Dark Souls o Bloodborne? Il gioco più bello in attesa di Elden Ring

Aspettando l'ultima opera dello studio di Miyazaki, ripercorriamo la carriera di From Software ricordando i migliori giochi dello studio.

Qual è il miglior gioco FromSoftware?
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  • E' passato quasi un anno dal magico giorno in cui Elden Ring ha fatto la sua comparsa nella conferenza Microsoft dell'ultimo E3, annunciando il proprio arrivo con l'eco dei colpi di un pesante martello. Nella dolorosa e spasmodica attesa di scoprire qualche nuovo dettaglio sul titolo, abbiamo deciso di fare un viaggio attraverso l'oscura poetica di Miyazaki e From Software, analizzando i lavori di maggior successo dello studio e provando a stilare una nostra personale classifica. Mentre vi lasciamo alla lettura, come tutti speriamo che anche il misterioso Elden Ring riesca in futuro a guadagnarsi un posto d'onore all'interno di questa spietata graduatoria.

    5: Dark Souls 3

    Annunciato con un reboante trailer all'E3 del 2015, il terzo capitolo della fortunata saga di Hidetaka Miyazaki aveva riacceso in molti la fiamma dell'entusiasmo dopo la tiepida accoglienza riservata al secondo capitolo. Sfruttando l'engine del "cugino" Bloodborne, Dark Souls 3 ci aveva gettato nel reame di Lothric nell'ora più disperata, quando la Prima Fiamma non poteva più essere vincolata e noi, nei panni di un non morto predestinato, eravamo chiamati a riportare i Lord of Cinders sui loro troni per un ultimo, estremo tentativo di salvare un mondo morente.

    Quest'ultimo episodio guardava sia al passato che al futuro, recuperando la meccanica del focus da Demon's Souls e introducendo le weapon arts. Era stato inoltre complessivamente velocizzato il sistema di gioco, rendendo l'uso delle fiaschette Estus più rapido e il nostro fido "fast roll" quasi obbligatorio in ogni battaglia. Forse grazie a questo cambio di rotta è stato possibile registrare una notevole varietà nelle bossfight della produzione, tanto che è davvero difficile trovarne due consimili. Come non menzionare infatti i sinuosi movimenti dell'elusiva Danzatrice della Valle Boreale o ancora l'inarrestabile furia del Pontefice Sulyvahn.

    Nonostante il pregio complessivo dell'opera, che si attesta su livelli ludici sempre altissimi, Dark Souls 3 è stato forse il titolo della saga che meno è riuscito a conquistare uno spazio nel nostro cuore. Da amanti della coraggiosa filosofia di Miyazaki, che ha sempre evitato di fossilizzarsi su un singolo universo, abbiamo trovato che questo episodio strizzasse troppe volte l'occhio ai vecchi fan della saga, senza tuttavia aggiungere qualcosa di realmente interessante (tranne, ovviamente, la fantastica rivelazione del leggendario primogenito di Gywn).

    Anche con l'arrivo di due espansioni di ottima qualità produttiva come Ashes of Ariandel e The Ringed City, l'umore della community è rimasto sempre molto disomogeneo, almeno per ciò che riguarda lo sviluppo della lore della saga. La stessa scelta di mettere Gael quale ultimo boss della saga dei souls ha lasciato molto interdetti, trattandosi di un personaggio considerato perlopiù secondario, che non ha contribuito a costruire la cosmologia della saga. A dispetto della tiepida accoglienza, da parte nostra abbia amato questa decisione perché la consideriamo in perfetta armonia con la poetica di Dark Souls. Il Cavaliere schiavo rappresenta infatti forse uno delle più emblematiche manifestazioni dell'essenza dell'anima oscura dell'uomo, costituita dal desiderio. E' solo grazie al suo forte desiderio di trovare un posto al mondo che Gael riesce a sopravvivere fino alla fine dei tempi, per trovare l'ultimo pigmento che permetterà alla piccola pittrice di creare un mondo oscuro, freddo e gentile. Un posto che egli possa chiamare finalmente casa.

    Forse è questa la maledizione a cui è condannato Dark Souls 3: l'essere un capitolo conclusivo che doveva appagare pretese troppo eterogenee tra loro, e che alla fine non ha soddisfatto appieno nessuno. Nonostante tutto la sua solidità ludica rimane indiscutibile, e fa di questo titolo un ottimo souls da cui iniziare.

    4: Demon's Souls

    Certe volte il successo di un'opera videoludica dipende dal tempismo con cui questa raggiunge il mercato videoludico e, almeno in parte, la storia di Demon's Souls conferma questa regola. Il progetto prende le mosse in un periodo di forte crisi creativa per il medium, durante il quale la visione autoriale era fortemente frustrata dalla spasmodica ricerca dell'accessibilità come mezzo per ampliare la platea dei consumatori.

    Come è facile pensare, una situazione del genere non poteva che portare all'inevitabile conformismo dell'industria videoludica, almeno per ciò che riguardava le produzione ad alto budget. Ed ecco che, come un fulmine a ciel sereno, arrivò From Software con la sua esclusiva per PlayStation 3, sfidando ogni logica economica o legge del mercato.

    Non che la stessa software house giapponese fosse sicura circa l'esito delle sue decisioni creative, ed infatti, prima dell'arrivo "in medias res" di Miyazaki, molti erano convinti che il progetto si sarebbe rivelato un totale fallimento. Lo stesso director aveva accettato l'incarico con maggiore serenità sapendo che, nella peggiore delle ipotesi, i magri risultati non sarebbero totalmente dipesi da lui. Inutile dire che queste paure, seppur fondate, furono totalmente spazzate via dal grande successo che Demon's Souls ebbe negli anni a seguire.

    Da buon papà di tutti i souls, il dark fantasy targato From ha gettato le basi per quegli elementi che sarebbero diventati la struttura portante del filone "soulslike". A prescindere dal livello di difficoltà del titolo, tanto impietoso da diventare uno dei simboli della saga, non possiamo che elogiare la scelta di narrare il mondo in maniera passiva, sfruttando la curiosità del giocatore e la volontà dello stesso di scoprire cosa si cela dietro l'orrore che lo bracca da ogni direzione.

    In un panorama videoludico che spesso cerca di appagare, in maniera quasi bulimica, la fame di informazioni del pubblico, Demon's Souls insegna che è possibile creare un'ambientazione e una storia accattivante rispettando la volontà e i tempi del suo fruitore. Anche il particolare modo di raccontare gli archi narrativi dei personaggi secondari, insieme alle loro side quest, è un assoluto marchio distintivo di Miyazaki, inaugurato proprio con Demon's Souls.

    Grazie all'abile estro del creativo nipponico, nelle martoriate terre di Boletaria si ha sempre la sensazione di incontrare personalità credibili, umane, vere quasi quanto il giocatore stesso. E' il caso del povero principe Ostrava, che nonostante le sue insicurezze decide di gettarsi nelle fauci dell'oscurità per scoprire cosa ne è stato di suo padre, Re Allant, o ancora la tragica storia di Lady Astrea, che una volta scoperta ha reso l'uccisione della donna un gesto dal peso morale incalcolabile.

    Anche se non sono mai state riproposte, forse per la loro eccessiva infamia, le meccaniche del World Tendency e il sistema legato alla morte davano a Demon's Souls un tocco unico, anche per loro interazione con la componente online, che darà vita al concetto di "invasione" negli altri Souls. Molto suggestivo era anche il concetto di avere un boss interpretato da un giocatore avversario nel combattimento contro il vecchio monaco della Torre di Latria, elemento che verrà ripreso solo da Dark Souls 3 in the Ringed City.
    Benché il tempo non sia stato molto clemente con questa esclusiva PlayStation 3, è impossibile negare il valore seminale che la stessa ha avuto non solo per la fortuna di Miyazaki e di From Software, ma per il mercato videoludico nel complesso. Demon's Souls ha dimostrato con enorme coraggio (e un pizzico di sconsideratezza) che, in un mondo dominato dal conformismo, un'altra via è sempre possibile.

    3: Sekiro: Shadows die twice

    Tutti ricordano l'enigmatica frase "Shadows die Twice", apparsa nel primo reveal trailer con cui From Software aveva dato il via alla speculazione su quale sarebbe stato il suo prossimo lavoro dopo la chiusura dalla fortunata saga di Dark Souls. Nato da una costola dei vecchi Tenchu (recuperate il My Generation dedicato a Tenchu per saperne di più), e crescuto sotto l'ala protettrice del publisher Activision, Sekiro è forse uno dei migliori esempi dell'eclettismo creativo della software giapponese, che non ha mai avuto paura di sfidare il mercato con IP inedite.

    Con un'inversione di tendenza rispetto a quello a cui eravamo abituati, il Lupo di Ashina si rivelò al mondo come uno shinobi agile, letale e silenzioso, capace di usare la sua protesi per affrontare l'esplorazione in modi che prima sarebbero stati impensabili. Sekiro si distingue per essere una delle esperienze ludiche più punitive ma al contempo più soddisfacenti che questa generazione ci ha regalato: grazie ad un raffinato sistema di parate e contrattacchi, il team supervisionato da Miyazaki è riuscito a creare un struttura di gameplay tecnica e viscerale, capace di farci rivivere la tensione dei duelli del giappone feudale.

    E infatti ogni incrocio di lame in Sekiro si trasforma in un'esaltante danza di morte, in cui si è consapevoli che il minimo errore può aprire la strada a un colpo fatale. Se nelle precedenti opere di From memorizzare il pattern dei nemici era importante, qui diventa un aspetto cruciale ed imprescindibile: imparare il ritmo dei colpi che dovremo intercettare, immergersi totalmente nel flusso dello scontro, è forse quello che più si avvicina all'insegnamento pratico che Eugel Herrigel voleva raccontare nel bellissimo libro Lo Zen e L'arte del tiro con l'arco. A questo proposito, il pensiero corre immediatamente al logorante ma epico combattimento contro Isshin Ashina il Santo nella battaglia finale.

    Anche il comparto artistico di Sekiro risultava particolarmente ispirato grazie ad una bilanciata commistione tra i canonici scenari del periodo sengoku e il folklore della tradizione nipponica, cui si aggiungeva l'eccentricità tipica di Miyazaki. Tuttavia la narrazione del suo universo è forse l'aspetto meno accattivante della produzione, specialmente se messa a confronto con gli altri titoli della scuderia di From. Le interazioni con i vari NPC, così come la struttura e il contenuto delle side quest che caratterizzano la loro storia, ci sono sembrate poco ispirate e incapaci di delineare dei personaggi davvero memorabili. Bisogna però spezzare una lancia a favore del filone narrativo dedicato allo Scultore del tempio dilapidato, nel quale è possibile ritrovare quel fatalismo ineluttabile tipico della poetica Miyazakiana.

    Dietro un'espressione apparentemente serafica, il vecchio nasconde in realtà una rabbia incandescente dalla quale non riesce a liberarsi, come dimostrano le innumerevoli statue di Buddha dal volto iracondo che l'uomo intaglia per calmare il suo spirito. Un tormento che non lo lascia neanche nei momenti di preghiera, dove gli vengono mostrate solo visioni di Ashina consumata dalle fiamme.

    Nonostante l'eterna lotta per ritrovare la pace interiore, lo Scultore soccomberà infine alla propria rabbia diventando lo shura Demone dell'Odio. Quando scopriamo chi si cela dietro quella bestia, capiamo che l'unico modo per donare riposo al nostro amico è concedergli la pietosa Morte dell'Ombra dello Shinobi. Così, mentre vibriamo il colpo fatale, in un ultimo momento di lucidità dalle labbra del demone usciranno parole di gratitudine per il suo salvatore:"Lupo... ti ringrazio."

    E' un vero peccato che Sekiro non abbia saputo regalare tanti momenti carichi della stessa drammaticità che caratterizza questa sequenza, sebbene rimanga indubbia la solidità complessiva del titolo, legata a doppio filo a un sistema di combattimento originale e dal pregio ludico eccelso. Non abbiamo quindi dubbi nell'affermare che l'ultimo titolo di From Software si sia meritato, e a pieno diritto, il titolo di gioco dell'anno durante l'edizione 2019 di The Game Awards.

    2: Dark Souls

    Se Demon's Souls aveva gettato le fondamenta di una ricetta vincente, è sicuramente con Dark Souls che questa formula assume piena concretezza. Il titolo pubblicato da Bandai Namco rielabora infatti i punti di forza del suo predecessore per portarli a un livello superiore. Che sia la costruzione del mondo o della lore, non c'è un solo ambito in cui il primo capitolo della saga non riesca a distinguersi.

    Al titolo dobbiamo infatti la creazione di uno degli universi dark fantasy più suggestivi del mondo videoludico, dominato dal fatalismo tipico di Miyazaki, Il concetto di morte e rinascita diventa un monito del triste destino di Lordran e del povero non morto impersonato da noi giocatori, condannato ad un fato peggiore delle morte. Complice del memorabile ricordo che tutti abbiamo di quella ambientazione è sicuramente il meraviglioso level design, pieno di interconnessioni che collegavano tra loro le diverse zone di Dark Souls.

    Passando per gli oscuri anfratti della Città Infame sino ad arrivare alla volta splendente di Anor Londo, il world building del primo capitolo costituisce ancora oggi uno dei picchi qualitativi più alti della saga, una vetta che non è stata mai più raggiunta da nessun altro titolo sfornato da From Software.

    Persino in un mondo costantemente infestato dall'ombra della morte, Miyazaki è riuscito a raccontarci la storia di personaggi incredibilmente profondi e ben caratterizzati. Come non ricordare a tal proposito il giocoso Solaire di Astora e la sua costante ricerca di un sole che potesse fare proprio o Siegmeyer, il cavaliere di Katarina che dietro il suo fare goffo e sornione nascondeva invece il peso di un dramma umano che ha spezzato il cuore di molti. Gli NPC pulsavano di vita propria, e la loro essenza era così ben delineata da dare la sensazione che essi esistessero al di fuori delle scelte e delle interazioni del giocatore.
    Sebbene il sistema di combattimento possa oggi risultare un po' ingessato, soprattutto se ripreso dopo aver provato titoli più recenti, rimane comunque di pregevole fattura e ottimo per chi preferisce scontri più lenti e ragionati che conservino quella brutalità punitiva tipica dei Souls.

    Per tutte queste ragioni, Dark Souls rimane ancora oggi un titolo imprescindibile per chiunque apprezzi l'opera di From Software E' un vero peccato che il recente lavoro di remastering sia stato davvero così superficiale (recuperate la recensione di Dark Souls Remastered): avremmo davvero voluto tornare a scoprire il capolavoro di Miyazaki con gli standard tecnologici dalla generazione corrente.

    1: Bloodborne

    In cima al podio abbiamo deciso di collocare una delle migliori esclusive Sony, un titolo che ha contribuito a fare la fortuna di PlayStation 4. Bloodborne, originariamente presentato come Project Beast, ebbe l'ardore di scardinare le certezze su cui si era adagiata la saga dei Souls, gettando noi giocatori in quel pericoloso incubo che è la città di Yharnam.

    Innazitutto, l'eliminazione degli scudi come elemento difensivo rendeva il gameplay più frenetico, in quanto il nostro cacciatore poteva contare esclusivamente sulla schivata per evitare i colpi dei nemici. Una scelta che andava a braccetto con la sostituzione del classico roll con un rapido dash, che permetteva di contrattaccare velocemente dopo aver eluso un attacco. Un altro aspetto innovativo era inoltre l'introduzione delle armi da fuoco come strumento per eseguire parry a distanza, ed innescare così un mortale visceral attack.

    La feature più succosa era però il rally system, che ci concedeva una finestra di tempo per recuperare i punti ferita persi ritorcendo la nostra sete di sangue contro le belve di Yharnam. Tutti piccoli ma brillanti incentivi pensati per spingere un veterano dei souls, arroccato dietro a un approccio più difensivo, a rompere i legami con il passato e gettarsi nella mischia.

    I fiori all'occhiello della struttura ludica di Bloodborne rimangono senza dubbio le trick weapon, gli ingegnosi strumenti di morte della Chiesa della Cura in grado cambiare forma per moltiplicare le capacità offensive del cacciatore. L'esclusiva PS4 è dunque il titolo con il più alto rapporto tra qualità del combat system, numero di armi e varietà dei moveset: come non ricordare la potentissima Lama Sacra di Ludwig, che da maneggevole spada corta diventava una gigantesca claymore, o ancora la versatile Simon's Bowblade, che da agile sciabola si trasformava addirittura in un arco. La possibilità di passare con fluidità da un approccio combattivo a un altro è ciò che rende il gameplay di Bloodborne il più evoluto ed anche il più solido a livello qualitativo. Per ampliare ulteriormente la varietà dell'offerta, From aveva inserito nel gioco la possibilità di incastonare all'interno delle armi delle gemme del sangue, in grado di aumentare la loro efficacia, ed erano presenti anche dei dungeon procedurali dove era possibile scovarle come premio. Sebbene i Chalice Dungeon abbiano aumentato notevolmente la longevità al titolo, concordiamo con l'opinione prevalente secondo cui quest'aspetto dell'esperienza poteva essere esplorato meglio.

    Anche nel comparto artistico il lavoro di From Software segna un'importante rottura rispetto all'immaginario dark fantasy a cui ci aveva abituati: le imponenti e aguzze costruzioni di Yharnam sono il miscuglio perfetto tra il periodo gotico dei primi anni del secolo XII e l'epoca vittoriana, uno scenario eccellente dove orchestrare la spietata notte della caccia alla bestie. Magistrale in Bloodborne è anche la tenue ma incessante transizione verso l'indescrivibile orrore cosmico di H.P. Lovecraft, che con la direzione di Miyazaki diventa terribilmente concreto grazie ai mostruosi ed enigmatici Grandi Esseri.

    Nonostante la costruzione della lore sia più evanescente rispetto ai precedenti titoli, Bloodborne ospita alcuni dei personaggi più memorabili tra quelli concepiti da From, e quando poi questi s'integrano con l'elemento ludico della produzione, ecco che il titolo raggiunge livelli incredibili. Ci riferiamo, ad esempio, all'epico scontro con Ludwig il maledetto nel DLC di Old Hunters, nel quale affrontiamo la versione grottesca e deformata del leggendario cacciatore della Chiesa della Cura, le cui gesta ci vengono narrate da Gherman e dalla descrizione di alcuni oggetti.

    Sono pochi i titoli capaci di mantenere standard elevati in ogni loro aspetto e Bloodborne è sicuramente uno di questi. L'unica vera pecca che gli può essere imputata riguarda la meccanica delle fiale curative, resa meno tediosa dopo qualche patch, ma per il resto l'opera lovecraftiana di Miyazaki rappresenta, a nostro parere, il picco qualitativo più alto raggiunto dal suo genio creativo.

    Una menzione d'onore per Dark Souls 2, l'escluso

    Con la spietata concorrenza che abbiamo visto, era davvero impossibile trovare uno spazio per Dark Souls 2, capitolo considerato apocrifo da buona parte della community. Un titolo i cui difetti, forse per la mancata direzione iniziale di Miyazaki, hanno affossato i pregi di una produzione sfortunata ma carica di guizzi d'ingegno.

    Prendiamo in considerazione, ad esempio, la meccanica dei falò ascetici, che ci permettevano di aumentare la difficoltà delle singole zone in modo da aumentare il livello di sfida, ottenere più anime e incrementare il drop rate senza bisogno di dover arrivare al new game plus. A questo proposito, Dark Souls 2 aveva uno dei new game plus migliori della saga, che coniugava la semplice progressione della difficoltà con l'aggiunta di nuovi nemici.

    Anche dal punto di vista tematico-narrativo, abbiamo apprezzato la volontà di cambiare registro rispetto al primo capitolo della saga al fine di proporre qualcosa di nuovo, benché sia ragionevole che questo cambio di rotta non abbia toccato le corde emotive di tutti. Era interessante infatti come l'incipit Dark Souls 2 volesse raccontare qualcosa di personale, e lasciare invece in disparte il forse troppo abusato destino del mondo.

    Le battute iniziali del gioco si focalizzano infatti sulla maledizione della non morte e sulle sue angoscianti conseguenze. "Perderai tutto, una volta marchiato. Il tuo passato, il tuo futuro, la tua luce interiore. Nulla avrà più senso e non te ne importerà nemmeno" ci dice le vecchia durante il filmato introduttivo. Sembrava quasi che il mondo morente di Drangleic parlasse direttamente a noi giocatori, come monito del destino che attende chi si lascia schiacciare dalla avversità. E' forse questo il significato meta-narrativo di alcune delle frasi più celebri di Shanalotte, l'araldo di smeraldo. "Portatore della maledizione, cerca la disperazione. Perché la disperazione ti condurrà ad anime più potenti".

    Un vero peccato che la direzione di questo secondo capitolo abbia perso il suo focus andando avanti, e sebbene i difetti di Dark Souls 2 siano innegabili per gli standard di From, in generale rimane un gioco di ottima fattura.

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