Dark Souls Remastered: il ritorno di un capolavoro epocale

Uscito nel 2011 su Xbox 360 e PlayStation 3, il primo Dark Souls si prepara a tornare in vita su PC e console di attuale generazione, Switch compreso...

Dark Souls Remastered: il ritorno di un capolavoro epocale
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  • Pc
  • PS4
  • Xbox One
  • Switch
  • Xbox One X
  • PS4 Pro
  • È sempre bello riscoprire, a qualche anno dal lancio, quanto un titolo sia riuscito a cambiare la concezione di videogioco, in un processo che per chi l'ha vissuto è stato quasi invisibile. Non è esagerato definire il primo Dark Souls una pietra miliare non solo degli action-rpg, ma dell'intero mondo del gaming. Del restro, volenti o nolenti, si tratta di uno di quei titoli con cui qualsiasi produzione successiva ha dovuto scontrarsi. Un muro imponente, a volte insormontabile per i suoi stessi creatori, che svetta lì, tra le nubi di una rara perfezione che solo dopo anni di studi e ricerche siamo riusciti a cogliere appieno, tanto eravamo presi dalla necessità di sopravvivere a tutte le insidie che Lordran nascondeva. È così che nascono le leggende. Dark Souls è un vero e proprio miracolo dell'industria videoludica, di quelli che lasciano il segno e continuano a far parlare di sé anche quando sono usciti due sequel ed un sanguigno "spin-off".

    Sì, sappiamo che è bello ma Demon's...

    No. C'è poco da girarci intorno. Ho avuto modo di rigiocarlo recentemente e, come spesso avviene per titoli a cui siamo fin troppo affezionati, mi sono resto conto di quanto Demon's Souls non possa reggere il confronto con il suo erede spirituale. Siamo d'accordo sul fatto che molti degli elementi tipici delle future produzioni From Software erano già presenti in quel timido titoletto uscito in esclusiva per Playstation 3 (e che i più temerari, tra cui il sottoscritto, ordinarono d'importazione perché non era ancora prevista un'uscita europea). Ma gli sforzi di Demon's Souls non erano sufficienti.

    Possiamo parlare di difficoltà elevata, gameplay criptico, boss fight estenuanti e scorciatoie nei livelli, ma tutto questo, senza un adeguato sostegno sul fronte artistico diventa un vuoto esercizio tecnico. Ed è forse questa la più grande pecca di Demon's Souls. Semplicemente non è possibile fare un raffronto tra questi due titoli: a sfavore di Demon's Souls c'è uno svantaggio, quantitativo e qualitativo, troppo netto, tale da doverlo leggere in un'ottica "sacrificale": il titolo che ha segnato, per molti, la riscoperta del valore della difficoltà, è servito essenzialmente come trampolino di lancio per puntare a qualcosa di molto più grande.
    Potrebbe sembrare un'ingiustizia parlare in questi termini di un titolo che ha lasciato un'eredità indelebile, ma attribuirgli qualità che sono arrivate solo con il suo seguito sarebbe altrettanto sbagliato. Del resto non c'è nulla di male nel sostenere che l'allievo abbia superato il maestro, poiché la storia stessa è piena di questi esempi. Senza scomodare i classici Giotto e Cimabue, per il nostro media potremmo citare Bioshock e System Shock, Crysis e Far Cry, oppure Shadow of the Colossus e Ico. E l'elenco potrebbe continuare.
    Ad ogni modo diventa interessante capire quali semi Demon's Souls abbia gettato non tanto a livello ludico, quanto a livello di community. È stato infatti il passaparola tra gli utenti a determinare la diffusione così capillare di un titolo che, altrimenti, in pochi si sarebbero sognati di acquistare, ed è solo grazie a questo fermento popolare che poi la saga ha avuto modo di continuare, seppur calcando nuove vie. In molti, al tempo, raccontavano di un titolo in cui letteralmente non si capisse cosa fare, dove andare e, soprattutto, si morisse in continuazione. Io stesso rimasi affascinato, non tanto da quelle parole, quanto dal fatto che gli utenti parlavano sì di frustrazione, ma soprattutto di soddisfazione. Non riuscivo proprio a capire cosa potesse esserci di così bello nel perdere tutto e ricominciare da capo. Poi, un giorno arrivò per posta la mia copia koreana di Demon's Souls. E allora tutto fu chiaro.

    La morte come metodo

    Sarà capitato un po' a tutti di pensare almeno una volta "Potessi tornare indietro gliela farei vedere io!". Demon's Souls portava alle estreme conseguenze tale concetto, gettando il giocatore in un mondo doloroso, ma che ricreava ogni volta le stesse condizioni, costringendo a fare e rifare le medesime azioni fino al raggiungimento di una maestria sufficiente a proseguire (sintetizzata nella diffusa e ironica espressione GIT GUD). La difficoltà era elevata, ma allo stesso tempo onesta: il titolo non si prendeva gioco dell'abilità del giocatore, ma semmai ne penalizzava l'ingenuità o la mancanza d'attenzione.
    Si trattava, almeno per i tempi, di un cambio di rotta molto netto rispetto alla tendenza dilagante delle principali software house, che in funzione di un allargamento del proprio bacino d'utenza tendevano a giocare al ribasso in quanto a coefficiente di difficoltà. Erano infatti ben pochi i titoli a dire così apertamente ai propri giocatori quanto fossero incapaci e inesperti, almeno nell'esperienza single player. Emblematico fu il caso di quel memorabile Prince of Persia di fine 2008, in cui non era nemmeno possibile morire. Demon's Souls iniziò però col punire una ristretta fetta d'utenza: quella dai gusti più ricercati e sospettosa di fronte ad un titolo sconosciuto. Con Dark Souls tutto cambiò.

    Un po' per il fatto che i tempi stavano mutando, un po' per una campagna pubblicitaria di più ampio respiro, e un po' anche -e soprattutto- perché il gioco era multipiattaforma e arrivò anche sulla diffusissima Xbox 360, il nuovo titolo di From Software finì sotto gli occhi di tutti, anche di chi i videogame non li viveva a tuttotondo. E fu proprio questa l'utenza che si beccò una "sveglia" come poche. Tra incoscienza e sopravvalutazione delle proprie capacità furono in molti a cadere vittime anche solo delle primissime aree, da sole sufficienti a mettere in crisi persino il più esperto dei giocatori (ammesso chiaramente che non si sbagliasse strada, in quel caso la tragedia avrebbe preso tinte ancor più drammatiche). La magia si era spezzata, la nostra onnipotenza di giocatori si era arresa di fronte al terribile borgo dei non morti, e improvvisamente ci siamo sentiti nudi ed esposti ad un terribile giudizio.

    D'un tratto ci siamo trovati a lottare con le unghie e con i denti per raggiungere il checkpoint successivo, non vi era alcuna possibilità di ricaricare la partita in caso di errore e il gioco non poteva essere messo in pausa. A tutto questo si aggiungevano le terribili invasioni, uno degli elementi di maggiore innovazione e, allo stesso tempo, di maggior "disturbo" che game designer abbia mai progettato. Non solo l'avventura era sufficiente da sola a mettere in difficoltà i giocatori meno esperti, ma addirittura coloro che erano riusciti nell'impresa potevano sfruttare l'innocenza altrui per il proprio divertimento, andando a complicargli le cose.
    Tutto questo fu troppo da sopportare per tante persone. Alcuni riportavano al negozio le proprie copie e altri le lasciavano ad ammuffire sulle mensole di casa, il tutto perché non erano riusciti a capire un titolo apparentemente elitario e sadico, ma che in realtà, a differenza di molti suoi "colleghi", voleva davvero il bene dei propri giocatori: voleva che diventassero più bravi. È forse questo uno dei fraintendimenti più grossi che c'è stato nei confronti della saga di Miyazaki, complice anche una politica commerciale che ha basato molto del proprio successo sullo sbandieramento di una morte continua, dolorosa e -soprattutto- sadica. Il fatto che però furono in molti ad accettare tale filosofia, nonostante gli esiti non sempre positivi, fu sintomatico di un torpore generale in cui versava il mondo dei gamer, sempre più desideroso di nuove sfide che finalmente li appagassero del tempo investito.
    Nonostante la riluttanza da parte di uno zoccolo duro poco incline a un gameplay così punitivo, la volontà di dedicarsi a qualcosa che rendesse giustizia alle fatiche dei giocatori diventò negli anni a venire un pensiero sempre più dominante nella community.

    Si era definitivamente conclusa l'era apertasi con Wii, secondo cui il gioco doveva essere un semplice passatempo alla portata di tutti: chiunque ora voleva sudarsi la pagnotta, perché sapeva che poi avrebbe avuto un sapore migliore.
    Questa idea raggiunse l'apice della sua diffusione con l'uscita di Bloodborne nel 2015, anno in cui fu sdoganata completamente anche grazie a un gameplay leggermente più accessibile e a uno stile accattivante, che fece presa su un pubblico ancor più vasto. Possiamo infatti affermare che l'enorme successo di cui oggi gode From Software anche tra gli utenti meno informati è dovuto al clamoroso lavoro eseguito su Playstation 4 (complice anche l'enorme base installata).
    Eppure, nonostante l'enorme salto in avanti e tutto l'impegno produttivo dedicato alla corruzione di Yharnam, Dark Souls continuava a costituire una vetta troppo alta da superare.

    Non si vive di solo gameplay

    Il motivo principale per cui, ad oggi, Dark Souls rimane ancora imbattuto nel suo genere è legato alla cura con cui è stato realizzato ogni minimo dettaglio del background storico e artistico di Lordran. Per gli addetti ai lavori (e non solo) tutto questo prende il nome di lore, ed è proprio grazie a un'attenzione maniacale che non ha lasciato nulla, ma proprio nulla, al caso se, anche in futuro, sarà difficile per From Software riuscire a battere la propria "nona sinfonia". Tutto, dalla dimensione dei gradini ad Anor Londo alle statue sparse per il gioco, passando per la disposizione dei nemici, fino ad arrivare alle memorabili descrizioni degli oggetti, diventa un mezzo per raccontarci una storia velata come le anime dei giocatori che intravediamo attorno a noi.

    Una narrazione memorabile, epica, come un libro aperto che è a disposizione di tutti, ma allo stesso tempo solo chi vuole davvero leggerlo può carpirne i segreti. Sta in questo la grandezza di Dark Souls: nel non essere mai invadente nel presentare la propria storia, nel lasciare che il giocatore sia davvero solo con se stesso, disperso in chissà quale inferno, senza imporgli alcun racconto esplicito. È possibile infatti arrivare alla fine del gioco senza aver compreso quasi nulla del proprio viaggio, limitandosi ad uccidere tutto ciò che ci si è parato davanti nella furia tipica dell'hardcore gamer; ma è anche possibile godersi una partita più rilassata e attenta a ciò che prima non avevamo notato. È così che sbocciano i momenti più piacevoli di una produzione che nasconde molto più di un gameplay punitivo.
    Una grandezza che è allo stesso tempo un'enorme debolezza, proprio perché sono in molti a non avere la voglia, il tempo, ma soprattutto l'attenzione per godersi la base sommersa dell'iceberg. Tuttavia ci sono altri aspetti ben più accessibili e alla portata di tutti che è possibile vivere anche con un approccio più "superficiale": primo su tutti il perfetto level design. Il sistema di scorciatoie di Lordran è semplicemente uno dei migliori esempi di progettazione di un mondo di gioco che si siano mai visti nel settore videoludico. Un regno che inizialmente ci sembra suddiviso in poche strade monodirezionali, ma che progressivamente si disvela grazie a dei momenti che assumono i tratti dell'epifania mistica. Chi ha avuto modo di giocare a questo titolo sa bene che cosa si provi nel sentirsi perduti, trovare una porta, aprirla e poi rimanere estasiati nel riconoscere una stanza o un corridoio su cui siamo già passati decine di volte. Si tratta di una sensazione meravigliosa, seconda solo alla visione di un falò provvidenziale proprio quando si è rimasti a secco di estus e con pochi punti vita. Un gioco permissivo non potrebbe offrire questo ampio spettro di emozioni a un giocatore. Mai.
    E infine siamo arrivati ad oggi, un momento di festa per tutti gli amanti della saga di From Software, perché un'edizione remastered di questo primo capitolo è stata annunciata per il prossimo 25 maggio, con tanto di edizione portatile per Nintendo Switch.

    È vero, come si diceva poco sopra sarebbe bello poter rimettere le mani su Demon's Souls (guardate che non è detta ancora l'ultima parola), oppure avere a che fare con una nuova IP, ma sono sicuro che con la scusa di questa riedizione saremo tutti felici di farci un nuovo giro a trovare Ornstein e Smough, il lupo Sif e Priscilla Mezzosangue. Potrebbe essere l'occasione giusta per sperimentare una build diversa dal solito o magari prendere una strada che renda il gioco inizialmente più aspro: non importa ciò che sceglierete di fare, perché sarà comunque la scelta giusta per voi.
    Sapete, sono 7 anni che gioco e rigioco il primo Dark Souls e non solo ogni volta scopro dei dettagli che prima non avevo notato, ma non mi sento neanche stanco nel ripercorrere l'avventura sui miei stessi passi. Forse è proprio questo l'ultimo colpo di genio di Hidetaka Miyazaki: l'aver strappato i giocatori alle loro sedie trasformandoli essi stessi nel non-morto prescelto che impersonano, destinato a compiere lo stesso percorso ancora e ancora, in un eterno ciclo di luce e oscurità. Che la storia di Lordran sia davvero una metafora della nostra esperienza in-game? Forse questi sono solo i vaneggiamenti di un fan di lunga data, ma rimane il fatto che tra qualche mese imbraccerò nuovamente spada e scudo e sarò pronto. Perché la morte in Dark Souls non mi spaventa: è solo un ulteriore passo verso il trionfo.

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