L'alba di una nuova generazione di console è sempre un periodo di grande fermento per la community dei giocatori, che si appresta a muovere i primi passi lungo un percorso costellato di grandi soddisfazioni ludiche (a questo proposito vi rimandiamo alla nostra recensione di Xbox Series X e della recensione di PlayStation 5). Un sentimento diffuso che però deve fare i conti con il lato oscuro dell'avvicendamento generazionale: una piaga annosa e sorprendentemente resistente, nota ai più come "console war". In questo articolo cercheremo di ripercorrere le principali tappe storiche di questo flagello dilagante, cercando di sottolineare come darsi alla "console war" sia utile quanto fare la messa in piega allo zerbino di casa.
La prima console war
La nostra storia si apre in un passato ormai lontano: un tempo di pace, in cui le fiamme della console war non erano altro che flebili scintille cullate dal vento di un entusiasmo diffuso. Nel 1972 Magnavox lanciò sul mercato la sua Odyssey, ovvero la prima console casalinga pensata per il grande mercato. Arrivata sugli scaffali con un prezzo largamente ritenuto troppo alto per la natura del prodotto, e accompagnata da una campagna pubblicitaria piuttosto carente, la macchina si rivelò un insuccesso commerciale. Un buco nell'acqua che però ebbe un impatto notevole su un'industria ancora agli albori, offrendo alla concorrenza preziose indicazioni sul percorso da seguire. In meno di un decennio aziende come Atari, Coleco ed Epoch Co. cominciarono a inondare il mercato con un'enorme quantità di dispositivi, copiandosi l'un l'altra e spesso guerreggiando sulla proprietà di questo o quel brevetto. Conflitti che, in genere, non producevano nessun eco tra le file di un'utenza in continua crescita, seppur con ritmi decisamente diversi da quelli previsti dalle case produttrici. Con i magazzini pieni di console e il mercato ormai saturo, nel 1983 si arrivò al celebre "crac dei videogiochi", un disastro economico che portò alla bancarotta molte compagnie. A risollevare le sorti dell'industria arrivò poi Nintendo, che nel 1985 distribuì il suo NES anche negli Stati Uniti, ottenendo un successo che di fatto resuscitò il mercato videoludico occidentale.
Al termine dell'era degli 8-bit, la compagnia giapponese dominava quindi incontrastata nel settore del gaming, e i giocatori non avevano davvero alcun motivo per scontrarsi tra loro, se non sui campi di battaglia digitali. Alla fine degli anni ‘80, però, qualcosa cambiò. Determinata a vincere la guerra dei 16-bit, SEGA accompagnò il lancio del suo Mega Drive (che ancora oggi ricordiamo con nostalgia) con una strategia di marketing particolarmente aggressiva, progettata per valorizzare - in maniera fuorviante - i punti di forza della console rispetto alla sua diretta concorrente. Questi sono gli anni di "Genesis does what Nintendon't", di pubblicità create per convincere il pubblico a "cambiare bandiera" sfruttando la risonanza di feature inesistenti o mai realmente utilizzate, come il famoso "blast processing". La condotta di SEGA si rivelò particolarmente efficace con il pubblico statunitense, più sensibile a questo genere di tattiche antagonistiche, e permise all'azienda di guadagnare molto terreno rispetto alla generazione Master System.
Più in generale, in quel periodo non era raro che il cortile di una scuola si trasformasse nell'arena dove i sostenitori di Mario e Sonic si sfidavano a suon di sfottò e manifestazioni di presunta supremazia ludica. Erano chiaramente bambinate, discorsi fatti di slogan vuoti che - per quanto accaniti - non fecero altro che dare impulso a un'industria in piena espansione. Lontano dalle faide della ricreazione, il continuo botta e risposta tra Nintendo e SEGA alimentò una competizione che spinse entrambe le parti a dare il meglio di sé, regalando ai giocatori una valanga di esperienze memorabili. Alla fine dei giochi, il Mega Drive non superò mai le vendite del Super Nintendo, ma il "piano malvagio" di SEGA diede comunque buoni risultati. Seppur concettualmente spiacevole, insomma, la prima console war fu un fenomeno piuttosto circoscritto, soprattutto dal punto di vista demografico, che non guastò mai il clima giocoso tra le fila della platea.
Già in questa fase, però, possiamo riconoscere il "peccato originale" dell'industria: la volontà di alterare la percezione del pubblico ricorrendo a narrative bellicose che, in un modo o nell'altro, hanno lasciato un segno nella gaming culture. E arriviamo quindi al 1994, l'anno d'esordio di Sony nel mercato console e della definitiva consacrazione del 3D come nuova frontiera del videogioco. Dopo il fallimento dell'accordo con Nintendo per la produzione di un SNES con supporto ai CD-Rom, il colosso di Tokyo decise di unirsi alla concorrenza con una macchina estremamente versatile, progettata per accogliere un'offerta ludica in grado di suscitare l'interesse di un pubblico quantomai vasto. Il messaggio di Sony era chiaro: PlayStation è la scelta migliore per i giocatori di tutte le età. Questa divenne la colonna portante di una campagna pubblicitaria che recuperava alcuni degli aspetti di quella portata avanti qualche anno prima da SEGA, ma senza arrivare ai medesimi eccessi, con l'obiettivo di raggiungere una platea più matura e svincolare il videogioco dal concetto di "giocattolo ad alta tecnologia".
Col contributo di una libreria assolutamente incredibile, rinfoltita grazie a un supporto massiccio da parte delle grandi software house, Sony riuscì quindi in un'impresa ritenuta quasi impossibile: sottrarre a Nintendo la corona di re del mercato videoludico. Con oltre 100 milioni di PlayStation vendute, contro i 33 di Nintendo 64 e i 9 di Sega Saturn (la macchina che segnò l'inizio della fine del percorso di SEGA nel mercato dell'hardware), il nuovo arrivato Sony si portò a casa la generazione. Nintendo aveva dalla sua un gran numero di esclusive formidabili come Mario 64 e The Legend of Zelda: Ocarina of Time, ma la varietà dell'offerta di PlayStation era semplicemente insuperabile. In linea con la rotta segnata dal marketing, in questi anni la console war finì col coinvolgere nuove fasce d'utenza, ma di nuovo il conflitto riguardava più la lotta commerciale che lo scontro tra le diverse community. Bei tempi.
L'avvento del web
L'inizio del nuovo millennio vide l'ingresso in campo di un nuovo avversario per SEGA, Nintendo e Sony, che ancora una volta rivoluzionò gli equilibri dell'industria. La proposta di Microsoft era in buona sostanza un PC "vestito" da console, dotato di feature assolutamente innovative per il mercato di riferimento, tra cui un hard disk integrato e la possibilità di connettersi alla rete senza bisogno di periferiche aggiuntive. Una caratteristica, quest'ultima, già presente nel compianto Dreamcast (che abbiamo ricordato nel nostro speciale dei vent'anni del Dreamcast), una macchina avveniristica che purtroppo pagò lo scotto delle pessime strategie messe in atto da SEGA. Malgrado il successo esplosivo, Dreamcast uscì dai giochi ad appena due anni dal suo esordio, lasciando campo libero a PlayStation 2, Xbox e GameCube. Al netto di una proposta eccellente, la console di Nintendo portò a un'ulteriore contrazione delle vendite per la compagnia giapponese, che venne superata di poco dall'esordiente Microsoft e di gran lunga da una Sony apparentemente inarrestabile. Tornando al tema centrale della nostra disquisizione, più o meno in questo periodo il processo di "radicalizzazione" dell'utenza subì un'accelerazione piuttosto decisa, complice la proliferazione di forum e bacheche dedicate al medium tra le maglie della grande rete, che stava lentamente diventando una parte importante della quotidianità del pubblico.
La distanza tra gli interlocutori, colmata via etere dai nuovi strumenti di comunicazione, offrì terreno fertile per un generale inasprimento dei toni: la mancanza di un confronto diretto e immediato, l'inevitabile fallacia dell'espressione scritta, e la sicurezza data dall'anonimato potevano dare vita a zuffe che, in questa versione digitalizzata del cortile della scuola, degeneravano con grande facilità. In questo clima non esattamente idilliaco, la settima generazione di console si aprì con una svolta inattesa, anzi due. Fedele al percorso intrapreso con la prima Xbox, Microsoft formulò una proposta tanto malleabile dal punto di vista tecnico quanto efficace sul versante commerciale. Xbox 360 arrivò un anno prima della concorrenza, con un prezzo competitivo ed un harware estremamente versatile, progettato per facilitare il lavoro delle terze parti.
PlayStation 3 si presentò invece con una macchina tecnologicamente all'avanguardia, ma difficilissima da gestire al di fuori dei confini della compagnia, peraltro venduta a un prezzo significativamente superiore rispetto a quello di Xbox 360. Man mano che i punti deboli dell'offerta di Sony cominciarono a manifestarsi, Microsoft vide un fenomenale incremento dei dati di vendita, arrivando quasi a quadruplicare le cifre della generazione precedente. Malgrado tutto, però, Sony continuò a mantenere un margine di vantaggio consistente, col contributo di un'ampia gamma di esclusive che cementarono l'identità creativa dell'azienda, assieme alla fedeltà dei suoi estimatori. La seconda svolta generazionale fu quella segnata dall'esordio di Wii: nel 2006 la casa di Kyoto optò per un netto distanziamento dalle regole della concorrenza, con l'idea di esaltare quel concetto di "Nintendo difference" tanto caro ai fan della grande N. Con una macchina molto meno potente rispetto all'offerta degli avversari, ma dotata di caratteristiche uniche e particolarmente "family friendly", Nintendo vinse il confronto generazionale e si riappropriò della sua corona, grazie anche all'incredibile spinta garantita da Wii Sports (nato come tech demo e diventato una delle colonne portanti del successo della console).
Tra clamorosi errori di valutazione e straordinarie rimonte, la generazione si chiuse con un sorprendente equilibrio tra i diversi attori del mercato, ma nel sottobosco internettiano le cose erano ben diverse. La community di Xbox puntava il dito contro i problemi prestazionali di PS3, l'utenza PlayStation rivendicava la superiorità delle esclusive di Sony, ed entrambe non si risparmiavano nel definire Wii una "console per bambini". Dal canto loro, gli utenti di Nintendo erano molto meno coinvolti nelle faide tra le varie frange della platea, e saggiamente ne rimanevano fuori, seguendo la stessa filosofia della compagnia giapponese. In questo marasma di frecciate e battibecchi (totalmente insensati), la battaglia tra giocatori cominciò a spostarsi su un nuovo fronte, quello dei social network. Le cose, manco a dirlo, erano destinate a peggiorare.
L'ultimo fronte
Convinta di aver ritrovato la propria dimensione ideale nell'industria, Nintendo inaugurò la nuova generazione con Wii U, una macchina che, proprio come la precedente, proponeva un concept unico nel suo genere. A differenza di Wii, però, l'idea alla base della console non era poi così brillante: le next-gen di Nintendo non era né una console portatile, né un classico sistema da salotto, e le sue peculiarità portarono le terze parti a guardare altrove, assieme a una larga fetta dei fedelissimi. Un anno dopo, anche l'uscita di Xbox One segnò una battuta d'arresto per il successo commerciale delle console Microsoft. Dopo una presentazione con un focus eccessivo sulla dimensione multimediale della macchina, che tra l'altro anticipava pericolosamente il concetto di "always online", Xbox One raggiunse gli scaffali con un prezzo sensibilmente superiore rispetto a quello della concorrenza, soprattutto a causa dell'eccessiva fiducia riposta da Redmond nel Kinect, incluso a forza nel pacchetto di lancio. Sul fronte opposto, Sony puntò tutto sulla dimensione ludica di PlayStation 4, una console che ospitava un hardware ben più flessibile e performante di quello in dotazione a PS3, con un costo al dettaglio particolarmente invitante. A dare una spinta in più alla proposta di Sony arrivò anche il cosiddetto "resolution gate": Xbox One non riusciva infatti a raggiungere le stesse risoluzioni della sua diretta concorrente, e questo generò un importante moto di sfiducia nei confronti dell'offerta di Microsoft. Questa disparità ebbe chiaramente delle pesanti conseguenze per lo zoccolo duro di Xbox, che si ritrovò al centro di una delle pagine peggiori della console war con pochissime armi da schierare sul campo.
Gli equilibri erano di nuovo cambiati a favore di PlayStation, e la cassa di risonanza dei social network non mancava di sottolinearlo con valanghe di meme, battute e comparazioni derisorie. Nel corso degli anni Microsoft fece il possibile per recuperare terreno, tra revisioni hardware, grandi investimenti sui servizi e un lavoro costante sulla creazione di un ecosistema sempre più appetibile. Come si suol dire, però, la frittata era già fatta, specialmente per quel che riguarda il rapporto tra le community di Xbox e PlayStation.
L'esordio di Xbox One X permise all'utenza di Microsoft di ribaltare le logiche del "resolution gate" ai danni di PS4 Pro, cui i giocatori PlayStation ribattevano sbandierando un catalogo ricchissimo di esclusive di valore, contro cui i "crociati di Redmond" schieravano a loro volta il titano Game Pass, in una guerra fratricida foraggiata a colpi di marketing e scandita da battaglie tanto dissennate quanto inutili. In tutto questo, vale la pena di precisarlo, Nintendo ha continuato a seguire la sua strada: dopo la debacle di Wii U, Switch si è rivelata una macchina da gioco formidabile, e ancora una volta quasi totalmente estranea alle dinamiche tipiche della console war. Il resto è attualità: all'alba della nona generazione, a trent'anni dal primo scontro tra Nintendo e SEGA, le maglie comunitarie grondano ancora veleno, forse come mai prima d'ora.
Ripercorrendo le cronache della "console war", è chiaro come nel corso del tempo diversi fattori abbiano contribuito ad esacerbare sempre di più le dispute tra giocatori, portandole nell'attualità ad avere una portata senza precedenti, sia in termini di diffusione che di intensità. Senza necessariamente puntare il dito contro il web (sarebbe un po' da ipocriti), che resta uno straordinario strumento di comunicazione e accesso alle informazioni, è fuor di dubbio come alcune delle routine tipiche dell'interazione "2.0" abbiano favorito questo progressivo peggioramento. Da una parte abbiamo il già citato processo di "spersonalizzazione" degli interlocutori, che esaspera i difetti della comunicazione scritta (in primis, la difficile trasmissione dei toni utilizzati) e favorisce l'estremizzazione dei contenuti, anche per le caratteristiche di un mezzo che tende a minimizzare il peso delle parole usate, almeno dal punto di vista della percezione personale.
Le consuetudini del mondo digitale facilitano inoltre un "tribalismo" spesso esagerato, che sfocia in dinamiche di branco inopportunamente aggressive. In buona sostanza, il senso di validazione garantito da una "bolla social" può fomentare l'opposizione nei confronti di un altro gruppo, e radicalizzare ulteriormente una posizione o l'altra. Paradossalmente, anche la grande disponibilità di informazioni e pareri in rete può dare vita a meccanismi perversi: con una gamma praticamente infinita di opinioni e chiavi di lettura su qualsiasi argomento, si può avere la tendenza a filtrare solo quelle in linea col nostro pensiero, arrivando perfino a travisare del tutto la realtà delle cose, sempre a favor di scontro. L'aumento dell'età media dei giocatori ha inoltre aggiunto al bilancio della "console war" un nuovo elemento, legato a doppio filo all'investimento personale: dovendo spendere di tasca nostra dei soldi (e non pochi), non vogliamo che nessuno metta in dubbio la bontà del nostro acquisto.
C'è poi quella strana forma di rancore accumulato dal pubblico più "maturo" durante gli ultimi due scontri generazionali, senza considerare il fatto che - per ovvie ragioni - ci troviamo a vivere un periodo di particolare stress emotivo, e queste emozioni toccano ogni aspetto della nostra esistenza, compresi quelli meno importanti. Quest'ultimo punto, in particolare, ci porta a chiudere questo lungo discorso con una considerazione forse un po' paternalistica, ma purtroppo necessaria: la "console war" è uno scellerato esercizio di futilità, che non serve a nulla se non a farsi il sangue amaro. Il miglior ecosistema console è semplicemente quello in cui ci sentiamo meglio, quello più vicino alle nostre specifiche esigenze. Sulla base di questo semplice concetto, confrontarsi con chi ha fatto una scelta - totalmente fiduciaria, in questa fase - diversa dalla nostra non deve mai tramutarsi in una lotta, perché non ha alcun senso battersi per qualcosa che dovrebbe offrirci solamente divertimento.
E poco importa se si vede nella preferenza dell'altro il frutto di una certa disinformazione o di quell'orribile neologismo che è il "fanboismo": chi se ne frega. Lasciamo che a combattere siano i reparti marketing e le grandi compagnie, e fermiamo finalmente questo insensato gioco di schieramenti. Ci aspettano anni di grande divertimento, e davvero non ha senso viverli con un sottofondo di ottusa rivalità. In fondo, cari amici, sono "solo" videogiochi. Non dimentichiamocelo.
Console War: evoluzione e storia di un fenomeno sempre più radicato
Ripercorriamo l'evoluzione della così detta "console war" che da discussione da parchetto si è trasformata in uno schieramento internettiano.
L'alba di una nuova generazione di console è sempre un periodo di grande fermento per la community dei giocatori, che si appresta a muovere i primi passi lungo un percorso costellato di grandi soddisfazioni ludiche (a questo proposito vi rimandiamo alla nostra recensione di Xbox Series X e della recensione di PlayStation 5). Un sentimento diffuso che però deve fare i conti con il lato oscuro dell'avvicendamento generazionale: una piaga annosa e sorprendentemente resistente, nota ai più come "console war". In questo articolo cercheremo di ripercorrere le principali tappe storiche di questo flagello dilagante, cercando di sottolineare come darsi alla "console war" sia utile quanto fare la messa in piega allo zerbino di casa.
La prima console war
La nostra storia si apre in un passato ormai lontano: un tempo di pace, in cui le fiamme della console war non erano altro che flebili scintille cullate dal vento di un entusiasmo diffuso. Nel 1972 Magnavox lanciò sul mercato la sua Odyssey, ovvero la prima console casalinga pensata per il grande mercato. Arrivata sugli scaffali con un prezzo largamente ritenuto troppo alto per la natura del prodotto, e accompagnata da una campagna pubblicitaria piuttosto carente, la macchina si rivelò un insuccesso commerciale. Un buco nell'acqua che però ebbe un impatto notevole su un'industria ancora agli albori, offrendo alla concorrenza preziose indicazioni sul percorso da seguire. In meno di un decennio aziende come Atari, Coleco ed Epoch Co. cominciarono a inondare il mercato con un'enorme quantità di dispositivi, copiandosi l'un l'altra e spesso guerreggiando sulla proprietà di questo o quel brevetto. Conflitti che, in genere, non producevano nessun eco tra le file di un'utenza in continua crescita, seppur con ritmi decisamente diversi da quelli previsti dalle case produttrici. Con i magazzini pieni di console e il mercato ormai saturo, nel 1983 si arrivò al celebre "crac dei videogiochi", un disastro economico che portò alla bancarotta molte compagnie. A risollevare le sorti dell'industria arrivò poi Nintendo, che nel 1985 distribuì il suo NES anche negli Stati Uniti, ottenendo un successo che di fatto resuscitò il mercato videoludico occidentale.
Al termine dell'era degli 8-bit, la compagnia giapponese dominava quindi incontrastata nel settore del gaming, e i giocatori non avevano davvero alcun motivo per scontrarsi tra loro, se non sui campi di battaglia digitali. Alla fine degli anni ‘80, però, qualcosa cambiò. Determinata a vincere la guerra dei 16-bit, SEGA accompagnò il lancio del suo Mega Drive (che ancora oggi ricordiamo con nostalgia) con una strategia di marketing particolarmente aggressiva, progettata per valorizzare - in maniera fuorviante - i punti di forza della console rispetto alla sua diretta concorrente. Questi sono gli anni di "Genesis does what Nintendon't", di pubblicità create per convincere il pubblico a "cambiare bandiera" sfruttando la risonanza di feature inesistenti o mai realmente utilizzate, come il famoso "blast processing". La condotta di SEGA si rivelò particolarmente efficace con il pubblico statunitense, più sensibile a questo genere di tattiche antagonistiche, e permise all'azienda di guadagnare molto terreno rispetto alla generazione Master System.
Più in generale, in quel periodo non era raro che il cortile di una scuola si trasformasse nell'arena dove i sostenitori di Mario e Sonic si sfidavano a suon di sfottò e manifestazioni di presunta supremazia ludica. Erano chiaramente bambinate, discorsi fatti di slogan vuoti che - per quanto accaniti - non fecero altro che dare impulso a un'industria in piena espansione. Lontano dalle faide della ricreazione, il continuo botta e risposta tra Nintendo e SEGA alimentò una competizione che spinse entrambe le parti a dare il meglio di sé, regalando ai giocatori una valanga di esperienze memorabili. Alla fine dei giochi, il Mega Drive non superò mai le vendite del Super Nintendo, ma il "piano malvagio" di SEGA diede comunque buoni risultati. Seppur concettualmente spiacevole, insomma, la prima console war fu un fenomeno piuttosto circoscritto, soprattutto dal punto di vista demografico, che non guastò mai il clima giocoso tra le fila della platea.
Già in questa fase, però, possiamo riconoscere il "peccato originale" dell'industria: la volontà di alterare la percezione del pubblico ricorrendo a narrative bellicose che, in un modo o nell'altro, hanno lasciato un segno nella gaming culture. E arriviamo quindi al 1994, l'anno d'esordio di Sony nel mercato console e della definitiva consacrazione del 3D come nuova frontiera del videogioco. Dopo il fallimento dell'accordo con Nintendo per la produzione di un SNES con supporto ai CD-Rom, il colosso di Tokyo decise di unirsi alla concorrenza con una macchina estremamente versatile, progettata per accogliere un'offerta ludica in grado di suscitare l'interesse di un pubblico quantomai vasto. Il messaggio di Sony era chiaro: PlayStation è la scelta migliore per i giocatori di tutte le età. Questa divenne la colonna portante di una campagna pubblicitaria che recuperava alcuni degli aspetti di quella portata avanti qualche anno prima da SEGA, ma senza arrivare ai medesimi eccessi, con l'obiettivo di raggiungere una platea più matura e svincolare il videogioco dal concetto di "giocattolo ad alta tecnologia".
Col contributo di una libreria assolutamente incredibile, rinfoltita grazie a un supporto massiccio da parte delle grandi software house, Sony riuscì quindi in un'impresa ritenuta quasi impossibile: sottrarre a Nintendo la corona di re del mercato videoludico. Con oltre 100 milioni di PlayStation vendute, contro i 33 di Nintendo 64 e i 9 di Sega Saturn (la macchina che segnò l'inizio della fine del percorso di SEGA nel mercato dell'hardware), il nuovo arrivato Sony si portò a casa la generazione. Nintendo aveva dalla sua un gran numero di esclusive formidabili come Mario 64 e The Legend of Zelda: Ocarina of Time, ma la varietà dell'offerta di PlayStation era semplicemente insuperabile. In linea con la rotta segnata dal marketing, in questi anni la console war finì col coinvolgere nuove fasce d'utenza, ma di nuovo il conflitto riguardava più la lotta commerciale che lo scontro tra le diverse community. Bei tempi.
L'avvento del web
L'inizio del nuovo millennio vide l'ingresso in campo di un nuovo avversario per SEGA, Nintendo e Sony, che ancora una volta rivoluzionò gli equilibri dell'industria. La proposta di Microsoft era in buona sostanza un PC "vestito" da console, dotato di feature assolutamente innovative per il mercato di riferimento, tra cui un hard disk integrato e la possibilità di connettersi alla rete senza bisogno di periferiche aggiuntive. Una caratteristica, quest'ultima, già presente nel compianto Dreamcast (che abbiamo ricordato nel nostro speciale dei vent'anni del Dreamcast), una macchina avveniristica che purtroppo pagò lo scotto delle pessime strategie messe in atto da SEGA. Malgrado il successo esplosivo, Dreamcast uscì dai giochi ad appena due anni dal suo esordio, lasciando campo libero a PlayStation 2, Xbox e GameCube. Al netto di una proposta eccellente, la console di Nintendo portò a un'ulteriore contrazione delle vendite per la compagnia giapponese, che venne superata di poco dall'esordiente Microsoft e di gran lunga da una Sony apparentemente inarrestabile. Tornando al tema centrale della nostra disquisizione, più o meno in questo periodo il processo di "radicalizzazione" dell'utenza subì un'accelerazione piuttosto decisa, complice la proliferazione di forum e bacheche dedicate al medium tra le maglie della grande rete, che stava lentamente diventando una parte importante della quotidianità del pubblico.
La distanza tra gli interlocutori, colmata via etere dai nuovi strumenti di comunicazione, offrì terreno fertile per un generale inasprimento dei toni: la mancanza di un confronto diretto e immediato, l'inevitabile fallacia dell'espressione scritta, e la sicurezza data dall'anonimato potevano dare vita a zuffe che, in questa versione digitalizzata del cortile della scuola, degeneravano con grande facilità. In questo clima non esattamente idilliaco, la settima generazione di console si aprì con una svolta inattesa, anzi due. Fedele al percorso intrapreso con la prima Xbox, Microsoft formulò una proposta tanto malleabile dal punto di vista tecnico quanto efficace sul versante commerciale. Xbox 360 arrivò un anno prima della concorrenza, con un prezzo competitivo ed un harware estremamente versatile, progettato per facilitare il lavoro delle terze parti.
PlayStation 3 si presentò invece con una macchina tecnologicamente all'avanguardia, ma difficilissima da gestire al di fuori dei confini della compagnia, peraltro venduta a un prezzo significativamente superiore rispetto a quello di Xbox 360. Man mano che i punti deboli dell'offerta di Sony cominciarono a manifestarsi, Microsoft vide un fenomenale incremento dei dati di vendita, arrivando quasi a quadruplicare le cifre della generazione precedente. Malgrado tutto, però, Sony continuò a mantenere un margine di vantaggio consistente, col contributo di un'ampia gamma di esclusive che cementarono l'identità creativa dell'azienda, assieme alla fedeltà dei suoi estimatori. La seconda svolta generazionale fu quella segnata dall'esordio di Wii: nel 2006 la casa di Kyoto optò per un netto distanziamento dalle regole della concorrenza, con l'idea di esaltare quel concetto di "Nintendo difference" tanto caro ai fan della grande N. Con una macchina molto meno potente rispetto all'offerta degli avversari, ma dotata di caratteristiche uniche e particolarmente "family friendly", Nintendo vinse il confronto generazionale e si riappropriò della sua corona, grazie anche all'incredibile spinta garantita da Wii Sports (nato come tech demo e diventato una delle colonne portanti del successo della console).
Tra clamorosi errori di valutazione e straordinarie rimonte, la generazione si chiuse con un sorprendente equilibrio tra i diversi attori del mercato, ma nel sottobosco internettiano le cose erano ben diverse. La community di Xbox puntava il dito contro i problemi prestazionali di PS3, l'utenza PlayStation rivendicava la superiorità delle esclusive di Sony, ed entrambe non si risparmiavano nel definire Wii una "console per bambini". Dal canto loro, gli utenti di Nintendo erano molto meno coinvolti nelle faide tra le varie frange della platea, e saggiamente ne rimanevano fuori, seguendo la stessa filosofia della compagnia giapponese. In questo marasma di frecciate e battibecchi (totalmente insensati), la battaglia tra giocatori cominciò a spostarsi su un nuovo fronte, quello dei social network. Le cose, manco a dirlo, erano destinate a peggiorare.
L'ultimo fronte
Convinta di aver ritrovato la propria dimensione ideale nell'industria, Nintendo inaugurò la nuova generazione con Wii U, una macchina che, proprio come la precedente, proponeva un concept unico nel suo genere. A differenza di Wii, però, l'idea alla base della console non era poi così brillante: le next-gen di Nintendo non era né una console portatile, né un classico sistema da salotto, e le sue peculiarità portarono le terze parti a guardare altrove, assieme a una larga fetta dei fedelissimi. Un anno dopo, anche l'uscita di Xbox One segnò una battuta d'arresto per il successo commerciale delle console Microsoft. Dopo una presentazione con un focus eccessivo sulla dimensione multimediale della macchina, che tra l'altro anticipava pericolosamente il concetto di "always online", Xbox One raggiunse gli scaffali con un prezzo sensibilmente superiore rispetto a quello della concorrenza, soprattutto a causa dell'eccessiva fiducia riposta da Redmond nel Kinect, incluso a forza nel pacchetto di lancio. Sul fronte opposto, Sony puntò tutto sulla dimensione ludica di PlayStation 4, una console che ospitava un hardware ben più flessibile e performante di quello in dotazione a PS3, con un costo al dettaglio particolarmente invitante. A dare una spinta in più alla proposta di Sony arrivò anche il cosiddetto "resolution gate": Xbox One non riusciva infatti a raggiungere le stesse risoluzioni della sua diretta concorrente, e questo generò un importante moto di sfiducia nei confronti dell'offerta di Microsoft. Questa disparità ebbe chiaramente delle pesanti conseguenze per lo zoccolo duro di Xbox, che si ritrovò al centro di una delle pagine peggiori della console war con pochissime armi da schierare sul campo.
Gli equilibri erano di nuovo cambiati a favore di PlayStation, e la cassa di risonanza dei social network non mancava di sottolinearlo con valanghe di meme, battute e comparazioni derisorie. Nel corso degli anni Microsoft fece il possibile per recuperare terreno, tra revisioni hardware, grandi investimenti sui servizi e un lavoro costante sulla creazione di un ecosistema sempre più appetibile. Come si suol dire, però, la frittata era già fatta, specialmente per quel che riguarda il rapporto tra le community di Xbox e PlayStation.
L'esordio di Xbox One X permise all'utenza di Microsoft di ribaltare le logiche del "resolution gate" ai danni di PS4 Pro, cui i giocatori PlayStation ribattevano sbandierando un catalogo ricchissimo di esclusive di valore, contro cui i "crociati di Redmond" schieravano a loro volta il titano Game Pass, in una guerra fratricida foraggiata a colpi di marketing e scandita da battaglie tanto dissennate quanto inutili. In tutto questo, vale la pena di precisarlo, Nintendo ha continuato a seguire la sua strada: dopo la debacle di Wii U, Switch si è rivelata una macchina da gioco formidabile, e ancora una volta quasi totalmente estranea alle dinamiche tipiche della console war. Il resto è attualità: all'alba della nona generazione, a trent'anni dal primo scontro tra Nintendo e SEGA, le maglie comunitarie grondano ancora veleno, forse come mai prima d'ora.
Ripercorrendo le cronache della "console war", è chiaro come nel corso del tempo diversi fattori abbiano contribuito ad esacerbare sempre di più le dispute tra giocatori, portandole nell'attualità ad avere una portata senza precedenti, sia in termini di diffusione che di intensità. Senza necessariamente puntare il dito contro il web (sarebbe un po' da ipocriti), che resta uno straordinario strumento di comunicazione e accesso alle informazioni, è fuor di dubbio come alcune delle routine tipiche dell'interazione "2.0" abbiano favorito questo progressivo peggioramento. Da una parte abbiamo il già citato processo di "spersonalizzazione" degli interlocutori, che esaspera i difetti della comunicazione scritta (in primis, la difficile trasmissione dei toni utilizzati) e favorisce l'estremizzazione dei contenuti, anche per le caratteristiche di un mezzo che tende a minimizzare il peso delle parole usate, almeno dal punto di vista della percezione personale.
Le consuetudini del mondo digitale facilitano inoltre un "tribalismo" spesso esagerato, che sfocia in dinamiche di branco inopportunamente aggressive. In buona sostanza, il senso di validazione garantito da una "bolla social" può fomentare l'opposizione nei confronti di un altro gruppo, e radicalizzare ulteriormente una posizione o l'altra. Paradossalmente, anche la grande disponibilità di informazioni e pareri in rete può dare vita a meccanismi perversi: con una gamma praticamente infinita di opinioni e chiavi di lettura su qualsiasi argomento, si può avere la tendenza a filtrare solo quelle in linea col nostro pensiero, arrivando perfino a travisare del tutto la realtà delle cose, sempre a favor di scontro. L'aumento dell'età media dei giocatori ha inoltre aggiunto al bilancio della "console war" un nuovo elemento, legato a doppio filo all'investimento personale: dovendo spendere di tasca nostra dei soldi (e non pochi), non vogliamo che nessuno metta in dubbio la bontà del nostro acquisto.
C'è poi quella strana forma di rancore accumulato dal pubblico più "maturo" durante gli ultimi due scontri generazionali, senza considerare il fatto che - per ovvie ragioni - ci troviamo a vivere un periodo di particolare stress emotivo, e queste emozioni toccano ogni aspetto della nostra esistenza, compresi quelli meno importanti. Quest'ultimo punto, in particolare, ci porta a chiudere questo lungo discorso con una considerazione forse un po' paternalistica, ma purtroppo necessaria: la "console war" è uno scellerato esercizio di futilità, che non serve a nulla se non a farsi il sangue amaro. Il miglior ecosistema console è semplicemente quello in cui ci sentiamo meglio, quello più vicino alle nostre specifiche esigenze. Sulla base di questo semplice concetto, confrontarsi con chi ha fatto una scelta - totalmente fiduciaria, in questa fase - diversa dalla nostra non deve mai tramutarsi in una lotta, perché non ha alcun senso battersi per qualcosa che dovrebbe offrirci solamente divertimento.
E poco importa se si vede nella preferenza dell'altro il frutto di una certa disinformazione o di quell'orribile neologismo che è il "fanboismo": chi se ne frega. Lasciamo che a combattere siano i reparti marketing e le grandi compagnie, e fermiamo finalmente questo insensato gioco di schieramenti. Ci aspettano anni di grande divertimento, e davvero non ha senso viverli con un sottofondo di ottusa rivalità. In fondo, cari amici, sono "solo" videogiochi. Non dimentichiamocelo.
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