Come molte delle vicende videoludiche che riguardano, almeno all'apparenza, solo gli sviluppatori, la tempesta che si è abbattuta nelle ultime settimane su Unity Technologies ha rischiato di passare in sordina. O almeno, questa era la speranza dei vertici dell'azienda. La realtà è che ci si è ritrovati davanti ad uno dei casi più spinosi negli ultimi anni della game industry. Cerchiamo di capire cosa è successo partendo dal principio. È il 12 settembre 2023 quando un aggiornamento delle normative di Unity, comparso sul blog ufficiale dell'azienda, introduce un nuovo modello di riscossione in base all'abbonamento sottoscritto dallo sviluppatore.
Per ciascuna copia installata di un gioco realizzato con l'engine Unity, i creativi saranno soggetti a partire dal 1° gennaio 2024 al versamento di una nuova percentuale sugli incassi, da aggiungersi al 30% degli introiti che Unity già esigeva. L'ulteriore riscossione di royalites sarebbe scattata al superamento di una quota prestabilita di incassi e installazioni. Fate attenzione: una richiesta di denaro extra, non per ogni copia venduta, ma per ogni volta che il gioco è stato installato, fin dal suo lancio (quindi, in maniera retroattiva). E nuove percentuali da riscuotere, non sugli incassi futuri, ma su quelli già generati dallo scorso anno.
Il primo enorme problema è subito chiaro: la retroattività della decisione che Unity voleva imporre agli sviluppatori. Per giustificare la sua decisione, la società si è giocata la carta di Unity Runtime. Parliamo di un'estensione installata sui sistemi operativi degli acquirenti, ogni volta che un titolo basato sull'engine viene scaricato e che in estrema sintesi contribuisce, stando alle parole dell'azienda, a una maggiore efficienza nell'esecuzione dei giochi in questione.
Per supportare l'applicazione ogni sviluppatore doveva pagare da 1 a 20 centesimi di dollaro per installazione, con un vantaggio economico per i detentori degli abbonamenti più costosi (le versioni Pro ed Enterprise di Unity). Gli abbonati a Personal, la scelta più adatta per i developer indipendenti e piccoli team, si sono quindi ritrovati con la richiesta di somme di denaro non previste inizialmente, che hanno messo in allarme gran parte della community degli sviluppatori.
Internet insorge, per una volta a fin di bene
Quello che probabilmente non era stato considerato da Unity è la rapidità con cui il grande pubblico ha capito l'enormità della richiesta, iniziando a protestare e a sostenere gli sviluppatori.
La mossa della dirigenza di Unity rientra in quelle strategie di monetizzazione che partono anni dopo dopo aver creato un'enorme base di utenza, con soluzioni favorevoli e virtuose che in seguito lasciano spazio a richieste davvero difficili da rispettare per gli utilizzatori (in questo caso, i piccoli team di sviluppo). La casa dell'engine non è stata certo la prima - basti pensare a quanto accaduto con Reddit proprio quest'anno - e ad ogni modo sembrava non badare molto a un potenziale danno d'immagine.
Unity fa marcia indietro
La strategia comunicativa attuata da Unity nelle ore immediatamente successive ha contribuito a compattare utenti e sviluppatori. In un tweet pubblicato il giorno successivo all'articolo sul blog, il 13 settembre, l'azienda precisò che il cambiamento "non riguarderà il 90% della nostra utenza". In sostanza come testimoniato dalla nota esplicativa presente nel post, i developer di maggior successo, quelli che sono riusciti a tutti gli effetti a rendere lo sviluppo un mestiere a tempo pieno capace di dare lavoro a intere squadre, saranno soggetti a una tassazione pesante. Gli altri? Dovevano sperare di non diventare troppo famosi.
In questa fase si intravedevano i primi segnali di dietrofront: tutte le installazioni oltre alla prima, non sarebbero più state conteggiate sul medesimo sistema; le copie di matrice illegale non sarebbero state incluse nella tassazione, il che ha aperto a ulteriori interrogativi su come Unity possa verificare un simile dato; i download associati a bundle di beneficenza non sarebbero stato computati, con analoghi dubbi sulla verifica della provenienza. Ultimo ma non ultimo, i titoli inclusi in abbonamenti stile Game Pass avrebbero richiesto il pagamento della tariffa da parte del distributore, andando a coinvolgere aziende come Microsoft e Sony, il cui consenso non è affatto certo.
Si possono quindi intuire le ragioni del lungo silenzio seguito a queste dichiarazioni poco gradite. Will Goldstone, design lead nell'azienda dal 2006, ha spiegato in un tweet pubblicato il 21 settembre che la vicenda è troppo complessa e ha scatenato conflitti interni ben al di là di quanto si era previsto. "We have to get it right", "Dobbiamo farlo nel modo giusto": il riferimento è alle parole da usare nel prossimo comunicato, sottolineando una volta di più quanto l'azienda avesse sottovalutato la reazione del grande pubblico a una svolta così drastica. A rendere ancora più anomala la strategia (e la perseveranza) di Unity è l'esistenza di modelli alternativi ben più ragionati ed efficienti. Come quello di Unreal Engine, che propone una sorta di flat tax per sviluppatori e si limita a tassare i propri clienti in base al successo del loro prodotto.
Se uno sviluppatore agli esordi non riesce a sfondare con un prodotto, Unreal non incassa a sua volta, non chiedendo quindi nulla di più. Unity, invece, si basa in parte su un sistema di abbonamenti a pagamento, e voleva aggiungere un'ulteriore tassazione volta a capitalizzare successi inattesi come Vampire Survivors.
Ed è qui il cuore della questione: Unity ha deciso di monetizzare qualcosa fino a quel momento non contemplato dal suo business model e che rendeva il motore un'opzione valida per chiunque volesse creare un videogioco.
Una comunicazione frammentaria
A rendere ancora più complesso questo cambiamento mal concepito ed esposto, aggiornamenti e correzioni di tiro sparse tramite terze parti. Tra questi uno dei punti più spinosi del nuovo corso di Unity, ossia il conteggio di ogni singolo download di un gioco come se fosse un acquisto: presente nella dichiarazione iniziale e poi ritrattato nel già citato chiarimento del 13 settembre, è stato smentito per primo del giornalista Stephen Totilio in un tweet del 12 settembre, dimostrando una volta di più la farragionsità della strategia comunicativa di Unity.
Un'ulteriore correzione arriva nel corso della settimana successiva, il 18 settembre: questa volta è Bloomberg, storica rivista americana dedicata al mondo dell'economia, a dichiarare che Unity, nel corso di una riunione la cui registrazione è stata analizzata dalla testata, ha deciso di fare retromarcia anche sulla retroattività della tassazione, che coinvolgerà quindi solo i titoli usciti dal 1° gennaio 2024 in avanti, e che le tariffe si applicheranno al 4% dei ricavi di un gioco solo agli sviluppatori che supereranno il milione di dollari di incassi.
Community e developer: un fronte unito
Come accennato la ragione principale che ha spinto Unity Software a una necessaria correzione del tiro, non ancora conclusa alla pubblicazione di questo articolo, è stata la reazione del pubblico, un fronte che ha visto compatti appassionati e sviluppatori. La stessa popolarità di Unity, si potrebbe dire, gli si è ritorta contro: molti dei titoli più giocati degli ultimi anni, come Among Us, Cult of the Lamb, Cuphead e Genshin Impact, si basano su questo motore, con fanbase enormi e attente alle parole degli sviluppatori.
A partire da quelle di Innerslot (a cui dobbiamo Among Us), che hanno sottolineato la gravità della situazione: non tutti gli sviluppatori hanno tempo e risorse per gestire un cambio di paradigma così profondo. Il programmatore Forest Willard, parlando con IGN, si è sbilanciato affermando che il gioco potrebbe anche essere rimosso per qualche tempo dagli store online, in attesa che Unity torni sui suoi passi. Tra l'altro in ambito engine le alternative a Unity non mancano e, oltre ad Unreal, in molti stanno pensando a Godot, un motore open-source gratuito e supportato da un'attiva comunità di sviluppatori.
Anche Re-Logic, lo studio di Terraria, si è fatto sentire, e per solidarietà ha donato 200.000$ proprio a Godot e a FNA, altro engine dal grande potenziale. Definendo predatorie le tattiche dell'azienda danese, la presa di posizione diventa ancora più significativa dato che Terraria non è nemmeno basato su Unity. Oltre 500 studi di sviluppo hanno sottoscritto una lettera di protesta contro il nuovo corso tariffario, dando un'ulteriore idea della compattezza di questo dissenso.
Un capitolo a parte lo merita John Riccitiello, il CEO di Unity Software in carica dal 2014 (precedentemente alla guida di EA) e ricordato per dichiarazioni ben poco amichevoli come quella sulla "idiozia degli sviluppatori che non includono micro transazioni nei loro giochi".
Il 6 settembre 2023, appena prima che Unity sganciasse la bomba sulle nuove tariffe, Riccitiello ha avuto l'accortezza di vendere oltre 2000 delle sue azioni nell'azienda, aggiuntesi alle 50.000 già vendute nel corso dell'ultimo anno, alla vigilia di un crollo della loro valutazione puntualmente avvenuto. Insieme a lui gran parte della dirigenza: i casi più eclatanti quelli dei manager Tomer Bar-Zeev e Shlomo Dovrat, che insieme hanno venduto azioni di Unity per oltre quattro milioni di dollari tra la fine di agosto e l'inizio di settembre.
Negli ultimi anni l'azienda si è contraddistinta per scelte giudicate controverse, come l'acquisto nel luglio del 2022 di ironSource, nota per aver inserito un malware nei propri prodotti e co-fondata proprio da Bar-Zeev. Scelte che confermano una spaccatura sempre più profonda tra uno staff in difficoltà e un CEO sempre meno in sintonia con l'aria che tira (come quando, nel maggio di quest'anno e con lo sciopero degli sceneggiatori di Hollywood già in corso, aveva dichiarato che l'intelligenza artificiale avrebbe reso migliore e più economico il lavoro dei creatori di contenuti).
I numerosi licenziamenti, in primavera la terza ondata nel giro di un anno fiscale, consolidano ulteriormente l'idea di un'attività ancora lontana dal trovare un equilibrio solido.
Perché Unity è in crisi
Non sappiamo quando Unity annuncerà le modifiche alle policy che hanno dato via a questo terremoto mediatico, ma la certezza è che sarà difficile per l'azienda riconquistare la fiducia dei suoi clienti, ovvero gli sviluppatori, senza contare il grave danno d'immagine tra i giocatori. Perché Unity è un cardine dell'industria videoludica contemporanea, che però che si trova ora in una crisi finanziaria causata da un modello di bussiness chiaramente non sostenibile.
Trovatosi alle strette la dirigenza non si è fatta scrupoli, tentando di imporre una modifica unilaterale e retroattiva del contratto, sperando di proporla grazie all'importanza che Unity stesso ha per le carriere lavorative di innumerevoli "singoli" e team. Nessun dietrofront sarà mai convincente come un cambio di gestione, qualcosa che in casa Unity non sembra ancora all'orizzonte.
Il caso Unity è una storia di avidità e fiducia tradita: il web insorge
Il caso Unity è stato uno dei più chiacchierati, e ha visto giocatori e sviluppatori unirsi in risposta a una situazione grave e inattesa...
Come molte delle vicende videoludiche che riguardano, almeno all'apparenza, solo gli sviluppatori, la tempesta che si è abbattuta nelle ultime settimane su Unity Technologies ha rischiato di passare in sordina. O almeno, questa era la speranza dei vertici dell'azienda. La realtà è che ci si è ritrovati davanti ad uno dei casi più spinosi negli ultimi anni della game industry. Cerchiamo di capire cosa è successo partendo dal principio. È il 12 settembre 2023 quando un aggiornamento delle normative di Unity, comparso sul blog ufficiale dell'azienda, introduce un nuovo modello di riscossione in base all'abbonamento sottoscritto dallo sviluppatore.
Per ciascuna copia installata di un gioco realizzato con l'engine Unity, i creativi saranno soggetti a partire dal 1° gennaio 2024 al versamento di una nuova percentuale sugli incassi, da aggiungersi al 30% degli introiti che Unity già esigeva. L'ulteriore riscossione di royalites sarebbe scattata al superamento di una quota prestabilita di incassi e installazioni. Fate attenzione: una richiesta di denaro extra, non per ogni copia venduta, ma per ogni volta che il gioco è stato installato, fin dal suo lancio (quindi, in maniera retroattiva). E nuove percentuali da riscuotere, non sugli incassi futuri, ma su quelli già generati dallo scorso anno.
Il primo enorme problema è subito chiaro: la retroattività della decisione che Unity voleva imporre agli sviluppatori. Per giustificare la sua decisione, la società si è giocata la carta di Unity Runtime. Parliamo di un'estensione installata sui sistemi operativi degli acquirenti, ogni volta che un titolo basato sull'engine viene scaricato e che in estrema sintesi contribuisce, stando alle parole dell'azienda, a una maggiore efficienza nell'esecuzione dei giochi in questione.
Per supportare l'applicazione ogni sviluppatore doveva pagare da 1 a 20 centesimi di dollaro per installazione, con un vantaggio economico per i detentori degli abbonamenti più costosi (le versioni Pro ed Enterprise di Unity). Gli abbonati a Personal, la scelta più adatta per i developer indipendenti e piccoli team, si sono quindi ritrovati con la richiesta di somme di denaro non previste inizialmente, che hanno messo in allarme gran parte della community degli sviluppatori.
Internet insorge, per una volta a fin di bene
Quello che probabilmente non era stato considerato da Unity è la rapidità con cui il grande pubblico ha capito l'enormità della richiesta, iniziando a protestare e a sostenere gli sviluppatori.
La mossa della dirigenza di Unity rientra in quelle strategie di monetizzazione che partono anni dopo dopo aver creato un'enorme base di utenza, con soluzioni favorevoli e virtuose che in seguito lasciano spazio a richieste davvero difficili da rispettare per gli utilizzatori (in questo caso, i piccoli team di sviluppo). La casa dell'engine non è stata certo la prima - basti pensare a quanto accaduto con Reddit proprio quest'anno - e ad ogni modo sembrava non badare molto a un potenziale danno d'immagine.
Unity fa marcia indietro
La strategia comunicativa attuata da Unity nelle ore immediatamente successive ha contribuito a compattare utenti e sviluppatori. In un tweet pubblicato il giorno successivo all'articolo sul blog, il 13 settembre, l'azienda precisò che il cambiamento "non riguarderà il 90% della nostra utenza". In sostanza come testimoniato dalla nota esplicativa presente nel post, i developer di maggior successo, quelli che sono riusciti a tutti gli effetti a rendere lo sviluppo un mestiere a tempo pieno capace di dare lavoro a intere squadre, saranno soggetti a una tassazione pesante. Gli altri? Dovevano sperare di non diventare troppo famosi.
In questa fase si intravedevano i primi segnali di dietrofront: tutte le installazioni oltre alla prima, non sarebbero più state conteggiate sul medesimo sistema; le copie di matrice illegale non sarebbero state incluse nella tassazione, il che ha aperto a ulteriori interrogativi su come Unity possa verificare un simile dato; i download associati a bundle di beneficenza non sarebbero stato computati, con analoghi dubbi sulla verifica della provenienza. Ultimo ma non ultimo, i titoli inclusi in abbonamenti stile Game Pass avrebbero richiesto il pagamento della tariffa da parte del distributore, andando a coinvolgere aziende come Microsoft e Sony, il cui consenso non è affatto certo.
Si possono quindi intuire le ragioni del lungo silenzio seguito a queste dichiarazioni poco gradite. Will Goldstone, design lead nell'azienda dal 2006, ha spiegato in un tweet pubblicato il 21 settembre che la vicenda è troppo complessa e ha scatenato conflitti interni ben al di là di quanto si era previsto. "We have to get it right", "Dobbiamo farlo nel modo giusto": il riferimento è alle parole da usare nel prossimo comunicato, sottolineando una volta di più quanto l'azienda avesse sottovalutato la reazione del grande pubblico a una svolta così drastica. A rendere ancora più anomala la strategia (e la perseveranza) di Unity è l'esistenza di modelli alternativi ben più ragionati ed efficienti. Come quello di Unreal Engine, che propone una sorta di flat tax per sviluppatori e si limita a tassare i propri clienti in base al successo del loro prodotto.
Se uno sviluppatore agli esordi non riesce a sfondare con un prodotto, Unreal non incassa a sua volta, non chiedendo quindi nulla di più. Unity, invece, si basa in parte su un sistema di abbonamenti a pagamento, e voleva aggiungere un'ulteriore tassazione volta a capitalizzare successi inattesi come Vampire Survivors.
Ed è qui il cuore della questione: Unity ha deciso di monetizzare qualcosa fino a quel momento non contemplato dal suo business model e che rendeva il motore un'opzione valida per chiunque volesse creare un videogioco.
Una comunicazione frammentaria
A rendere ancora più complesso questo cambiamento mal concepito ed esposto, aggiornamenti e correzioni di tiro sparse tramite terze parti. Tra questi uno dei punti più spinosi del nuovo corso di Unity, ossia il conteggio di ogni singolo download di un gioco come se fosse un acquisto: presente nella dichiarazione iniziale e poi ritrattato nel già citato chiarimento del 13 settembre, è stato smentito per primo del giornalista Stephen Totilio in un tweet del 12 settembre, dimostrando una volta di più la farragionsità della strategia comunicativa di Unity.
Un'ulteriore correzione arriva nel corso della settimana successiva, il 18 settembre: questa volta è Bloomberg, storica rivista americana dedicata al mondo dell'economia, a dichiarare che Unity, nel corso di una riunione la cui registrazione è stata analizzata dalla testata, ha deciso di fare retromarcia anche sulla retroattività della tassazione, che coinvolgerà quindi solo i titoli usciti dal 1° gennaio 2024 in avanti, e che le tariffe si applicheranno al 4% dei ricavi di un gioco solo agli sviluppatori che supereranno il milione di dollari di incassi.
Community e developer: un fronte unito
Come accennato la ragione principale che ha spinto Unity Software a una necessaria correzione del tiro, non ancora conclusa alla pubblicazione di questo articolo, è stata la reazione del pubblico, un fronte che ha visto compatti appassionati e sviluppatori. La stessa popolarità di Unity, si potrebbe dire, gli si è ritorta contro: molti dei titoli più giocati degli ultimi anni, come Among Us, Cult of the Lamb, Cuphead e Genshin Impact, si basano su questo motore, con fanbase enormi e attente alle parole degli sviluppatori.
A partire da quelle di Innerslot (a cui dobbiamo Among Us), che hanno sottolineato la gravità della situazione: non tutti gli sviluppatori hanno tempo e risorse per gestire un cambio di paradigma così profondo. Il programmatore Forest Willard, parlando con IGN, si è sbilanciato affermando che il gioco potrebbe anche essere rimosso per qualche tempo dagli store online, in attesa che Unity torni sui suoi passi. Tra l'altro in ambito engine le alternative a Unity non mancano e, oltre ad Unreal, in molti stanno pensando a Godot, un motore open-source gratuito e supportato da un'attiva comunità di sviluppatori.
Anche Re-Logic, lo studio di Terraria, si è fatto sentire, e per solidarietà ha donato 200.000$ proprio a Godot e a FNA, altro engine dal grande potenziale. Definendo predatorie le tattiche dell'azienda danese, la presa di posizione diventa ancora più significativa dato che Terraria non è nemmeno basato su Unity. Oltre 500 studi di sviluppo hanno sottoscritto una lettera di protesta contro il nuovo corso tariffario, dando un'ulteriore idea della compattezza di questo dissenso.
Tra gli altri è lo sviluppatore di Slay the Spire a puntare il dito su uno dei punti più spinosi di questa situazione: la "violation of trust" ovvero la violazione di fiducia, che a prescindere da qualsiasi inversione di marcia da parte dell'azienda, lascerà un timore di fondo a chiunque da oggi in avanti pensi di produrre un gioco proprio con Unity.
I comportamenti del CEO
Un capitolo a parte lo merita John Riccitiello, il CEO di Unity Software in carica dal 2014 (precedentemente alla guida di EA) e ricordato per dichiarazioni ben poco amichevoli come quella sulla "idiozia degli sviluppatori che non includono micro transazioni nei loro giochi".
Il 6 settembre 2023, appena prima che Unity sganciasse la bomba sulle nuove tariffe, Riccitiello ha avuto l'accortezza di vendere oltre 2000 delle sue azioni nell'azienda, aggiuntesi alle 50.000 già vendute nel corso dell'ultimo anno, alla vigilia di un crollo della loro valutazione puntualmente avvenuto. Insieme a lui gran parte della dirigenza: i casi più eclatanti quelli dei manager Tomer Bar-Zeev e Shlomo Dovrat, che insieme hanno venduto azioni di Unity per oltre quattro milioni di dollari tra la fine di agosto e l'inizio di settembre.
Negli ultimi anni l'azienda si è contraddistinta per scelte giudicate controverse, come l'acquisto nel luglio del 2022 di ironSource, nota per aver inserito un malware nei propri prodotti e co-fondata proprio da Bar-Zeev. Scelte che confermano una spaccatura sempre più profonda tra uno staff in difficoltà e un CEO sempre meno in sintonia con l'aria che tira (come quando, nel maggio di quest'anno e con lo sciopero degli sceneggiatori di Hollywood già in corso, aveva dichiarato che l'intelligenza artificiale avrebbe reso migliore e più economico il lavoro dei creatori di contenuti).
I numerosi licenziamenti, in primavera la terza ondata nel giro di un anno fiscale, consolidano ulteriormente l'idea di un'attività ancora lontana dal trovare un equilibrio solido.
Perché Unity è in crisi
Non sappiamo quando Unity annuncerà le modifiche alle policy che hanno dato via a questo terremoto mediatico, ma la certezza è che sarà difficile per l'azienda riconquistare la fiducia dei suoi clienti, ovvero gli sviluppatori, senza contare il grave danno d'immagine tra i giocatori. Perché Unity è un cardine dell'industria videoludica contemporanea, che però che si trova ora in una crisi finanziaria causata da un modello di bussiness chiaramente non sostenibile.
Trovatosi alle strette la dirigenza non si è fatta scrupoli, tentando di imporre una modifica unilaterale e retroattiva del contratto, sperando di proporla grazie all'importanza che Unity stesso ha per le carriere lavorative di innumerevoli "singoli" e team. Nessun dietrofront sarà mai convincente come un cambio di gestione, qualcosa che in casa Unity non sembra ancora all'orizzonte.
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