A ben pensarci, l'Oregon di Days Gone assomiglia un po' al Vecchio West, con i suoi vasti ed impervi paesaggi dominati dalla natura, con i suoi fiumi e le sue boscaglie, con i suoi criminali ed i suoi cowboy motorizzati. In fondo, cosa sono i gruppi di bikers se non gang di pistoleri su due ruote? Persino gli ideali sono molto simili: vivono di razzie, hanno una taglia sulla testa, non seguono nessuna regola che non sia la loro e posseggono un proprio codice d'onore, un legame di fratellanza che unisce i membri della banda. L'immaginario post apocalittico imbastito dal team di Sony Bend contiene al suo interno evidenti influenze legate al mito della frontiera, osservate però da un'ottica opposta: se in Red Dead Redemption 2, ad esempio, l'epoca dei bandidos si avviava verso una fine inevitabile, tentando di resistere con coraggio all'avvento della modernità, in Days Gone si parte invece dal crepuscolo della civiltà, inghiottita da una vorace epidemia, che sta lasciando spazio, lentamente ma inesorabilmente, al ritorno di un'era selvaggia, senza più sovrastrutture sociali.
Si assiste, insomma, all'alba di una nuova forma di libertà, in cui vige la sola legge del più forte, e dove "l'altruismo è una condanna a morte". C'è un sottile filo concettuale che lega la nuova esclusiva PlayStation 4 con il capolavoro di Rockstar Games: pur con le ovvie differenze qualitative e quantitative, i due prodotti sono infatti accomunati dalla medesima concezione di "open world narrativo", ossia di un mondo nel quale è la trama a dettare i ritmi dell'avanzamento e del gameplay. E così, proprio come fa Red Dead Redemption 2 con l'epopea di Arthur Morgan, anche Bend Studio ci chiede di seguire pazientemente la storia di Deacon St. John, mentre cavalchiamo la nostra motocicletta con la speranza di vivere abbastanza per ammirare un nuovo tramonto.
Attenzione: l'articolo contiene piccoli spoiler su Days Gone.
Pistoleri su cavalli ruggenti
Lo sguardo di Deacon è quello di un uomo disilluso e cinico, spietato all'occorrenza, desideroso soltanto di salvare la pelle e di andarsene lontano, con l'unico membro rimasto in vita della sua "famiglia": l'idea è quella di salire in groppa ad una due ruote ben attrezzata e partire in direzione del Nord, alla ricerca di un'altra vita, o forse semplicemente di un'illusione per continuare a sopravvivere.
Oregon - Il tramonto della civiltà
Far West - Il tramonto della libertà
Il viaggio come veicolo di salvezza, come mezzo di affrancamento da una condizione detestabile, come meta ultima e non ben definita è presente anche in Red Dead Redemption 2, quando la banda di Van Der Linde cerca in tutti i modi di racimolare i fondi necessari per abbandonare il proprio rifugio ed inseguire un sogno che assume connotati sempre più sfumati. Bikers e fuorilegge vivono la partenza alla stregua di una necessità: è il tramite con cui tentano di conquistare una libertà che gli sta sfuggendo di mano.
La patch "nomade" presente sul gilet di Deacon, secondo la cultura dei motociclisti, da un lato indica la possibilità di "affrancarsi" dai doveri del club, ed essere quindi "libero" da gran parte degli obblighi, e dall'altro rappresenta il simbolo di una vita trascorsa sull'asfalto, in un continuo pellegrinaggio, senza una fissa dimora. Si vive sulla strada e si muore sulla strada.
Il concetto di nomadismo è proprio anche dei banditi del vecchio West: Arthur, Dutch e John passano di accampamento in accampamento, e non appena provano ad "accasarsi" un qualche imprevisto scardina le fondamenta della loro esistenza stazionaria, costringendoli a muoversi ancora. D'altronde, lo scopo di motociclisti e cowboy è pressoché il medesimo: correre in groppa ad un cavallo (di carne o di metallo) verso orizzonti inesplorati. Con l'unica differenza che il pezzato non finisce la benzina...
Dal nitrire del cavallo al rombare della moto
Se Days Gone può essere etichettato come una sorta di western post apocalittico, il motivo è da ricercarsi specialmente nel ruolo rivestito dalla motocicletta. Non sembrano esserci altri mezzi di trasporto nell'Oregon divorato dai Furiosi: le auto sono lasciate ad arrugginire lungo la strada morta, le ambulanze ostacolano il cammino all'ingresso delle gallerie, ed i treni sono divenuti cimiteri dove si ammassano cadaveri ed Orde d'incalcolabili proporzioni.
Cavallo di metallo
Cavallo di carne
La tecnologia, insomma, ha fatto un passo indietro, e vedere svolazzare un elicottero trasmette quasi lo stesso stupore di quando i cercatori d'oro osservavano le locomotive sulle rotaie. Il motivo principale che obbliga l'utente ad usare solo la moto nel mondo di Days Gone è chiaramente legato ad esigenze di game design, ma questo non significa che non ci sia una precisa idea alla base di una simile decisione, che impone senza dubbio un pizzico di sospensione dell'incredulità.
È probabile che lo scopo di Bend Studio fosse proprio quello di restituire al suo Oregon una dimensione selvaggia, dove il cavallo è sostituito dai bolidi su due ruote: come i quadrupedi sono agili, scattanti e più facili da manovrare in un ambiente naturalistico, così la moto facilita gli spostamenti nel setting di Days Gone, nel quale l'asfalto ha lasciato il posto a vasti sentieri innevati, carcasse di veicoli e terriccio sdrucciolevole.
Similmente alle praterie del Vecchio Ovest, le regioni dell'Oregon sono un luogo dove è la natura a farla da padrone, ed in cui occorre un mezzo gestibile con maggiore facilità per esplorare senza troppi limiti: con un'auto, del resto, non potremmo attraversare i cunicoli bloccati dalle altre macchine, né riusciremmo a sfuggire con destrezza agli sciami di infetti. Sotto questo punto di vista, il team ha saputo contestualizzare a meraviglia la direzione artistica dello scenario, costruito alla perfezione per non farci mai avvertire il bisogno di guidare un'automobile o una quattroruote di grossa cilindrata.
In più, al di là del sottotesto simbolico (i bikers sono i nuovi cowboy), la moto prende il posto del cavallo anche perché diviene la nostra più importante compagna di viaggio. Come in Red Dead Redemption 2 dobbiamo prenderci cura dell'animale, strigliandolo, dandogli da mangiare e rimpinzandolo di tonici per mantenerlo sempre in forma, così in Days Gone ci toccherà riparare il mezzo, comprare nuovi potenziamenti e rifornire costantemente i serbatoi per evitare che finisca la sua "stamina", ossia la benzina.
Ed ancora: nel capolavoro di Rockstar, se ci allontaniamo troppo dalla cavalcatura, la bestiolina non comparirà magicamente al nostro fianco; lo stesso avviene nell'opera di Sony Bend, dove la motocicletta non possiede un punto di respawn, ed andrà quindi "parcheggiata" in un posto facilmente raggiungibile a piedi. A patto però di superare indenni i pericoli che si annidano in ogni angolo della mappa.
La storia prima di tutto
Come sostenuto anche nella nostra recensione di Days Gone, quella orchestrata dal team non è solo la "storia di Deacon", ma anche - e soprattutto - quella di un mondo in ginocchio. A nutrire l'ispirazione di Bend Studio è stato il desiderio di imbastire un racconto d'ampio respiro, in cui il gameplay risponde alle volontà della narrazione.
Motociclista
Pistolero
Ed ecco che in questo caso la lezione di Rockstar si fa sempre più evidente: per gran parte della vicenda, la sceneggiatura si prodiga nel delineare i tratti caratteriali dei personaggi, si focalizza sulla loro personalità, e si prende il suo tempo per presentare tutti gli attori in scena. Days Gone, sulle prime, può anche spiazzare l'utente meno paziente a causa del suo andamento lento e dilatato, in cui ogni missione non sembra neppure appartenere ad un "grande disegno narrativo", ma pare soltanto un futile riempitivo per allungare la longevità.
Sotto certi aspetti, questo approccio ricorda lo stile di Red Dead Redemption 2, che trascorre intere ore a comporre il mosaico dei suoi strepitosi comprimari. Anche senza raggiungere le vette toccate da Rockstar, Sony Bend prova a seguire il medesimo andamento, centellinando una serie di dettagli che acquisiscono un grande valore solo molto tempo dopo, quando l'esperienza entra nel vivo.
Una musica che raccontaLa colonna sonora di Red Dead Redemption 2 è un perfetto corollario del suo racconto: le note e le parole dei brani accompagnano l'epopea di Arthur Morgan arricchendo e completando il tessuto narrativo. Le canzoni, insomma, sono parte integrante dello script. In Days Gone il ruolo della soundtrack è molto meno rilevante, tuttavia non mancano alcune sequenze in cui il corredo musicale si muove di pari passo con la sceneggiatura. L'esempio più lampante è l'interminabile e bellissima traversata che segna l'incipit dell'ultimo atto dell'avventura, quando in sella alla nostra moto verremo cullati da un tappeto sonoro davvero ispirato: il brano Hell or High Water di Billy Raffoul è palesemente dedicato a Sarah, la moglie di Deacon, e le parole che la scandiscono - cantate in quel preciso momento del gioco - trasmettono una pervasiva sensazione di speranza e commozione.
Days Gone è un compendio dei vari volti dell'umanità: dai bastardi senza scrupoli ai folli più degenerati, dagli idealisti malinconici ai fanatici religiosi, dagli uomini con ancora un briciolo d'onore agli innamorati che non dimenticano le loro promesse. Inizialmente, per lasciarsi catturare da Days Gone, c'è bisogno di un piccolo sacrificio: occorre accettarne i ritmi compassati, le lunghe sortite in groppa alla moto, gli estenuanti dialoghi. Tutto procede secondo un andamento dettato dal team di sviluppo, capace di comporre, con una certa competenza, la parabola di Deacon St. John e degli altri superstiti. Prendiamo ad esempio, brevemente, proprio il protagonista: nel corso dei primi incarichi, il nostro biker - in qualità di cacciatore di taglie - collabora con Tucker, una donna che gestisce un campo di sopravvissuti con un atteggiamento talmente duro da sfociare nella schiavitù. Per ragioni narrative svolgeremo alcune missioni per lei, aiutandola con i suoi problemi e portando al suo rifugio anche qualche nuova "forza lavoro". Ebbene, in queste istanze osserviamo un lato di Deacon più ruvido, freddo e distaccato: ciononostante, poco alla volta, cominciamo a scoprire alcune sfumature del suo carattere che rivelano nuove informazioni, come la sua tendenza a non uccidere le donne (se non strettamente necessario) ed una certa inclinazione alla compassione.
In prospettiva futura, le attività per Tucker, in apparenza slegate dal filo narrativo portante, si dimostrano indispensabili per capire appieno l'evoluzione del protagonista, in maniera simile a come avveniva in Red Dead Redemption 2, quando Arthur riscuoteva - con fare poco gentile - i debiti per Strauss.
Anche l'azione meno interessante acquista in Days Gone un significato di stampo "narrativo", che non si manifesterà nell'immediato ma che, se considerato nel quadro generale, avrà comunque un suo peso. Vale la pena a questo punto concentrarsi rapidamente su un'altra scena, che cementifica con grande forza il rapporto tra Deacon e Boozer.
In una fase molto avanzata del gioco, quando ormai lo svolgersi degli eventi dovrebbe essere sempre più incalzante, Days Gone ci chiede di fare di nuovo una piccola pausa per recuperare un cucciolo di cane non infetto (specie alquanto rara nell'Oregon), in modo tale da rallegrare l'umore di Boozer, visibilmente amante degli animali, come più volte suggerito nel corso della storia. Sembrerebbe un incarico di poco conto, che rischia persino di spezzare inutilmente il crescendo di tensione, ed invece è uno dei momenti più intensi dell'esperienza.
Non avrà certo un'importanza imprescindibile nel cammino di ricerca di Sarah o nella lotta ai Furiosi, ma è un frangente emblematico per comprendere l'obiettivo di Sony Bend: raccontare la storia di un'umanità perduta. Deacon salva un cagnolino spaventato, senza più padrone, e lo affida tra le mani di un omone che - come la bestiola - ha perso tutto: un randagio ad un altro randagio. In seguito, dopo questi singhiozzi di simbolismo, la trama di Days Gone conosce un'accelerata, e nell'ultima parte apre addirittura una nuova mappa, impennando a tutto gas per rannodare le fila della sceneggiatura.
Con risultati molto più alti, Red Dead Redemption 2 compie lo stesso percorso, e nella fase finale dell'avventura galoppa a briglie sciolte verso una conclusione sensazionale. Diversamente dai colleghi di Rockstar, gli scrittori di Bend Studio non riescono a conservare purtroppo un solido equilibrio tra la prima e la seconda metà, a causa di ambizioni molto elevate e difficilmente controllabili.
In ogni caso, anche se incapperemo in qualche buca lungo il tragitto, alla fine del viaggio avremo comunque la voglia di cavalcare verso l'orizzonte in cerca di libertà, mentre la moto nitrisce, come facevano i veri fuorilegge di ieri ed i veri bikers di oggi.
Days Gone: il western di Sony Bend e la lezione di Red Dead Redemption 2
La nuova esclusiva PS4 è un esempio di open world narrativo che segue lo stile delle opere di Rockstar Games.
A ben pensarci, l'Oregon di Days Gone assomiglia un po' al Vecchio West, con i suoi vasti ed impervi paesaggi dominati dalla natura, con i suoi fiumi e le sue boscaglie, con i suoi criminali ed i suoi cowboy motorizzati. In fondo, cosa sono i gruppi di bikers se non gang di pistoleri su due ruote? Persino gli ideali sono molto simili: vivono di razzie, hanno una taglia sulla testa, non seguono nessuna regola che non sia la loro e posseggono un proprio codice d'onore, un legame di fratellanza che unisce i membri della banda. L'immaginario post apocalittico imbastito dal team di Sony Bend contiene al suo interno evidenti influenze legate al mito della frontiera, osservate però da un'ottica opposta: se in Red Dead Redemption 2, ad esempio, l'epoca dei bandidos si avviava verso una fine inevitabile, tentando di resistere con coraggio all'avvento della modernità, in Days Gone si parte invece dal crepuscolo della civiltà, inghiottita da una vorace epidemia, che sta lasciando spazio, lentamente ma inesorabilmente, al ritorno di un'era selvaggia, senza più sovrastrutture sociali.
Si assiste, insomma, all'alba di una nuova forma di libertà, in cui vige la sola legge del più forte, e dove "l'altruismo è una condanna a morte". C'è un sottile filo concettuale che lega la nuova esclusiva PlayStation 4 con il capolavoro di Rockstar Games: pur con le ovvie differenze qualitative e quantitative, i due prodotti sono infatti accomunati dalla medesima concezione di "open world narrativo", ossia di un mondo nel quale è la trama a dettare i ritmi dell'avanzamento e del gameplay. E così, proprio come fa Red Dead Redemption 2 con l'epopea di Arthur Morgan, anche Bend Studio ci chiede di seguire pazientemente la storia di Deacon St. John, mentre cavalchiamo la nostra motocicletta con la speranza di vivere abbastanza per ammirare un nuovo tramonto.
Attenzione: l'articolo contiene piccoli spoiler su Days Gone.
Pistoleri su cavalli ruggenti
Lo sguardo di Deacon è quello di un uomo disilluso e cinico, spietato all'occorrenza, desideroso soltanto di salvare la pelle e di andarsene lontano, con l'unico membro rimasto in vita della sua "famiglia": l'idea è quella di salire in groppa ad una due ruote ben attrezzata e partire in direzione del Nord, alla ricerca di un'altra vita, o forse semplicemente di un'illusione per continuare a sopravvivere.
Oregon - Il tramonto della civiltà
Far West - Il tramonto della libertà
Il viaggio come veicolo di salvezza, come mezzo di affrancamento da una condizione detestabile, come meta ultima e non ben definita è presente anche in Red Dead Redemption 2, quando la banda di Van Der Linde cerca in tutti i modi di racimolare i fondi necessari per abbandonare il proprio rifugio ed inseguire un sogno che assume connotati sempre più sfumati. Bikers e fuorilegge vivono la partenza alla stregua di una necessità: è il tramite con cui tentano di conquistare una libertà che gli sta sfuggendo di mano.
La patch "nomade" presente sul gilet di Deacon, secondo la cultura dei motociclisti, da un lato indica la possibilità di "affrancarsi" dai doveri del club, ed essere quindi "libero" da gran parte degli obblighi, e dall'altro rappresenta il simbolo di una vita trascorsa sull'asfalto, in un continuo pellegrinaggio, senza una fissa dimora. Si vive sulla strada e si muore sulla strada.
Il concetto di nomadismo è proprio anche dei banditi del vecchio West: Arthur, Dutch e John passano di accampamento in accampamento, e non appena provano ad "accasarsi" un qualche imprevisto scardina le fondamenta della loro esistenza stazionaria, costringendoli a muoversi ancora. D'altronde, lo scopo di motociclisti e cowboy è pressoché il medesimo: correre in groppa ad un cavallo (di carne o di metallo) verso orizzonti inesplorati. Con l'unica differenza che il pezzato non finisce la benzina...
Dal nitrire del cavallo al rombare della moto
Se Days Gone può essere etichettato come una sorta di western post apocalittico, il motivo è da ricercarsi specialmente nel ruolo rivestito dalla motocicletta. Non sembrano esserci altri mezzi di trasporto nell'Oregon divorato dai Furiosi: le auto sono lasciate ad arrugginire lungo la strada morta, le ambulanze ostacolano il cammino all'ingresso delle gallerie, ed i treni sono divenuti cimiteri dove si ammassano cadaveri ed Orde d'incalcolabili proporzioni.
Cavallo di metallo
Cavallo di carne
La tecnologia, insomma, ha fatto un passo indietro, e vedere svolazzare un elicottero trasmette quasi lo stesso stupore di quando i cercatori d'oro osservavano le locomotive sulle rotaie. Il motivo principale che obbliga l'utente ad usare solo la moto nel mondo di Days Gone è chiaramente legato ad esigenze di game design, ma questo non significa che non ci sia una precisa idea alla base di una simile decisione, che impone senza dubbio un pizzico di sospensione dell'incredulità.
È probabile che lo scopo di Bend Studio fosse proprio quello di restituire al suo Oregon una dimensione selvaggia, dove il cavallo è sostituito dai bolidi su due ruote: come i quadrupedi sono agili, scattanti e più facili da manovrare in un ambiente naturalistico, così la moto facilita gli spostamenti nel setting di Days Gone, nel quale l'asfalto ha lasciato il posto a vasti sentieri innevati, carcasse di veicoli e terriccio sdrucciolevole.
Similmente alle praterie del Vecchio Ovest, le regioni dell'Oregon sono un luogo dove è la natura a farla da padrone, ed in cui occorre un mezzo gestibile con maggiore facilità per esplorare senza troppi limiti: con un'auto, del resto, non potremmo attraversare i cunicoli bloccati dalle altre macchine, né riusciremmo a sfuggire con destrezza agli sciami di infetti. Sotto questo punto di vista, il team ha saputo contestualizzare a meraviglia la direzione artistica dello scenario, costruito alla perfezione per non farci mai avvertire il bisogno di guidare un'automobile o una quattroruote di grossa cilindrata.
In più, al di là del sottotesto simbolico (i bikers sono i nuovi cowboy), la moto prende il posto del cavallo anche perché diviene la nostra più importante compagna di viaggio. Come in Red Dead Redemption 2 dobbiamo prenderci cura dell'animale, strigliandolo, dandogli da mangiare e rimpinzandolo di tonici per mantenerlo sempre in forma, così in Days Gone ci toccherà riparare il mezzo, comprare nuovi potenziamenti e rifornire costantemente i serbatoi per evitare che finisca la sua "stamina", ossia la benzina.
Ed ancora: nel capolavoro di Rockstar, se ci allontaniamo troppo dalla cavalcatura, la bestiolina non comparirà magicamente al nostro fianco; lo stesso avviene nell'opera di Sony Bend, dove la motocicletta non possiede un punto di respawn, ed andrà quindi "parcheggiata" in un posto facilmente raggiungibile a piedi. A patto però di superare indenni i pericoli che si annidano in ogni angolo della mappa.
La storia prima di tutto
Come sostenuto anche nella nostra recensione di Days Gone, quella orchestrata dal team non è solo la "storia di Deacon", ma anche - e soprattutto - quella di un mondo in ginocchio. A nutrire l'ispirazione di Bend Studio è stato il desiderio di imbastire un racconto d'ampio respiro, in cui il gameplay risponde alle volontà della narrazione.
Motociclista
Pistolero
Ed ecco che in questo caso la lezione di Rockstar si fa sempre più evidente: per gran parte della vicenda, la sceneggiatura si prodiga nel delineare i tratti caratteriali dei personaggi, si focalizza sulla loro personalità, e si prende il suo tempo per presentare tutti gli attori in scena. Days Gone, sulle prime, può anche spiazzare l'utente meno paziente a causa del suo andamento lento e dilatato, in cui ogni missione non sembra neppure appartenere ad un "grande disegno narrativo", ma pare soltanto un futile riempitivo per allungare la longevità.
Una musica che raccontaLa colonna sonora di Red Dead Redemption 2 è un perfetto corollario del suo racconto: le note e le parole dei brani accompagnano l'epopea di Arthur Morgan arricchendo e completando il tessuto narrativo. Le canzoni, insomma, sono parte integrante dello script. In Days Gone il ruolo della soundtrack è molto meno rilevante, tuttavia non mancano alcune sequenze in cui il corredo musicale si muove di pari passo con la sceneggiatura. L'esempio più lampante è l'interminabile e bellissima traversata che segna l'incipit dell'ultimo atto dell'avventura, quando in sella alla nostra moto verremo cullati da un tappeto sonoro davvero ispirato: il brano Hell or High Water di Billy Raffoul è palesemente dedicato a Sarah, la moglie di Deacon, e le parole che la scandiscono - cantate in quel preciso momento del gioco - trasmettono una pervasiva sensazione di speranza e commozione.Sotto certi aspetti, questo approccio ricorda lo stile di Red Dead Redemption 2, che trascorre intere ore a comporre il mosaico dei suoi strepitosi comprimari. Anche senza raggiungere le vette toccate da Rockstar, Sony Bend prova a seguire il medesimo andamento, centellinando una serie di dettagli che acquisiscono un grande valore solo molto tempo dopo, quando l'esperienza entra nel vivo.
Days Gone è un compendio dei vari volti dell'umanità: dai bastardi senza scrupoli ai folli più degenerati, dagli idealisti malinconici ai fanatici religiosi, dagli uomini con ancora un briciolo d'onore agli innamorati che non dimenticano le loro promesse. Inizialmente, per lasciarsi catturare da Days Gone, c'è bisogno di un piccolo sacrificio: occorre accettarne i ritmi compassati, le lunghe sortite in groppa alla moto, gli estenuanti dialoghi. Tutto procede secondo un andamento dettato dal team di sviluppo, capace di comporre, con una certa competenza, la parabola di Deacon St. John e degli altri superstiti. Prendiamo ad esempio, brevemente, proprio il protagonista: nel corso dei primi incarichi, il nostro biker - in qualità di cacciatore di taglie - collabora con Tucker, una donna che gestisce un campo di sopravvissuti con un atteggiamento talmente duro da sfociare nella schiavitù. Per ragioni narrative svolgeremo alcune missioni per lei, aiutandola con i suoi problemi e portando al suo rifugio anche qualche nuova "forza lavoro". Ebbene, in queste istanze osserviamo un lato di Deacon più ruvido, freddo e distaccato: ciononostante, poco alla volta, cominciamo a scoprire alcune sfumature del suo carattere che rivelano nuove informazioni, come la sua tendenza a non uccidere le donne (se non strettamente necessario) ed una certa inclinazione alla compassione.
In prospettiva futura, le attività per Tucker, in apparenza slegate dal filo narrativo portante, si dimostrano indispensabili per capire appieno l'evoluzione del protagonista, in maniera simile a come avveniva in Red Dead Redemption 2, quando Arthur riscuoteva - con fare poco gentile - i debiti per Strauss.
Anche l'azione meno interessante acquista in Days Gone un significato di stampo "narrativo", che non si manifesterà nell'immediato ma che, se considerato nel quadro generale, avrà comunque un suo peso. Vale la pena a questo punto concentrarsi rapidamente su un'altra scena, che cementifica con grande forza il rapporto tra Deacon e Boozer.
In una fase molto avanzata del gioco, quando ormai lo svolgersi degli eventi dovrebbe essere sempre più incalzante, Days Gone ci chiede di fare di nuovo una piccola pausa per recuperare un cucciolo di cane non infetto (specie alquanto rara nell'Oregon), in modo tale da rallegrare l'umore di Boozer, visibilmente amante degli animali, come più volte suggerito nel corso della storia. Sembrerebbe un incarico di poco conto, che rischia persino di spezzare inutilmente il crescendo di tensione, ed invece è uno dei momenti più intensi dell'esperienza.
Non avrà certo un'importanza imprescindibile nel cammino di ricerca di Sarah o nella lotta ai Furiosi, ma è un frangente emblematico per comprendere l'obiettivo di Sony Bend: raccontare la storia di un'umanità perduta. Deacon salva un cagnolino spaventato, senza più padrone, e lo affida tra le mani di un omone che - come la bestiola - ha perso tutto: un randagio ad un altro randagio. In seguito, dopo questi singhiozzi di simbolismo, la trama di Days Gone conosce un'accelerata, e nell'ultima parte apre addirittura una nuova mappa, impennando a tutto gas per rannodare le fila della sceneggiatura.
Con risultati molto più alti, Red Dead Redemption 2 compie lo stesso percorso, e nella fase finale dell'avventura galoppa a briglie sciolte verso una conclusione sensazionale. Diversamente dai colleghi di Rockstar, gli scrittori di Bend Studio non riescono a conservare purtroppo un solido equilibrio tra la prima e la seconda metà, a causa di ambizioni molto elevate e difficilmente controllabili.
In ogni caso, anche se incapperemo in qualche buca lungo il tragitto, alla fine del viaggio avremo comunque la voglia di cavalcare verso l'orizzonte in cerca di libertà, mentre la moto nitrisce, come facevano i veri fuorilegge di ieri ed i veri bikers di oggi.
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