Dead Space: un cult dell'orrore, in attesa del remake

Prima di conoscere ulteriori dettagli sull'attesissimo remake, riscopriamo le origini e gli elementi distintivi di un horror di culto.

Dead Space: un horror cult
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  • Pc
  • PS5
  • Xbox Series X
  • L'ultima edizione dell'EA Play Live si è conclusa con un annuncio bomba, che ha immediatamente scatenato un'ondata di entusiasmo tra le maglie della community videoludica. Confermando i rumor emersi nelle scorse settimane, Electronic Arts ha infatti annunciato di essere al lavoro su un remake di Dead Space, un vero e proprio cult dell'horror digitale. In attesa di scoprire maggiori dettagli sulla riedizione in sviluppo presso gli studi di EA Motive, abbiamo deciso di ripercorrere brevemente le tappe di un successo tanto sorprendente quanto clamoroso.

    La nascita dell'orrore

    Nei primi anni duemila il team di Redwood Shores veniva utilizzato da Electronic Arts soprattutto come divisione di supporto, o per la produzione di tie-in su licenza senza grandi ambizioni creative. In quel momento storico la dirigenza di EA non era particolarmente interessata allo sviluppo di nuove IP, ma il general manager dello studio Glen Schofield era comunque determinato a svincolare la sua squadra dal ruolo assegnatole dalla compagnia.

    Come vice presidente di Crystal Dynamics, Schofield aveva già supervisionato la produzione di grandi successi come Legacy of Kain, e si era pertanto guadagnato una certa reputazione nell'industria, tanto da spingere i suoi superiori ad avallare un progetto che avrebbe dovuto portare alla pubblicazione di un nuovo sequel di System Shock (vi invitiamo, a tal proposito, a leggere la nostra prova di System Shock Remake).

    Poco dopo l'ingresso in pre-produzione del titolo, quando il team di Redwood aveva già definito alcune delle meccaniche alla base del gameplay, l'enorme successo riscosso da Resident Evil 4 spinse gli sviluppatori a rivedere molte delle idee messe in cantiere. Questa svolta offrì inoltre a Schofield i giusti strumenti per convincere Electronic Arts a trasformare il gioco in un'IP totalmente inedita che, con il nome in codice Rancid Moon, divenne ben presto il progetto che Redwood voleva sviluppare da anni.

    Lo stesso Schofield aveva l'ambizione di creare il gioco horror più spaventoso di sempre, con un concept che traeva ispirazione da serie del calibro di Resident Evil e Silent Hill per forgiare il carattere di un'esperienza ambientata in una terrificante cornice sci-fi, che a sua volta mostrava chiari riferimenti a cult cinematografici come Event Horizon. Nel 2006 Electronic Arts concesse dunque al team di Redwood tre mesi per produrre un prototipo giocabile, che per rispettare le tempistiche venne sviluppato sull'hardware dell'originale Xbox.

    Complice una promozione interna molto aggressiva e battente, il gioco venne approvato in tempi relativamente brevi, e nel giro di 10 mesi dal "via libera" di Electronic Arts lo studio aveva già prodotto undici livelli oltre a quello al centro della demo.

    Per velocizzare lo sviluppo, Redwood decise di sfruttare l'engine creato per "Il Padrino", potenziato con l'aggiunta di nuovi effetti ambientali e del pieno supporto al motore fisico Havok. Rinominato Dead Space, il progetto venne portato avanti con foga e dedizione, seguendo un percorso creativo pensato per limitare al minimo il dispendio di risorse. D'altronde il budget messo a disposizione da EA non era particolarmente abbondante, e per gli sviluppatori di Redwood il gioco rappresentava l'opportunità per liberarsi dal loro ruolo di secondo piano nel panorama produttivo della compagnia.

    Un desiderio che, di lì a poco, si sarebbe concretizzato proprio grazie al clamoroso successo riscosso da Dead Space, con la trasformazione di EA Redwood Shores in Visceral Games. Sebbene l'avventura dello studi nell'industria non sia conclusa nel migliore dei modi (Visceral ha ufficialmente chiuso i battenti nel 2017: potete leggere qui il nostro speciale su Visceral Games), l'opera del team californiano resta tuttora uno dei giochi horror più amati dai fan del genere, e per ottime ragioni.

    Le regole della paura

    In un momento storico in cui l'horror videoludico aveva iniziato la sua transizione verso i territori dell'action, spesso a discapito dell'efficacia corale dell'offerta, Dead Space proponeva un equilibrio praticamente impeccabile tra atmosfera e azione, grazie a una commistione di elementi che favorivano una tensione costante. Complici i limiti economici della produzione, il team aveva optato per un level design raccolto e soffocante, fatto di corridoi e stanzette che riducevano considerevolmente le possibilità di manovra del protagonista.

    A valorizzare ulteriormente questa direzione creativa c'era un comparto audio monumentale, progettato per consolidare il senso di minaccia trasmesso dai cupi scenari dell'Ishimura. Le build iniziali del titolo prevedevano un maggior numero di jump scare, ma ben presto il team ne ridusse il numero in favore di un approccio più psicologico e logorante, modellato per rendere mantenere in auge la potenza ansiogena del contesto ed evitare che il crescente senso di familiarità ne compromettesse l'efficacia. Per le stesse ragioni, gli sviluppatori inserirono nel gameplay un elemento procedurale legato al posizionamento dei nemici, che cambiava di volta in volta in modo da impedire all'utente di anticipare i pattern d'attacco degli avversari. Legato a doppio filo alla brillante lore del gioco, il terrificante design dei necromorfi offrì un contributo essenziale alla riuscita del titolo, sia in termini puramente atmosferici sia per quel che riguarda l'identità ludica della produzione. In rotta con gli stilemi tipici dei survival horror, che identificavano nella testa il bersaglio ideale per eliminare rapidamente un mostro, il gameplay di Dead Space era basato sul concetto di "smembramento strategico".

    Per massimizzare l'efficacia delle sue armi, Isaac Clarke doveva letteralmente fare a pezzi i suoi nemici, secondo una lista di priorità anatomiche che cambiava a seconda della minaccia da abbattere. Questo particolare modello, valorizzato dalla diversità in seno all'armamentario e alle schiere avversarie, contribuiva notevolmente alla varietà complessiva della proposta ludica, a braccetto con un buon numero di enigmi ambientali generalmente legati alle caratteristiche dello scenario e alle dotazioni tecnologiche del protagonista.

    A questo proposito, i sistemi di potenziamento dell'arsenale e della tuta erano pensati per stimolare i giocatori a far uso di diverse tattiche letali, mentre il loro design rispondeva a una degli obiettivi chiave del progetto, ovvero massimizzare l'immersività dell'esperienza. Ogni elemento dell'interfaccia utente era infatti integrato negli strumenti a disposizione di Clarke, a partire da una barra della vita collocata nella parte posteriore della sua armatura. Coerenti con questa rotta, gli sceneggiatori si concentrarono molto sullo storytelling visivo e ambientale per comporre un racconto intenso e angosciante, cercando di fare il possibile per assottigliare le barriere tra giocatore e personaggio.

    In questo senso, la più fonte d'ispirazione più lampante per Isaac Clarke è Gordon Freeman, il protagonista di Half-Life: entrambi sono personaggi senza voce, caratterizzati come uomini comuni alle prese con eventi straordinari, in modo da innescare più facilmente il coinvolgimento dell'utente. Stando alle ultime dichiarazioni di EA Motive sul remake in lavorazione, alcuni dei tasselli narrativi del gioco potrebbero essere alterati per meglio accordarsi al canone della serie, come parte di un processo di ammodernamento che interesserà anche il comparto ludico. In attesa di scoprire quali sorprese ci riserverà il nostro nuovo viaggio a bordo dell'Ishimura, non possiamo fare a meno di accogliere con entusiasmo la prospettiva di veder tornare sugli scaffali uno dei migliori giochi horror dell'ultimo quindicennio, nella speranza che la nuova versione del titolo si dimostri all'altezza della sua pesante eredità.

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