Da Heavenly Sword a Hellblade, ripercorriamo la storia di Ninja Theory

In vista dell'imminente pubblicazione di Hellblade Senua's Sacrifice (in arrivo l'8 agosto) ripercorriamo la storia dello studio Ninja Theory.

Da Heavenly Sword a Hellblade, ripercorriamo la storia di Ninja Theory
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  • Pc
  • PS4
  • Switch
  • PS4 Pro
  • Una storia bella movimentata quella dei ragazzi di Ninja Theory, una di quelle che un po' ti tengono col fiato sospeso, pronte a colpirti in pieno volto con un nuovo, inatteso colpo di scena. Il ciclo vitale dello studio fondato a Cambridge nel 2000 con il nome di Just Add Monsters può essere paragonato ad una vera e propria montagna russa, un alternarsi di periodi caratterizzati da tanto lavoro e fertilità creativa, da alternare a scorci di oscurità e incertezze, accompagnati da rumor sempre pronti ad insinuare che lo stato di salute del team di sviluppo e dei relativi progetti fosse tutt'altro che positivo. Fortunatamente, al di là di tutte le avversità incontrate lungo il cammino, Ninja Theory conserva ancora oggi una forte personalità, declinata nel corso di una carriera costellata di un numero relativamente contenuto di opere, sempre pronte però a dividere l'opinione di critica e pubblico, costantemente caratterizzate da una visione creativa originale e avanguardista. A pochi giorni dalla pubblicazione dell'ultima fatica dei ragazzi di Cambridge, quell'Hellblade Senua's Sacrifice che a lungo si è fatto attendere, ripercorriamone la storia attraverso le principali produzioni, riscopriamone insieme i tanti pregi così come tutti quegli elementi che hanno suscitato forte scalpore nella community tutta, mentre ci avviciniamo all'incubo ad occhi aperti della coraggiosa guerriera vichinga, pronto a scatenarsi su Ps4 e PC a partire dal prossimo 8 agosto.

    Dal purgatorio al paradiso

    Un connubio quello tra Ninja Theory e le avversità che inaugura la sua influenza già nel 2005, anno in cui lo studio inglese si ritrova ad un passo dalla chiusura. A capovolgerne le sorti interviene Sony Computer Entertainment, che offre un contratto per lo sviluppo di un titolo dedicato alla futura Playstation 3: una vera e propria manna dal cielo per Ninja Theory, la migliore delle occasioni per potersi sottrarre ad un destino già scritto e dimostrare così di avere ancora tanto talento da porre al servizio dell'industria. La voglia di riscatto partorirà uno dei titoli di lancio più apprezzati, ma anche più discussi, di Playstation 3, ovvero Heavenly Sword.
    Ai Ninja Theory il coraggio di prendere decisioni in controtendenza non manca di certo, e così, in un panorama videoludico dove associare al proprio prodotto una protagonista femminile veniva percepita ancora come una scelta sconveniente, ecco spuntare la feroce guerriera Nariko, determinata e ricca di personalità. La folta e appariscente chioma rossa della protagonista nasconde in realtà un'anima fragile, una ragazza in cerca di se stessa, che vuole dimostrare il proprio coraggio ad un padre non dei più affettuosi, così come a tutto il suo clan: un'eroina in cerca di identità, di autoaffermazione, che non esiterà a sacrificare la propria libertà e il proprio spirito per una causa ben più grande di lei. Un action game furioso e condensato Heavenly Sword, forse sin troppo dal momento che una delle principali critiche mosse all'opera risiede proprio nella sua contenuta longevità: ma anche un biglietto da visita tutt'altro che banale quello dei Ninja Theory, impegnati nel tratteggiare un mondo pulsante e vitale, costruito attorno a profezie e leggende, che vedono contrapporsi il bene e il male in una lotta destinata a concludersi grazie al potere di una spada dall'incredibile potenziale, che nasconderà dietro la propria e multiforme lama più di un oscuro segreto.

    Oltre alla grande cura riposta nella riproduzione di un universo narrativo coerente e affascinante, Heavenly Sword porta con sé altri tratti che caratterizzeranno i futuri lavori dello studio, a cominciare dalla proficua collaborazione con Andy Serkis, il Gollum de "Il Signore degli Anelli", pronto a prestare la propria voce e le proprie movenze al perfido King Bohan, antagonista principale reso ancora più profondo e sfaccettato proprio grazie all'ottima performance dell'attore britannico. Ad oggi, Heavenly Sword non ha mai conosciuto un seguito ufficiale date le non proprio esaltanti vendite della produzione; eppure lo spirito feroce e coraggioso della bella Nariko sembra rivivere nella fisionomia della disperata Senua. Scopriremo a breve se quest'ultima riuscirà a vantare lo stesso carisma della sua "antenata" illegittima, ma quel che è certo è che, ancora una volta, Ninja Theory si appresta ad affidare il proprio successo ad una protagonista femminile senza alcuna esitazione; oggi, che sembra andare tanto di moda, come ieri, quando ad osare erano in pochi.

    Schiavi di un'utopia

    Come per ogni studio di sviluppo tripla A che si rispetti, Ninja Theory conosce ben pochi tempi morti tra la pubblicazione di un'opera e lo sviluppo della seguente. Nei tre anni successivi all'uscita di Heavenly Sword prende così forma il nuovo, promettente titolo della software house inglese, pubblicato questa volta da Namco Bandai. Enslaved: Odyssey to the West porta con sé un carico di aspettative non indifferente, per uno studio dal quale ci si aspetta una prova di grande maturità dopo il convincente debutto. Ancora una volta la scintilla che anima lo sviluppo del titolo nasce dalla ricerca spasmodica di originalità, con la volontà di imporsi sul mercato con un'opera capace di lasciarsi influenzare ed ispirare da fonti "esterne", così da offrire un prodotto che vantasse innanzitutto personalità. Nel caso di Enslaved, le influenze sopracitate riecheggiano nel romanzo del poeta e scrittore cinese Wu Cheng'en dal titolo "Journey to the West", considerato uno dei quattro grandi classici della letteratura cinese.
    Pubblicata per la prima volta nel 1592 l'opera narra del leggendario pellegrinaggio del monaco buddista Xuanzang verso l'Asia Centrale e l'India, alla ricerca di alcuni testi sacri da riportare al proprio villaggio; un viaggio avventuroso, un'analisi satirica della società cinese dell'epoca, ma sopratutto un cammino all'insegna della spiritualità, al fine di raggiungere finalmente una conoscenza e una consapevolezza di grado superiore riguardo l'esistenza umana.

    Enslaved nasce come rielaborazione di questo racconto, concedendosi non poche libertà creative: ecco allora che il viaggio quale tema centrale dell'opera vedrà per protagonista l'inaspettato duo costituito da Monkey e Trip: in una terra post-apocalittica, devastata da una guerra globale, la razza umana si ritrova quasi estinta, alla mercé dei robot che governano il pianeta riducendo in schiavitù uomini e donne. Monkey (ancora una volta interpretato dal talentuoso Serkis) viene catturato dalle macchine, ma riesce a fuggire dal vascello volante sul quale lo stanno trasportando verso chissà quale futuro di sfruttamento e sofferenza: sul suo cammino incrocerà la bella Trip, anch'essa datasi alla fuga, e tra i due nascerà un rapporto di forzata convivenza. Sì, perché Trip è un'altra tipa di quelle toste, sempre pronta a tirarsi fuori dai guai come meglio può, e fissa sulla testa di Monkey una bandana elettronica che lo ucciderà all'istante qualora la ragazza muoia. I due cominceranno così il loro viaggio verso "l'Occidente", per raggiungere il villaggio di Trip e trovare finalmente la libertà.
    Un titolo che riesce a brillare di luce propria nella prima metà di gioco, grazie ad ambientazioni mozzafiato e ad una contestualizzazione del mondo di gioco tutt'altro che banale. Ancora una volta sarà la grande cura riposta nella caratterizzazione dei due personaggi a rapire il giocatore, e a condurlo per mano in una seconda parte globalmente più spenta, che non riesce a replicare i ritmi e la varietà di situazioni offerte sino ad allora. Per arrivare infine ad un finale di quelli che non ti aspetti, profondo e ispirato nei presupposti che lo animano, ma che spreca una buona parte del proprio potenziale proprio a causa dell'acceleratore sul quale la narrazione sembra spingere durante le sequenze finali. Monkey e Trip, a modo loro, in un mondo alieno e irriconoscibile, condivideranno con il monaco buddista Xuanzang un'epifania, un'illuminazione, la scoperta di una verità più alta e profonda di quella a cui aspiravano; sin troppo cruda e crudele nel caso dei nostri protagonisti, posti dinanzi ad un dilemma etico al quale potranno dare l'unica risposta che sono in grado di offrire, né giusta né sbagliata. Semplicemente, la loro.

    Il diavolo che non t'aspetti

    Altro giro, altra corsa in un territorio scosceso per i Ninja Theory: il buon riscontro di critica e pubblico registrato da Enslaved non si traduce in vendite altrettanto soddisfacenti, il destino di Monkey e Trip risulta ad oggi sconosciuto, e quanto di buono espresso dalla nuova IP di Namco Bandai rimane ancorato a quest'unica pubblicazione nonostante le pressioni di tanti fan. Ancora una volta gli sforzi e la passione del team riversati nella creazione di un'opera originale e di valore non vengono ripagati da risultati commerciali soddisfacenti. Ma il destino riserva ancora una sorpresa ai Ninja Theory, che a differenza di Monkey e Trip partono per un viaggio verso l'Oriente, nella "terra del Sol Levante", dove ad aspettarli trovano nientemeno che Capcom, un franchise da rilanciare e un contratto da firmare.
    Sì perché i piani dello sviluppatore giapponese prevedono di donare nuova luce ad uno dei propri brand di maggiore successo degli ultimi anni, quel Devil May Cry capace di riscrivere le regole dell'action game creando un sottogenere a sé stante. Nonostante gli sforzi produttivi dedicati alle avventure del tenebroso Dante siano da sempre notevoli, la saga sta conoscendo una fase di stallo, e l'intenzione del publisher è quella di affidare lo sviluppo ad uno studio esterno, magari occidentale, che sappia rielaborare la fisionomia del personaggio e del suo universo con nuove influenze. Da questo connubio nascerà uno dei reboot più discussi, contestati e criticati degli ultimi anni, quel DmC che dividerà letteralmente la fanbase della serie. Inutile nascondervelo: chi vi scrive è uno di quelli che il lavoro operato sul personaggio da parte dei Ninja Theory ancora oggi non riesce proprio a digerirlo, insieme alla visione globale che lo studio di Cambridge ha riservato all'immaginario di Devil May Cry. Dopo averlo giocato e completato, io DmC non lo sfiorerei neanche con un bastoncino di legno.

    Ma non sono qui per fare polemica, preferisco invece sottolineare come, nonostante l'opera non venga da me ricordata positivamente, risulti impossibile non riconoscere la bontà di alcune trovate del team di sviluppo, impegnato a riscrivere le dinamiche di un universo che, spogliato dei suoi caratteri prettamente gotici e horror, oscilla in equilibrio tra la realtà e il Limbo, una infernale dimensione parallela dalla quale provengono quei demoni ai quali Dante scoprirà di esser destinato a dare la caccia.
    Ancora una volta i Ninja Thoery confermano tutto il loro talento nel ricreare un mondo coeso e coerente, dove la superficie della realtà nasconde qualcosa di invisibile agli occhi, qualcosa di malefico e pericoloso, gestito ancora una volta dal perfido Mundus, che qui scopriamo essere a capo di una cospirazione volta a controllare e soggiogare il genere umano. Una fortissima iniezione di elementi estrapolati dalla pop culture, un sistema di combattimento variegato e profondo e un Dante versione Emo più sboccato e impertinente che mai sono gli ingredienti che hanno determinato il più grande successo commerciale della software house britannica, con una Capcom soddisfatta dai risultati portati a casa, nonostante la fanbase rimanga ancora oggi polarizzata su due fronti decisamente opposti nel giudicare DmC. Qualunque sia il vostro parere sull'ultimo capitolo della saga "dantesca" una cosa è certa: i Ninja Theory hanno dimostrato ancora una volta di avere tanto fegato e coraggio, e hanno portato avanti una visione creativa con convinzione, senza cedere alle fortissime pressioni di milioni di utenti critici e incazzati, tra le cui fila figurava anche il buon Hideki Kamiya, padre supremo della serie. Mica roba da poco.

    L'indipendenza richiede sacrificio

    Ancora non sazi dei traguardi raggiunti nel corso di una carriera ultra decennale, a Cambridge nel 2014 decidono di confrontarsi con una sfida tra le più grandi mai affrontate da una software house: riscrivere le regole di un mercato in affanno per quanto concerne gli studi più piccoli. Trovare un publisher voglioso di investire ingenti somme di denaro nella pubblicazione e nello sviluppo di nuovi titoli "tripla A" i cui costi divengono costantemente meno sostenibili a fronte di volumi di vendita mai scontati risulta impresa sempre più ardua; una situazione difficile per chi desidera emergere in un contesto competitivo come non mai. Ecco che allora Ninja Theory si appresta a rivoluzionare tutta la propria struttura interna, per inseguire una nuova filosofia di sviluppo, quella del titolo "Tripla A indipendente": l'obiettivo è quello di creare un prodotto senza dover fare necessariamente affidamento su di un publisher dal portafogli bello gonfio, ma nel contempo assicurando all'opera valori produttivi pari a quelli dei blockbuster più gettonati.

    Da questa visione coraggiosa e avanguardista nasce Hellblade: Senua's Sacrifice, un titolo che nel corso degli anni è riuscito a far parlare molto di sé, e non solo per il rivoluzionario concept alla base dello sviluppo. Hellblade decide infatti di confrontarsi con tematiche scomode, tabù, quali quelle dei disturbi psichici che affliggono la guerriera vichinga Senua (i cui tratti rievocano in maniera palese le fattezze di Nariko), imprigionata suo malgrado in un mondo deforme e distorto, dove la realtà si piega all'incubo. L'annientamento del proprio clan e il massacro dell'amato Dillion contribuiranno a far esplodere la schizofrenia che da sempre perseguita la bella Senua, una malattia con la quale era riuscita a convivere solo grazie agli affetti dei proprio cari. La giovane si imbarcherà così in un viaggio di vendetta e di disperazione, in bilico tra la volontà di distruggere gli assassini di Dillion e la necessità di mettere a tacere le voci che le affollano la mente, senza darle mai tregua. Non possiamo ancora sapere se l'ultima fatica di Ninja Theory riuscirà a soddisfare le grandi aspettative che la accompagnano, ma possiamo certamente sbilanciarci nel dire che, ancora una volta il team di sviluppo si è rimboccato le maniche, dedicandosi all'esplorazione di territori "inusuali" per il medium di riferimento, puntando l'attenzione su tematiche delicate e complesse da gestire, ma sempre con il coraggio di chi vuole osare, con umiltà e grande sensibilità artistica.
    In questo lungo viaggio volto a ripercorrerne la storia e lo stile, risulta oramai chiaro come l'ambizione sia da sempre parte del DNA dei Ninja Theory, uno studio oggi composto da sole venti persone che nel corso della sua carriera ha forse raccolto molto meno di quanto non abbia seminato, sia in termini di reputazione che di soddisfazioni commerciali. Tra meno di sei giorni i ragazzi di Cambridge consegneranno al pubblico la loro ultima creazione, il cui eventuale successo potrebbe davvero riscrivere le regole di un'industria sempre più piegata ad esigenze economiche che troppo spesso limitano la libertà creativa dei talenti che la compongono. Vedremo se la scommessa potrà dirsi davvero vinta: l'8 agosto non è mai stato così vicino.

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