Cyberpunk 2077: quanto siamo vicini alla tecnologia del gioco CD Projekt?

In vista di Cyberpunk 2077, ci siamo chiesti quanto fossimo effettivamente vicini a quell'orizzonte tecnologico. La riposta è: più di quanto immaginate.

Cyberpunk 2077: quanto siamo vicini alla tecnologia del gioco CD Projekt?
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  • Dopo il pirotecnico annuncio della data di uscita sul palco della conferenza di Microsoft all'E3 2019, e l'ingresso di sua santità Keanu Reeves nel cast dei personaggi, l'hype per Cyberpunk 2077 ha ormai raggiunto livelli siderali. Il titolo di CD Projekt RED promette di offrire al pubblico una tra le migliori esperienze del filone inaugurato da Saint Willie (il nomignolo di William Gibson nel gioco di Pondsmith), forte di un comparto ludico-narrativo eccezionalmente ambizioso.

    Per ingannare l'attesa, e preparare i sensi alla tempesta di follia transumanista del gioco, abbiamo pensato di fare il punto sulle tecnologie che troveremo tra i vicoli degradati di Night City, con l'obiettivo di rispondere alla domanda: quanto siamo effettivamente vicini al mondo di Cyberpunk 2077.

    Spoiler: un sacco. Un pezzo che, a causa il ciclone di polemiche fallo-centriche emerse nelle settimane immediatamente successive all'E3, purtroppo non approfondirà la tecnologia alla base del progetto top secret noto come "stantuffo protonico" ma, hey, c'è comunque tanta roba di cui parlare.

    Wetware

    Per wetware si intende, in linea di massima, l'interazione tra cervello umano e software. Una definizione che, nel contesto di di Cyberpunk 2077, va a braccetto con quella di BCI (Brain Computer Interface), ovvero l'insieme delle tecnologie che permettono una comunicazione diretta tra l'encefalo e vari tipi di macchine.

    Il funzionamento classico di una BCI si snoda su tre passaggi fondamentali: la raccolta dei segnali cerebrali, la loro interpretazione e la trasmissione dei comandi elaborati a una macchina in grado di eseguirli. Si tratta di un campo di ricerca estremamente complesso e multidisciplinare, con applicazioni generalmente legate all'ambito medico, dal recupero delle funzionalità sensoriali e motorie (in caso di lesioni neurologiche) alla protesica avanzata. Al momento esistono tre categorie di BCI, ognuna con uno specifico rapporto tra svantaggi e benefici: gli impianti non invasivi, generalmente collocati all'esterno del cranio, quelli semi-invasivi posizionati chirurgicamente sopra o sotto la dura madre (una membrana fibrosa che avvolge l'encefalo), e quelli invasivi innestati direttamente nella corteccia. Se questi ultimi, come intuibile, garantiscono una maggiore "qualità del segnale" e permettono di raggiungere diverse aree del cervello, la possibilità che l'apparecchio venga rigettato - provocando la proliferazione di tessuto cicatriziale - è un rischio fin troppo concreto. E sì, avere un processo infiammatorio attivo nel cranio innesca uno scenario tutt'altro che roseo, senza tirare in ballo le implicazioni etiche di questo genere di interventi.

    Bisogna poi tenere a mente che siamo ancora molto lontani dal comprendere fino in fondo il modo in cui il cervello elabora le informazioni, specialmente considerando che ogni singolo individuo vanta - in questo senso - caratteristiche uniche. Le BCI integrate potrebbero però permetterci di migliorare le nostre conoscenze sulle funzionalità cerebrali profonde, e rappresentano sicuramente la frontiera più squisitamente "cyberpunk" di questo costola delle neuroscienze.

    Non a caso i fronti d'investimento sono molteplici, specialmente nel settore privato, ma per le finalità di questo articolo ci limiteremo a citarne tre. Lo scorso anno Facebook ha annunciato di aver avviato un progetto biennale, in collaborazione con un buon numero di realtà accademiche eccellenti ( Johns Hopkins Medicine, Johns Hopkins University's Applied Physics Laboratory, UC San Francisco, UC Berkeley e Washington University School of Medicine), per elaborare un sistema di comunicazione che permetta, tramite neuroimaging e machine learning, di comunicare via internet senza bisogno di digitare fisicamente su una tastiera.

    L'obiettivo è quello di trasformare il pensiero in linguaggio scritto e poi di nuovo in frequenze che il cervello sia in grado di elaborare come suoni. In pratica la lettura della mente sponsorizzata da Facebook. Pausa brividi. Kernel, startup da 100 milioni di dollari creata dall'americano Bryan Johnson, si muove invece nell'ambito delle applicazioni mediche, con BCI pensate per compensare i danni delle malattie neurodegenerative (al momento stanno lavorando a un sistema per trattare il morbo di Parkinson). Il piano a lungo termine è però quello di perfezionare la nostra comprensione del cervello, avviando un percorso di coevoluzione uomomacchina per rendere l'essere umano più intelligente. Un traguardo condiviso, seppur con finalità diverse, anche dalla Neuralink di Elon Musk. Il visionario imprenditore vorrebbe creare, nel giro di un quinquennio (per il modello iniziale), un "laccio neurale" biocompatibile che permetta alle persone di tenere il passo con il progresso delle intelligenze artificiali, che la sua BCI dovrebbe sfruttare come strumento di elaborazione esterno per potenziare le capacità cognitive organiche.

    Le ambizioni di questo progetto, con "un milione di neuroni registrati in tempo reale", sono nettamente superiori rispetto a quelle della concorrenza e puntano chiaramente nella direzione del cyberpunk più spinto. Per Musk si tratta inoltre di un metodo per arginare una possibile ribellione delle IA, un'eventualità che l'inventore considera, al pari del compianto Stephen Hawking, decisamente plausibile e preoccupante. Vi concediamo qualche istante per pensare a un qualsiasi film di Terminator.

    Magari a uno di quelli belli. Per quanto stimolanti siano queste tecnologie, è comunque difficile stabilire quanto i ricercatori siano realmente vicini a ottenere risultati concreti, e bisogna poi valutare quanto tempo impiegheranno le stesse per diventare economicamente sostenibili. La più grande incognita riguarda però l'ambito etico, visto che l'obiettivo condiviso è quello di creare un'autostrada informatizzata - e potenzialmente violabile - verso l'epicentro delle nostre menti. Sì, forse è il caso di iscriversi a un corso serale da "netrunner".

    Megacorporazioni

    Le megacorporazioni non esistono. Sia lode ai nostri signori megacorporativi.


    Cyberware

    Prima di snocciolare l'argomento in questione, indissolubilmente legato all'immaginario del potenziamento cibernetico, vale la pena di precisare un punto chiave: se a solleticarvi è l'idea di ridurre in polvere un blocco di cemento con un assolo di cazzotti... beh, siamo ancora abbastanza lontani. Purtroppo. Detto questo, la protesica avanzata ha da qualche anno raggiunto livelli stupefacenti, arrivando a proporre arti sintetici in grado di sopperire in maniera piuttosto efficiente alle capacità perse in seguito ad eventi traumatici.

    Il capofila scientifico di questa "corsa al potenziamento" è l'americana John Hopkins University che, col contributo del DARPA (la divisione per lo sviluppo di nuove tecnologie dell'esercito statunitense), continua a sviluppare protesi robotiche sempre più avanzate. Negli ultimi cinque anni i ricercatori hanno messo a punto e sperimentato un buon numero di prototipi pienamente funzionanti, alcuni dei quali in grado di restituire ai pazienti sensazioni tattili vere e proprie. Un traguardo raggiunto seguendo due percorsi differenti e paralleli: utilizzando le BCI per tradurre il pensiero in azione, o progettando unità di controllo indossabili in grado di interpretare gli impulsi dei nervi periferici. Quest'ultimo filone di ricerca è quello che, nell'attuale congiuntura tecnologica, ha offerto i risultati migliori, permettendo a pazienti amputati di riconquistare una forma ridotta di percezione aptica, utilissima per manipolare con precisione oggetti fragili e, più in generale, interagire col mondo esterno.

    Un piccolo miracolo ottenuto collocando stimolatori a bassa frequenza nella parte terminale dei nervi recisi, in modo da insegnare al cervello ad associare autonomamente queste nuove sensazioni alla pressione della mano su un oggetto. Per quanto questi arti sostitutivi siano fattivamente in grado di sostituire le controparti organiche nella gran parte delle attività quotidiane, ci sono ancora dei limiti piuttosto netti con cui ricercatori e soggetti devono fare i conti.

    Tanto per cominciare, una delle grandi sfide è quella di bilanciare correttamente form factor, peso, autonomia e motilità. Basti pensare che i modelli più avanzati contano almeno due decine di articolazioni dotate di attuatori e micromotori, ma comunque non riescono a sopperire al 100% delle funzionalità di un arto in carne ed ossa. I limiti della robotica rendono infatti difficile replicare l'armonia di un movimento naturale, complice anche la complessità del processo di elaborazione degli impulsi.

    Il tutto a fronte di un costo milionario tra sviluppo e realizzazione, per protesi che devono ovviamente essere personalizzate sulla base delle caratteristiche anatomiche di ciascun individuo. Esistono ovviamente alternative dai costi più contenuti, come quella proposta dalla britannica Touch Bionics, l'azienda produttrice delle prime mani bioniche "commerciali". Per mantenere il prezzo tra i 30.000 e i 70.000 euro, la soluzione scelta dalla compagnia di Bertolt Meyer unisce stampa 3D e robotica per produrre protesi dotate di una serie di pattern di movimento predefiniti, selezionabili tramite un'app per cellulare, che possono essere avviati utilizzando la muscolatura del segmento residuo dell'arto. Meyer, da molti ritenuto un precursore del transumanesimo, ha anche messo a punto una pelle sintetica del tutto simile a quella organica, utilizzata qualche anno fa per mettere insieme il primo "uomo bionico": un inquietante assemblato di tecnologia all'avanguardia con la piacevolezza estetica di un incubo lovecraftiano.

    Esoscheletri potenziati

    Sebbene il concetto di "esoscheletro potenziato" non preveda, almeno per il momento, la possibilità di sollevare carri armati e utilizzarli come mazze da cricket improvvisate, questo specifico ambito dell'immaginario cyberpunk è probabilmente quello più vicino alla realtà dei giorni nostri. Tanto per farvi un esempio, infatti, grandi aziende come la Ford hanno già iniziato a dotare i propri impiegati di esoscheletri in grado di alleggerire - in tutti i sensi - il loro lavoro alla catena di montaggio.

    Questo grazie ai dispositivi indossabili dell'americana EksoBionics, che offrono agli operai un aiuto meccanico nel sollevare carichi pesanti e mantenere a lungo le posizioni di lavoro più stancanti. Sebbene le dotazioni dell'EksoVest aggiungano appena 5 kg alla forza di sollevamento, si tratta di un apparecchiatura capace di rivoluzionare in toto la quotidianità dei lavoratori. Altre aziende come la SuitX stanno mettendo a punto anche esoscheletri per aiutare soggetti con abilità motorie ridotte, ovvero supporti sviluppati per sostenere la schiena e gli arti inferiori, con un paio di attuatori che permettono di camminare senza dover sostenere in pieno il peso del corpo. Un tipo di design sfruttato, con fini ben diversi, anche da esoscheletri militari come l'HULC (Human Universal Load Carrier) della Lockheed Martin, un apparecchio pensato per garantire ai soldati sul campo una maggiore versatilità in condizioni particolarmente difficili. L'HULC permette infatti di sostenere con le gambe carichi pesanti (armi d'artiglieria o strumentazione), sfruttando un insieme di micromotori e attuatori alimentati da diverse batterie ai polimeri di litio.
    A seconda delle necessità, l'esoscheletro può essere dotato di vari accessori tattici (come sistemi di puntamento o armi indossabili) e armature, il tutto senza sacrificare capacità di movimento e agilità. Insomma, non siamo proprio ai livelli di Crysis (avete dato un'occhiata a Crysis in Ray Tracing?) ma, beh, da qualche parte bisogna pur partire.

    Smart Weapon

    Per quanto la tecnologia alla base delle Smart Weapon di Cyberpunk 2077 sia - per forza di cose - ben più avanzata rispetto a quella attualmente disponibile, negli ultimi anni l'industria militare ha sfornato prototipi sorprendentemente avveniristici, al limite del fantascientifico. Ne è un esempio il programma EXACTO della DARPA, che punta a creare armamenti e munizioni da fanteria dotate di un sistema di guida in grado di cambiare la traiettoria in volo.

    Se l'obiettivo a lungo termine è quello di estendere questa funzionalità a ogni tipo di arma, i primi test con fucili da cecchino calibro .50 hanno già dimostrato la solidità del progetto: durante le prove, i colpi sparati dai tiratori sono riusciti ad adattarsi dinamicamente alle condizioni atmosferiche e ai movimenti del bersaglio, centrandolo nella maggior parte dei casi. Un obiettivo raggiunto grazie all'utilizzo di proiettili speciali e particolari ottiche all'avanguardia, capaci di modificare in tempo reale il percorso del proiettile verso l'oggetto inquadrato.

    Meno impressionante, ma comunque efficacissima, è la soluzione proposta dalla texana TrackingPoint, che già da qualche anno propone mirini progettati per fornire ai soldati indicazioni sulla traiettoria ideale in base alle variabili coinvolte in ciascun colpo. I principali limiti di queste tecnologie, al momento, sono riconducibili a due fattori: gli altissimi costi di produzione e l'occasionale inaffidabilità dei software utilizzati, peraltro afflitti da una certa permeabilità agli attacchi informatici. Perché nessuno vuole ritrovarsi a giocare a scacchi con l'oscura meretrice (refuso intenzionale) dopo un "effetto boomerang" imprevisto. Discorso diverso per quanto riguarda le armi dotate di riconoscimento personale, uno dei temi più controversi della moderna industria bellica. Avete presente Metal Gear Solid 4? Ecco, quella roba lì. Alla fine degli anni ‘90 l'americana Smith & Wesson, col supporto dell'allora presidente Bill Clinton, decise di investire nello sviluppo di pistole dotate di strumenti in grado di identificare il proprietario e sparare solo se nelle "mani giuste".

    Al tempo si sperimentarono diverse soluzioni, dal riconoscimento dell'impronta digitale alla lettura dei dati biometrici, ma già nelle fasi preliminari il progetto venne fortemente osteggiato da associazioni come la potentissima National Rifle Association, che temeva una riduzione sostanziale nella diffusione e nell'accessibilità delle armi da fuoco. Una scenario da incubo per i fan del grilletto facile.

    Fomentati dalle dichiarazioni diffamatorie della NRA, i consumatori si opposero in forze all'iniziativa, innescando un effetto domino che portò l'intera industria ad abbandonare del tutto l'idea. Pertanto sono poche, al momento, le armi di questo genere ad aver effettivamente raggiunto il mercato. La più famosa di queste è l'Armatix iP1, una calibro .22 che può sparare solo se l'utilizzatore porta indosso l'orologio venduto assieme all'arma.

    Prima di chiudere questo pezzo sul promettente - e spaventoso - campo del potenziamento transumano, vi invitiamo a suggerirci nei commenti qualche altra tecnologia cyberpunk da approfondire in futuri articoli. E no, non torneremo mai più sull'argomento "stantuffo protonico".

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