Byte Me: I Vampiri nei videogochi, da Castlevania a Legacy of Kain

Da Castlevania a Night Trap, passando per Legacy of Kain: prima parte della rassegna dedicata ai vampiri nel mondo dei videogiochi.

Byte Me: I Vampiri nei videogochi, da Castlevania a Legacy of Kain
Articolo a cura di

Era una serata come le altre, ma qualcuno era convinto fosse giunto il momento di guardare quel nuovo film sui vampiri, quello di cui tutti parlavano. Per puro interesse antropologico, diceva. E poi lo davano in TV. A metà pellicola erano tutti troppo storditi dalla fotografia, che sembrava d'essere capitati nel mezzo un gavettone di atropina, per intervenire in qualche modo. Non agitai il mio drink per aria come fosse un bastone da passeggio, urlando "ai miei tempi i vampiri non luccicavano" come se avessi perso tutti i denti; non avanzai suggerimenti riguardo il collegare una dinamo alla salma trottolante del povero Bram Stoker, per mettere fine all'annosa questione della crisi petrolifera. Non un singolo commento salace sulla tizia con la paresi facciale.
Quella sera mi sentivo sporco, dovevo ovviare in qualche modo. Avrei potuto perdere qualche altra diottria, già che c'ero, e rispolverare il Nosferatu di Murnau, ma feci di più. Rovistando nel il marcescente scatolame del retrogaming, tirai fuori tutto il materiale inerente al tema, facendomi strada in una foresta di cavetteria selvaggia e preparandomi ad una furibonda maratona videoludica solitaria, una debilitante redenzione a suon di supporti ormai troppo ingombranti per il loro contenuto in byte; di lí a poco la mia stanza era un raduno scomposto di brutti schermi bombati, che neanche nei b-movie sugli hacker degli anni ‘90.

The count: scrivi cose, finisci gioco

Dalla preistoria, bisogna necessariamente iniziare dalla preistoria. Giocare alle avventure testuali oggi è come andarsene in giro a far chiamate col TACS, come ascoltare musica in treno dalle audiocassette, in un walkman verde vomito della Bontempi; non é il tipo di passione per l'antico che fa figo, come schitarrare su un amplificatore a valvole o guidare una Camaro del ‘69 in pieno centro. É il tipo di vecchiume che ti mette in imbarazzo.
Mi scontro con una pagina nera, asettica, e poche righe di introduzione; un inglese spesso troppo lontano da quello insegnato nei corsi da inserire nei curricula, estremamente lontano da quello usato nelle flame war sui forum di League of Legends, pregno di termini in disuso e schematizzato oltre ogni misura. Eppure supero senza troppi brividi, il "vai porta", il "vai cucina" e l' "esci stanza", digitati a crudo e recitati mentalmente dalla robusta e ritardata versione di me stesso: come accade coi libri ben scritti, dietro un paio di frasi può proiettarsi un intero mondo immaginario, così dettagliato da sembrare quasi tangibile; pare quasi di sentirli, quei bifolchi armati di forconi, fuori dal castello del Conte, che urlano coi visi corrugati, all'ombra dei logori cappelli di paglia; pare quasi di avvertirlo, l'odore acre dello zolfo dei cerini, mentre accendo una di quelle sigarette transylvanian blend. Lo si finisce presto, se si ha una buona memoria, o si resta bloccati nella cucina, a cercare la giusta interazione col calapranzi, mentre il tempo scorre a modo suo, scandito da semplici righe di testo fluorescenti.

The Astonishing Adventures of Mr. Weems and the She Vampires: il vampiro autoreggente

Ci siamo cascati tutti, in un modo o nell'altro. Questo era nelle collezioni di molti, non perchè videogioco di culto, non per meriti di sorta, ma solo per il classico trappolone delle copertine softporn. Le ammiccanti vampire in lingerie lasciavano presagire un'avventura ben più spassosa, e invece ci si ritrova alle prese con un ometto calvo armato di una pistola spara-aglio, in uno dei più brutti cloni di Gauntlet che la storia ricordi. Si fa una fatica immane a rimanere calmi di fronte ad un respawn violentissimo, agli sprites che sfarfallano senza sosta sulle schermate, nella speranza di giungere al termine dell'avventura e veder ripagati i propri sforzi, ammirare una di quelle schermate che rendevano degne anche le modeste risoluzioni in 160x200 dei tempi, magari scorgere un capezzolo fra i pixel. E invece nulla. Una tristissima schermata nera, nel mezzo il tuo dannatissimo punteggio. Del quale non puoi nemmeno bullarti con nessuno.
Così la cassetta di Mr. Weems schizza a velocità ultrasonica nel mucchio degli scarti, insieme alle donnine in copertina, insieme all'antica vergogna di acquisti dettati dai genitali.

Castlevania: come ti frusto il vampiro

E si passa subito alla roba seria, quella giustamente mainstream. Rimonto il supporto nativo facendo a pugni con lo sdoppiatore del cavo antenna, mi smarrisco privo di forze nella ricerca disperata fra i canali analogici, col poco fiato che mi resta non impreco, ma soffio nella cartuccia. Ed eccolo lì, Simon, che varca il cancello di casa del Conte, per prendersela principalmente coi candelabri.

Lo smarrimento è lo stesso di una volta, quando si scopre che i cuori raccolti per i corridoi del castello non riempiono la barra dell'energia, la tensione che precede l'apparizione dei boss persiste, una dettagliata mappa delle scorte alimentari d'emergenza è ancora ben stampata nelle sinapsi, con la precisa ubicazione di ogni pollo arrosto nascosto sotto le mattonelle, ricordo anche qual è la parete contro cui correre come un idiota, in cambio di 1UP, la difficoltà è proibitiva come un tempo.
Ed è proprio in quel momento, mentre lampeggio a mezz'aria, sbalzato dall'ennesimo pipistrello che mi piomba dritto nel cervelletto, che un incubo riaffiora con prepotenza, scombinando le tappe del tour culinario dei polli. Il porting per coin-op.Io amo i videogiochi. Anzi, io e i videogiochi siamo già in quella fase del rapporto in cui si va a pisciare con la porta aperta. Eppure quella cattivissima e svilente creatura non la si può amare. Quel malefico ciuccia gettoni di Haunted Castle fu un errore, una brutta macchia sulla carriera di Konami, una delle prime che si ricordi.

Intontiti dal frastuono delle sale giochi, avevamo visto Simon uscire da una chiesa con la neosposa Selena, e poi l'immancabile apparizione del conte, deciso ad aggiungere il sequestro di persona alla lunga lista di misfatti da allegare alla propria leggenda. Mentre si camminava, lentissimamente, e con lo stesso incedere dei buffi omini nelle pubblicità dell'Imodium, ogni cosa cercava di ucciderci, dagli zombie ai mattoni, dai dipinti di donne in lacrime alle posate in argento del "servizio buono". E mentre ci tenevamo stretta una delle 3 continue a disposizione, prima di dover ricominciare per l'ennesima volta dal cortile, una sola domanda rimbombava nelle ingenue teste di noi poveri coinoppari: Simon, perchè hai portato una frusta al tuo matrimonio?

Night Trap: NEMOrragia

Tappa obbligata, perchè storicamente rilevante, testimone di quel preciso istante in cui la più famosa industria di giocattoli rischiava di scendere sul campo nella battaglia fra console. Il NES killer, lo chiamavano, più comunemente conosciuto come Project NEMO o Hasbro Control-Vision, la sua storia la conosciamo più o meno tutti; Night Trap era fra i possibili titoli di lancio, prima che l'intero progetto andasse a monte, nonchè l'unico a nascondere, una volta riciclato e fatto uscire su Sega CD, una chicca davvero utile per costruire congetture su ipotetici risvolti della console war in atto: si tratta di un raro e sgranatissimo filmato, nascosto fra i titoli di coda, innescabile inserendo una sequenza di tasti al momento giusto, che mostrava la presentazione ad Hasbro della misteriosa scatoletta a VHS.
Mentre gran parte dei developers erano alle prese con 4 pixel in croce, per creare qualcosa che avesse una forma vagamente antropomorfa, alcuni furboni decisero di imboccare una furba scorciatoia, imbracciare una grossa telecamera da spalla e riprendere qualche attore in crisi.

Valenza documentaristica a parte, Night Trap è un titolo particolare: bruttino, carente di interazioni, e diretto come fosse un'interminabile sequenza di preparazione ad un porno amatoriale (e il sentore è anche giustificato, visto che lo stesso direttore della fotografia, Don Burgess, lavorò poco più tardi su Playboy: Bedtime Stories).
Eppure, mentre guardo l'atipica interpretazione dei vampiri, fatta da curve figure in tutina nera, che si muovono come power rangers strafatti di etere, mentre aspetto che una barra a fondo schermo diventi rossa per un attimo, per innescare la sequenza sincronizzata malissimo in cui uno di loro cade in una botola piena di macchine del fumo, ricordo la potenza dei FMV di quei tempi; riconosco nel cotonatissimo cast Dana Plato, Kimberly di "Il mio amico Arnold" e Andras Jones, il karateka che moriva dando pugni al nulla in Nightmare IV, e in qualche modo capisco perchè un piccolo gruppo di irriducibili sognatori cercasse in tutti i modi di infilare sequenze filmate in ogni contesto ludico, nonostante il palpabile imbarazzo degli attori. Mi tornano in mente Phantasmagoria, Gabriel Knight 2, la sequenza introduttiva del primo Biohazard e anche il leggendario Atmosfear, e penso che non ci fosse da ghignare poi così tanto, quando nel lontano 1995 Tom Zito affermava che "full motion video games are the future", nè nel vedere Kevin Spacey che recita da solo in un set grigio e vuoto, in una tutina di spandex, 20 anni dopo.

Legacy of Kain: la sòla del negromante

La osservai per quasi un anno intero, la scatola di Blood Omen, esposta in una vetrina di un negozio di computer in città, per poi recuperarla dal fondo di in uno di quei tristi cestoni delle offerte, sgualcita dal continuo rovistare, sbiadita dal sole che batteva forte sugli espositori per più di 6 ore al giorno. Esiste un momento esatto, nella vita di ogni giocatore, in cui pare chiaro quanto il medium videoludico fosse destinato a guadagnarsi uno status più elevato, più maturo. Spesso coincide con la morte di una visione estremamente pucciosa del videogioco, che lascia spazio ad uno sguardo più riflessivo e cinico, trame esageratamente elaborate, personaggi così cattivi da sembrare reali e immagini forti, che colpiscono come un pugno allo stomaco.
Chi gioca da un po' ricorda esattamente quel preciso istante. Per chi scrive, coincide col brusco passaggio dall'edilizia caramellata di Zool all'umida boscaglia di Nosgoth, dai PEW PEW sintetici al rumore ovattato di un cuore pulsante, dai game over in cui i personaggi scivolano immobili e particolarmente sorpresi verso il lato inferiore dello schermo

alle donne incatenate in qualche cripta pregna del puzzo di morte, sangue, muffa e cheerios appena vomitati. Quel momento, che ha un volto diverso nelle memorie di ognuno di noi, coincise col presagio di saghe interminabili, personalità che ritornano con prepotenza e luoghi da rivisitare in tempi non sospetti: rivedo i pilastri di Nosgoth nella loro prima apparizione e sono i pixel più resistenti che ricordi, in grado di reggere un'intera mitologia.

L'appagante maratona della redenzione procedeva senza sosta, ma ero provato, al punto da rimembrare un'antica e bruttissima barzelletta, quella in cui il vampiro entra in un bar e, fra lo scherno dei consanguinei, ordina un bicchiere d'acqua calda. Poi stizzito tira fuori un tampax e borbotta: "che tempi, uno non può più farsi un tè in santa pace". (continua)