Battlefield: la storia dalla nascita alla sfida con Call of Duty

La saga di Battlefield ha riscosso enorme successo nel corso degli anni e con Battlefield 2042 guarda al futuro con ottimismo.

EyeExpo: l'evoluzione di Battlefield
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  • Dopo mesi di speculazioni, voci di corridoio e ipotesi, finalmente Battlefield 2042 è da qualche giorno realtà: la prossima fatica a marchio DICE sarà pubblicata il 22 ottobre su PC e piattaforme di vecchia e nuova generazione, per un nuovo episodio che promette spunti di notevole interesse nella riproduzione della guerra totale di Electronic Arts (per saperne di più, eccovi la nostra anteprima di Battlefield 2042).

    Per l'occasione, nell'attesa di toccare con mano un FPS che rinuncerà in toto alla tradizionale campagna in solitaria per dedicarsi al 100% a un multiplayer particolarmente ambizioso, abbiamo deciso di ripercorrere la storia di un franchise longevo e capace di reinventarsi a più riprese. Un racconto che inizia lontano dai riflettori, per la precisione in Svezia, dove un gruppo di giovani amici sogna di lasciare il segno a livello internazionale con un nuovo motore grafico: il Refractor Engine.

    Codename: Eagle e l'incontro con Digital Illusions

    È il 1997, un ventiquattrenne Patrick Söderlund, ancora inconsapevole della carriera in Electronic Arts che lo aspettava, fonda assieme ad altre tre persone Refraction Games con base a Stoccolma. Lo studio aveva le idee chiare: voleva mostrare il potenziale del Refractor Engine (sviluppato a partire dal 1993) con giochi capaci di simulare veicoli, velivoli e imbarcazioni in un unico ambiente virtuale. I primi lavori sono di piccola entità e destinati perlopiù al mercato svedese. Volvo V70, un gioco di guida creato in collaborazione con Volvo in meno di un mese. Horse and Pony II, simulatore di corse con i cavalli pensato per i bambini: riscuote buon successo in Scandinavia, dove diventa un best seller.

    Il progetto che aprirà la strada per il successo al team è Codename: Eagle, uno sparatutto in prima persona pubblicato nel 1999 in cui Refraction mette alla prova tutte le potenzialità del motore grafico proprietario. Codename: Eagle era ambientato in una versione alternativa degli anni ‘20 in cui la Russia è una minacciosa potenza mondiale e le altre nazioni decidono di inviare un commando per sabotarla. Il protagonista è un infiltrato capace di guidare mezzi di terra, di aria e di mare, e poteva prenderne il controllo e passare dall'uno all'altro in tempo reale. Il Refractor Engine riusciva a simulare il rinculo delle armi, la resistenza dell'aria, la frizione e la forza di gravità. Se il gioco è rimasto quasi sconosciuto è perché viene accolto abbastanza freddamente; Refraction riesce comunque ad attirare l'attenzione.

    Digital Illusions Creative Entertainment, che più avanti sarebbe stato meglio conosciuto con il suo acronimo: DICE, guarda con interesse al team di diciotto persone che aveva sviluppato Codename: Eagle e nel febbraio del 2000 decide di acquistarlo. DICE aveva maggiore esperienza nello sviluppo di videogiochi: era stato fondato da un collettivo di programmatori provenienti dalla demoscene svedese e dal 1992 si era barcamenato tra la realizzazione di flipper per Amiga e vari racing game. Grazie al suo know-how disponeva di qualche contatto in più, ma aveva fiutato il potenziale del Refractor Engine. Per questo quando Refraction entra a far parte di DICE tutti i progetti che erano in lavorazione vengono mantenuti. Uno di questi è uno sparatutto multiplayer su larga scala chiamato Battlefield: 1942.

    La nascita di Battlefield

    Molti ricordano Battlefield come un pezzo importante della storia degli sparatutto su computer. Inizialmente, tuttavia, i programmi di DICE erano altri: nel tentativo di trovare qualcuno che fosse interessato a pubblicare Battlefield 1942, lo studio svedese si rivolge a Nintendo. Il progetto, presentato come esclusiva GameCube, piace, ma l'azienda giapponese non aveva pianificato una strategia per i giochi online e rifiuta la proposta. Battlefield 1942 vede allora la luce su computer nel 2002, pubblicato da Electronic Arts (che due anni più tardi acquisirà anche DICE).

    All'epoca non esisteva davvero un gioco paragonabile: Battlefield 1942 inscenava battaglie su mappe gigantesche che contenevano 64 giocatori, 32 per squadra. Si poteva pilotare una grande varietà di mezzi della seconda guerra mondiale: aerei, navi, carri armati, da usare per supportare gli alleati appiedati nella conquista di punti di controllo. L'individualismo veniva messo in secondo piano: al centro di tutto c'era la cooperazione, la coordinazione tra compagni di squadra che non potevano fare a meno l'uno dell'altro. Anche per questo si potevano selezionare varie classi: l'Esploratore, l'Assalto, l'Anti-Carro e l'Ingegnere; una suddivisione che sarebbe rimasta quasi invariata anche nei successivi capitoli.

    Battlefield 1942 riscuote grande successo e dà vita a una ricchissima varietà di mod, alcune persino più giocate del titolo originale. Siege lo trasformava in un gioco di assedi medievali; Pirates trasportava il setting all'epoca dei pirati, con tanto di battaglie navali. Nel 2003 viene pubblicata Battlefield Galactic Conquest, una mod a sfondo fantascientifico che includeva diversi asset dall'universo di Star Wars. Questo prima che LucasArts pubblicasse Star Wars: Battlefront nel 2004. La mod Desert Combat era così ben realizzata che gli autori di Trauma Studios vengono inglobati in DICE: alcune caratteristiche di questa mod sarebbero state alla base di Battlefield 2.

    Nel 2004 arriva Battlefield: Vietnam, dopo un ciclo di sviluppo di appena 11 mesi. La formula è la stessa: battaglie su larga scala con ampio utilizzo di mezzi. Questa volta era permesso sparare dal sedile del passeggero e si poteva ascoltare musica anni ‘60 attraverso la radio. I corazzati potevano essere spostati con il trasporto aereo e ricollocati in zone tatticamente più rilevanti. L'ambientazione aveva costretto gli sviluppatori a puntare più decisamente verso l'asimmetria: gli USA disponevano di mezzi corazzati più potenti e numerosi, mentre i Viet Cong avevano zone di spawn mobili, tante armi anticarro e una vasta rete di tunnel sotterranei a disposizione. Battlefield: Vietnam introduceva inoltre una mappa 3D completa di indicazioni sulla posizione degli alleati e sui punti di controllo conquistati e ancora da catturare. Lo sviluppo del gioco era stato assegnato a DICE Canada. Nel frattempo, il team principale stava pianificando un'importante evoluzione tecnologica.

    Dal presente al futuro

    Battlefield 2 esce nel 2005 su computer ed è mosso dalla versione 2.0 del Refractor Engine. Le nuove tecnologie avevano permesso una riproduzione più accurata della fisica e una gestione realistica dell'audio: Battlefield, d'altronde, rimaneva un gioco che tanto si affidava alla simulazione. Il setting era differente, dalla seconda guerra mondiale si passava a un fittizio conflitto contemporaneo che vedeva gli Stati uniti, alleati con l'Unione Europea e il Regno Unito, affrontare un'alleanza composta dalla Cina, dalla Russia e da un'immaginaria Middle Eastern Coalition.

    Nonostante delle armi e un campionario di mezzi più moderni, la struttura di base non cambiava: le battaglie si svolgevano sempre su grosse mappe che potevano ospitare fino a 64 giocatori. Era tuttavia possibile affrontare anche partite da 32 o 16 giocatori e la mappa si sarebbe ristretta di conseguenza per rendere l'azione sempre serrata. La cooperazione rimaneva anch'essa un elemento cardine e la sua importanza era stata rafforzata. Il gioco assegnava un punteggio anche a chi era lontano dal fronte ma si occupava solo di riparare i carri, per esempio.

    È in Battlefield 2, inoltre, che vengono introdotte le squadre, capitanate da un team leader che coordinava l'azione. Per di più, in ogni partita veniva eletto un Commander (in caso di dispute il ruolo era assegnato al giocatore di grado più alto) che disponeva di una mappa dettagliata con cui gestire le operazioni, suggerire i movimenti, richiamare attacchi di artiglieria. Battlefield 2 includeva anche uno strumento per registrare i replay delle partite, che poi potevano essere visti attraverso varie angolazioni della telecamera. Grazie a esso iniziarono a circolare numerosi machinima, dei piccoli cortometraggi amatoriali realizzati all'interno del gioco.

    Nel 2006 DICE completa i lavori su Battlefield 2142: il gioco è ambientato in un futuro remoto che però è quasi un monito. L'umanità vive in una nuova era glaciale causata dal riscaldamento globale; l'Unione Europea e una coalizione Pan Asiatica

    combattono per assicurarsi l'ultimo spazio vitale rimasto, in un pianeta ricoperto da oceani e da ghiaccio. Le armi e i mezzi pescavano appieno dall'immaginario fantascientifico: oltre ai carri armati, aerei ed elicotteri, partecipavano alle battaglie anche grossi mech bipedi. Con Battlefield 2142 era stata introdotta una variante della modalità conquista in cui i giocatori dovevano prendere il controllo di alcuni silo missilistici per disabilitare gli scudi della i una corazzata volante (nel gioco chiamata Titan) controllata dalla squadra avversaria, mentre difendevano la propria. Una volta che gli scudi erano stati abbattuti, bisognava abbordare la nave e distruggerla dall'interno (oppure continuare a bersagliarla con i missili fino alla distruzione).

    Fino ad ora Battlefield era rimasta una serie strettamente legata all'ambiente computer (solo un capitolo, Battlefield 2: Modern Combat, era stato pubblicato su PlayStation 2 e Xbox nel 2005 e più tardi anche su Xbox 360, riscuotendo vendite modeste). Negli anni della next-gen rappresentata da PlayStation 3 e Xbox 360, DICE ed Electronic Arts erano tuttavia decisi a espandere la portata commerciale del marchio. Inizia così la pianificazione di un gioco pensato esclusivamente per console che si sarebbe lasciato alle spalle le vecchie tecnologie per abbracciarne di nuove e sorprendenti. Stavano per iniziare gli anni del Frostbite e della distruzione ambientale.

    Bad Company e l'avvento della distruttibilità

    I più nuovi giocatori associano al nome Battlefield la distruttibilità ambientale, ma quest'associazione non esisteva prima del 2008. Battlefield era conosciuto come un grosso multiplayer con i mezzi, con caratteristiche da simulatore più spiccate, ma la distruzione degli ambienti, sebbene in minima parte presente, non era mai stato un fattore distintivo. Le cose cambiano con Battlefield: Bad Company del 2008 e con il nuovo motore Frostbite, frutto di sperimentazioni e azzardi che DICE pensava sarebbero diventati la norma nei giochi del futuro.

    Il general manager di DICE Karl-Magnuss Troedsson raccontò in un'intervista che l'idea di implementare ambienti distruttibili era nata per il timore che gli altri avrebbero sviluppato quelle tecnologie prima di loro. Con il Frostbite, invece, DICE avrebbe anticipato tutti. Solo dopo se ne saggiarono le conseguenze sul piano ludico. In una delle prime demo interne venne notato che i soldati non potevano più fuggire dai carri armati nascondendosi negli edifici, perché i carri avrebbero buttato giù le mura a cannonate. Fu in quel momento che DICE si accorse di avere per le mani una nuova ricetta di Battlefield: una ricetta migliore.

    Bad Company viene ricordato anche per essere stato il primo Battlefield con una campagna propriamente detta (in realtà il primo fu Battlefield 2: Modern Combat). Raccontava la storia della "Bad Company", un gruppo di indisciplinati soldati statunitensi utilizzati come carne da cannone. Il racconto aveva toni umoristici ed era ispirato ai film Kelly's Heroes (I Guerrieri, in Italia) e Three Kings. Due anni più

    tardi, nel 2010, esce Battlefield: Bad Company 2. Questa volta tra le piattaforme, oltre a PlayStation 3 e Xbox 360, c'è anche il PC. La campagna continuava la storia della Bad Company, ma i temi erano più seri e la struttura delle missioni più lineare. Il multiplayer era però il vero piatto forte: per la prima volta gli utenti su computer potevano sperimentare la distruttibilità ambientale garantita dal Frostbite (che nel frattempo aveva raggiunto la versione 1.5) e la nuova modalità Rush, mutuata da quella chiamata Gold Rush già presente nel capitolo precedente. Non c'erano più punti di controllo da conquistare: i due team ora si dividevano in attaccanti e difensori, chi attaccava aveva un numero limitato di ticket per il Respawn, mentre chi era in difesa poteva riapparire senza limiti. Il maggior dinamismo di Rush attentò seriamente alla popolarità di Conquista, da sempre considerata la modalità bandiera della serie Battlefield.

    Questi sono anche gli anni in cui EA comincia a realizzare qual è il pieno potenziale di Battlefield e all'epoca non mancò qualche stoccata nei confronti del suo concorrente più diretto: Modern Warfare 2. I numeri, però, non erano ancora paragonabili e bisognava porvi rimedio: è in questo momento che Electronic Arts inizia a pianificare il lancio più imponente della storia della serie.

    La sfida a Call of Duty

    Se per voi Battlefield è l'acerrimo nemico di Call of Duty, è probabile che foste lì quando Activision ed Electronic Arts si sfidavano a colpi di pubblicità aggressiva e dichiarazioni urticanti. Nel 2011 i contendenti di una battaglia senza esclusione di colpi sono Battlefield 3, annunciato agli inizi di febbraio e mostrato ad aprile con un trailer che sfoggiava la potenza del Frostbyte 3, e Modern Warfare 3, un prodotto che arrivava un po' stanco, criticato da molti per essere troppo simile ai predecessori, ma che alle spalle aveva un nome di assoluto rilievo.

    EA sapeva di avere con Battlefield 3 lo sparatutto più dirompente, quello migliore: aveva pianificato un battage per conquistare una parte del pubblico di Activision, con l'idea di rosicchiare sempre più margine e alla fine diventare leader della categoria. Per il marketing erano stati investiti circa 200 milioni di dollari. I pezzi grossi dell'azienda non risparmiarono stilettate ai loro colleghi e competitor. Celebre allora fu la frase di John Riccitiello, CEO di Electronic Arts, che in un'intervista disse di voler vedere Call of Duty "marcire dall'interno".

    Eric Hirshberg, CEO di Activision, condannò quelle parole dal palco della GamesCom e promosse una competizione più sana. La risposta di Jeff Brown di EA non abbassò i toni: "Hai tutte le ragioni per essere nervoso" gli disse, "l'anno scorso Activision aveva il 90% del mercato degli shooter. Quest'anno Battlefield 3 farà calare la percentuale al 60 o al 70%. A questo ritmo sarai fuori dalla competizione in 2-3 anni". Brown aveva fatto male i calcoli, ma credeva fortemente in Battlefield 3, come tutta la compagnia.

    Il gioco esce il 25 ottobre 2011 ed è un grande successo. DICE non si era trattenuta in merito ai contenuti: oltre a una modalità multigiocatore con mappe complesse e verticali, con una distruttibilità ambientale sempre imponente, c'era una una campagna singleplayer lineare e studiata per stupire, ambientata durante un fittizio conflitto in Medio Oriente. In più, una modalità cooperativa per due giocatori (che tuttavia riscosse pareri abbastanza negativi). Le vendite avevano convinto EA che un sorpasso era possibile, ma il sorpasso non sarebbe avvenuto.

    Battlefield 4, pubblicato nel 2013, non ha il riscontro aspettato. Il gioco era stato presentato sempre con trailer spettacolari che tanto spingevano sul valore del Frostbite, ora nella versione 4.0. La più grande novità era la "Levolution", un sistema che modificava sensibilmente le mappe attraverso degli eventi distruttivi innescati dai giocatori: in una mappa ambientata a Shangai poteva crollare un grosso grattacielo; in Paracel Storm un'imponente tempesta sferzava il mare e la terra. Ma all'uscita, forse a causa della natura cross-generazionale del progetto, il gioco era afflitto da importanti problemi tecnici. La questione era stata presa seriamente: DICE aveva bloccato immediatamente tutti i lavori su Mirror's Edge Catalyst e su Star Wars: Battlefront per risolvere i bug più gravi. Intanto, dietro le quinte si concretizzava l'idea per un capitolo completamente differente: un Battlefield sviluppato dai creatori di Dead Space.

    Una nuova strada

    Nel 2001 DICE aveva ideato un prototipo per Urban Combat, uno sparatutto con meccaniche da "guardie e ladri" che tuttavia non andò mai in porto. L'argomento era ritornato caldo nel 2011, durante un meeting a Barcellona a cui parteciparono il vice presidente di Visceral Games Steve Papoutsis e il general manager di EA Karl-Magnus Troedsson. Alla fine dell'incontro era deciso: Visceral poteva occuparsi di Urban Combat, ma prima doveva fare pratica. EA gli avrebbe allora commissionato l'ultima espansione per Battlefield 3, End Game, poi pubblicata nel 2013.

    Urban Combat utilizzava diversi nomi in codice, prima Havana, poi Omaha. Alla fine era stato scelto Battlefield: Hardline. Non era più la guerra l'argomento principale: Visceral voleva creare un police drama degno delle serie TV americane, perciò la campagna era stata suddivisa in episodi e adattata alle tematiche. Il gameplay prevedeva atterramenti non letali, arresti e azioni furtive, che in parte contaminarono anche il multigiocatore. Le caratteristiche di base non erano state accantonate: la distruttibilità, la Levolution, il gameplay cooperativo rimanevano lì.

    I mezzi, però, erano diversi. Non c'erano carri armati ed elicotteri militari, ma mezzi civili e macchine da corsa. Le modalità si basavano sullo scontro tra criminali e poliziotti: in Blood Money i giocatori dovevano attaccare un camion blindato e rubare del denaro, oppure svaligiare il caveau della squadra avversaria. Hotwire prevedeva che i criminali rubassero dei veicoli contrassegnati, mentre i poliziotti tentavano di impedirlo. Hardline esce nel 2015 e le reazioni sono discordanti (qui, per approfondire, trovate la nostra recensione di Battlefield Hardline). Non a tutti era piaciuta la nuova direzione intrapresa e il gioco segnò risultati sotto le aspettative. Nel 2017 Visceral Games venne chiusa da Electronic Arts.

    Quel che è accaduto dopo Battlefield: Hardline è storia piuttosto nota. Nel 2016 esce Battlefield 1, che prova a catturare nuovamente l'interesse spostando l'ambientazione nei campi di battaglia della prima guerra mondiale. Inizialmente Patrick Söderlund non era convinto che un gioco sulla Grande Guerra sarebbe stato divertente, ma dovette cambiare idea di fronte alle prime demo interne. Battlefield 1 aveva una campagna che per certi versi ripescava dalla formula di Hardline: era divisa in sei episodi, ognuno dedicato a un soldato delle nazioni Alleate (uno, chiamato "Avanti Savoia!", raccontava la storia di un Ardito in servizio sulle Dolomiti).

    Il successo commerciale di Battlefield 1 non si sarebbe riproposto con Battlefield V, pubblicato nel 2018. L'ambientazione tornava a essere quella della seconda guerra mondiale, ma fin dal trailer di presentazione non mancarono le polemiche: alcuni giocatori mal sopportavano la presenza di personaggi femminili, definita "storicamente inaccurata". Electronic Arts rispedì al mittente le lamentele dicendo che mai in Battlefield l'accuratezza storica era stata messa al primo posto e che le donne erano lì per restare. Quasi certamente non furono queste lamentele a decretare un risultato commerciale modesto: nel 2018 gli sparatutto online vivevano un periodo difficile a causa del fenomeno Battle Royale. Call of Duty era corso ai ripari con Black Ops 4: Blackout (a inizi del 2020 sarebbe arrivato Warzone). Nel 2019 vede la luce Tempesta di Fuoco, la risposta di Battlefield V al fenomeno.

    Il futuro sembra difficile per la serie, e chissà come l'affronterà il nuovo Battlefield 2042. A prescindere da quel che succederà, in ogni caso, molto difficilmente il ricordo dei giochi di DICE sparirà. I Battlefield erano diversi dagli altri sparatutto: più cooperativi, sociali, erano giochi in cui bisognava coordinarsi e comunicare. Negli anni hanno coltivato una grande community di appassionati che trova il modo di giocare ai vecchi capitoli anche se i server sono stati spenti da un po'. Ma i Battlefield hanno lasciato il segno anche - alcuni direbbero soprattutto - per le loro doti tecnologiche: hanno dimostrato che la distruzione non è mero orpello estetico, ma una caratteristica che genera situazioni sempre nuove, dinamiche.

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