, Vice City Stories si guadagnò comunque un posto d'onore nella storia della console di Sony, e come il precedente Liberty City Stories sbarcò anche su PlayStation 2 con un porting del tutto simile al precedente, anche per quanto riguarda la mancanza delle modalità multiplayer del gioco originale.

    Grand Theft Auto Chinatown Wars

    Il principale punto di forza di GTA: Chinatown Wars è senza ombra di dubbio la sua unicità, figlia di un cambio di direzione netto rispetto alla visione creativa dei due "Stories". Se i titoli pubblicati su PSP cercavano di riprodurre in formato tascabile l'esperienza dei capitoli 3D della saga, Chinatown Wars inseguiva invece una rotta ben diversa, che recuperava solo in parte le strutture ludiche dei primi due GTA.

    La Liberty City del gioco è infatti un open world interamente tridimensionale, ma visto attraverso la classica prospettiva top-down degli albori, opportunamente modificata per accentuare il dinamismo dell'azione. Gli sviluppatori di Rockstar North e Rockstar Leeds modellarono una proposta ludica tanto sfaccettata quanto particolare, che sfruttava il doppio schermo e le funzionalità touch di Nintendo DS per dare un sapore tutto nuovo alle dinamiche cardine del gamplay di GTA, come evidenziato nella recensione di GTA Chinatown Wars. Il titolo era infatti disseminato di gradevoli minigiochi basati sull'utilizzo del pennino, che poteva essere usato per scassinare i veicoli, preparare cocktail molotov e perfino per tatuare le reclute della nostra gang, senza considerare attività meno "estrose" come il lancio di granate o la navigazione tra le pagine del palmare in dotazione al protagonista.

    Brevi e divertenti, questi intercalari tattili non inficiavano in alcun modo il ritmo del gameplay, soprattutto perché i giocatori potevano decidere di saltarli a piè pari, per concentrarsi sulle attività più canoniche di GTA. L'offerta di Chinatown Wars includeva incarichi principali, secondari e un ricco assortimento di distrazioni per tutti i gusti, tra gare clandestine, massacri armati, acrobazie uniche e collezionabili da recuperare.

    Per quanto riguarda la campagna principale, questa segue le peripezie criminali di Huang Lee, un rampollo delle triadi che si ritrova invischiato in un intrigo che coinvolge le più letali "teste di serpente" della mafia cinese di Liberty City.

    La storia brillava per i meriti di una sceneggiatura intrisa dell'umorismo nero tipico della saga, che riusciva a controbilanciare efficacemente la mancanza del doppiaggio e di cutscene "dinamiche" (sostituite da illustrazioni splendidamente realizzate). Parlando dell'estetica di Chinatown Wars, il titolo proponeva un comparto grafico in cel-shading estremamente piacevole, in parte rielaborato per le successive release su PSP e dispositivi mobile, modificate anche per ovviare alle differenze con l'hardware di Nintendo.

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