Un panorama roccioso ed impervio si staglia dinanzi a noi. L'orizzonte è coperto dalle montagne e, quando si intravede uno spiraglio in lontananza, il nostro sguardo non può che perdersi nel vuoto di una natura che si sta riprendendo il posto che le spetta, annichilendo l'umanità. Attraversare questo panorama è una fatica solo al pensiero. I movimenti sono goffi, il fiato inizia ben presto a mancare, gli stivali si logorano pian piano, e con indosso un carico assai pesante il cammino diventa ancora più insormontabile. Le forze svaniscono, i pedi sanguinano, la stanchezza prende il sopravvento. Ma quando vediamo un ruscelletto, una pozza d'acqua termale, un bunker o addirittura un insediamento cittadino, sporadica traccia di un'umanità che pare nascondersi, ci sentiamo come rinfrancati, smossi da un singhiozzo di speranza.
E tutto il dolore sembra come svanire, sostituito dalla voglia di lottare ancora. Death Stranding è un racconto di viaggio: il nostro, quello dei giocatori e quello di Sam Porter Bridges, il quale - come specificato nel trailer Breafing - ha il compito di riconnettere le città di quel che resta dell'America, per ridare all'essere umano il suo posto nel mondo. Fino ad ora, Hideo Kojima si era perlopiù focalizzato sulla dimensione narrativa del suo nuovo progetto, fornendo solo qualche timido stralcio di gameplay. Al Tokyo Game Show invece ha fatto l'esatto contrario, diffondendo più di quaranta minuti di gioco effettivo, che ci aiutano ad inquadrare con una chiarezza cristallina quali sono gli intenti ludici della produzione: un titolo dove esplorazione, elementi survival, dinamiche action e meccaniche multiplayer di stampo cooperativo concorrono a creare un'opera fuori dagli schemi, fieramente divisiva e orgogliosamente autoriale.
Into the wild
Sam deve partire per una missione. Si veste, indossa le piastrine, si lega i capelli, afferra l'acchiappasogni e poi il supporto su cui porre i vari "bagagli" da portare con sé. L'introduzione del video gameplay non è una semplice fase preparatoria: sappiamo che Kojima non lascia nulla al caso, ed infatti i vari oggetti su cui indugia la cinepresa virtuale hanno una palese valenza ai fini dell'esperienza.
Attualmente è ancora in dubbio il ruolo dell'acchiappasogni, ma è assai probabile che sia un gingillo che ci aiuti a sopravvivere nell'Aldilà, qualora venissimo inghiottiti dalle Creature Arenate. Dopo una breve conversazione con il personaggio di Die-Hardman, il nostro corriere si ritrova in quello che sarà l'hub centrale di Death Stranding, ossia il quartier generale di Port Knot City, dove Sam si preparerà prima di un viaggio. In un apposito terminale dovremo quindi impostare la destinazione e scegliere il carico da equipaggiare, stando ben attenti a non superare il limite di peso trasportabile. Sarà meglio portare con noi delle corde tramite le quali calarci da rupi scoscese, delle scale con cui superare burroni invalicabili e persino dei ricambi per gli stivali, che si consumeranno ad ogni passo. Una piccola componente gestionale si intravede poi nella possibilità di organizzare la posizione dei pacchi alle spalle dell'avatar, in modo tale da massimizzare lo spazio disponibile e mantenere un equilibrio che possa facilitare i movimenti. È questa una fase da non sottovalutare, perché quello che ci aspetta è un cammino affannoso, arduo, potenzialmente devastante. Superati i confini sicuri di Port Knot City, di fronte al giocatore si spalanca la vastità di un territorio sconfinato, che dovremo imparare a conoscere per aver salva la pelle.
L'attività di pianificazione in Death Stranding sembra dunque assolutamente fondamentale: occorrerà persino impostare il percorso migliore sulla mappa, così da limitare al minimo i danni durante il viaggio ed incrementare le probabilità di successo. La personalizzazione estetica di Sam riveste poi un ruolo al contempo passivo ed attivo: una volta messo piede nelle terre selvagge, avremo modo di indossare sia un paio di occhiali da sole, che non dovrebbe avere alcuna influenza sul gameplay, sia un cappello che riduce lievemente il consumo della stamina.
Ognuno di questi oggetti, stando alla descrizione dei menù, può essere poi modificato a piacimento nella camera di Sam a Port Knot City, un'ulteriore conferma di come la città sia una sorta di "Mother Base" nell'universo di Death Stranding. Muoversi lungo le pianure, sulle colline o tra i monti rappresenta una delle più grandi sfide del gioco: capire il terreno, individuarne i punti valicabili e scegliere le soluzioni d'approccio più adatte sono azioni essenziali per giungere fino alla meta prevista.
Saremo costretti in molte istanze a mappare gli ambienti, a valutare le controindicazioni dell'attraversamento di un fiume, con il pericolo di perdere il prezioso carico, e a decidere in che modo investire le nostre risorse. Se tutti i materiali sono limitati, non è da escludere che un calcolo mal effettuato delle scorte in dotazione potrebbe portare ad uno spreco potenzialmente letale: l'idea di rimanere da soli, senza strumenti ed in mezzo al nulla, provoca un forte stato d'ansia che si protrarrà di certo per tutta la durata del viaggio.
Nel corso della nostra scarpinata sono infatti molteplici gli elementi da tenere sott'occhio: dall'umore del Bridge Baby fino alla nostra resistenza, passando per la salute e la durabilità degli stivali, a cui si aggiunge la necessità di agire attivamente sul pad in base alle situazioni da affrontare, nel tentativo, ad esempio, di mantenersi a galla senza farsi trascinare dalla corrente di un fiume oppure per tenersi in equilibrio su una scala a strapiombo su un abisso.
Ne consegue che il viaggio di Death Stranding non si esaurirà affatto nella preparazione: l'attività del giocatore dovrà dunque adeguarsi a seconda degli ostacoli che incontrerà, imparando non a domare il setting, bensì ad adattarsi ad esso. L'America post apocalittica immaginata da Kojima sembra dotata di una vuotezza quasi spaventosa.
Imbastire un world design di questa portata non è cosa facile: non basta posizionare casualmente rilievi, terreni pianeggianti o corsi d'acqua per dar forma ad un mondo che raffigura una delle principali minacce del gioco.
Concepire un ambiente simile, in cui l'utente è chiamato a capire come superare gli impedimenti, è un'impresa non da poco, perché ogni singolo elemento scenico deve essere inserito nel contesto con una notevole dose di raziocinio, affinché il giocatore possa disporre di vari modi per giungere nella medesima località. A differenza di un normale open world, nei quali spesso si ricorre al fast travel o all'uso di mezzi da trasporto per arrivare in fretta al punto di interesse, quello di Death Stranding è in apparenza un mondo più "vuoto" ma al contempo più "vivo", dal momento che l'atto stesso del viaggio è parte integrante della dimensione ludica, e non un semplice riempitivo. Quanto questo concept si mantenga interessante, solido e appagante per tutta la durata del gioco non ci è dato saperlo, ed il rischio di appesantire l'esperienza in nome di una spiccata autorialità è senza dubbio molto elevato. Tuttavia, nel suo voler essere eccentricamente diverso, Death Stranding merita a nostro avviso di essere accolto con la dovuta curiosità, pur con la consapevolezza che questa sua estrosità non incontrerà legittimamente i gusti del grande pubblico.
La battaglia contro la natura, gli uomini e i mostri
Kojima-San non ha ideato soltanto quello che è stato definito ironicamente come "un simulatore di corriere". Death Stranding è un gioco che racconta una triplice battaglia: anzitutto, come abbiamo già visto, quella contro la natura, identificata nel viaggio verso Ovest, una traduzione moderna del mito della Frontiera in cui la civiltà deve riprendere il dominio sulla natura.
E poi c'è lo scontro con gli uomini, o meglio: con quella frangia dell'umanità ostile ai nostri piani di riconnessione. Incontreremo questi avversari in appositi avamposti lungo la mappa, come se fossero le basi nemiche intraviste in The Phantom Pain: e proprio al pari della saga di Metal Gear Solid, nulla ci vieterà di accucciarci e muoverci silenziosamente, agendo in stealth per ridurre al minimo indispensabile lo scontro frontale.
Quando sguscia silenziosamente, Sam sembra quasi Venom Snake. Attacca gli avversari dalle spalle con la corda usata per scendere dalle pareti rocciose (e quindi consumando una risorsa dedicata all'esplorazione ambientale), ma non lo fa a mo' di garrotta per strozzare il bersaglio, bensì per immobilizzarlo e renderlo innocuo.
Allo stesso modo, quando scoperto dai compagni della vittima, il protagonista usa un fucile - la Bola Gun - che si premura di legare le prede, oppure si cimenta in una versione evoluta del Close Quarter Combat per atterrarle. Insomma, sembra che Sam non sia intenzionato ad uccidere i nemici. O perlomeno viene concessa al giocatore la possibilità di non ricorrere obbligatoriamente all'omicidio.
Come ribadito più volte dal team di sviluppo, eliminare le minacce avrà delle considerevoli ripercussioni all'interno del gioco, magari legate al regno dell'Aldilà: e se gli avversari defunti popolassero l'Inferno, un po' come avveniva in Metal Gear Solid 3 nella battaglia contro The Sorrow? Certo è che anche nelle fasi di combattimento l'uso dei materiali in dotazione dovrà essere valutato a dovere, dal momento che lanciare un carico verso un nemico ne provocherà inevitabilmente l'usura.
L'ultima grande battaglia è infine quella con le entità note come "Creature Arenate", gli esseri che popolano la dimensione alternativa di Death Stranding. Potremo sì paralizzare le CA tramite la Bola Gun, ma dovremo al contempo stare sempre bene attenti a trattenere il respiro per evitare di venire risucchiati.
In caso di cattura, saremo trasportati in un regno sommerso, dove l'acqua è nera come il petrolio: qui - nella sequenza di gioco del Tokyo Game Show - Sam è stato costretto a cimentarsi in una boss fight contro una Creatura Arenata dalle sembianze bestiali, ispirata all'immaginario di Lovecraft. Il duello, oltre ad un interessante guizzo strategico, ha messo in luce altre due caratteristiche assai importanti: da una parte il ricorso ad una cornice scenografica da applausi, immersa in un'atmosfera straordinaria, e dall'altra la tanto chiacchierata anima multiplayer di Death Stranding.
Uniti per sopravvivere
Dopo aver raggiunto un bunker ed effettuata con successo una consegna, Sam "riconnette" il network chirale, compiendo un ulteriore piccolo passo verso il completamento della sua missione. Come ricompensa ottiene sia degli oggetti specifici (nel nostro caso, un'armonica il cui suono serve a migliorare l'umore del Bridge Baby) sia un aggiornamento della mappa, sulla quale compaiono nuovi punti di interesse.
Tra questi a spiccare maggiormente sono i segni degli altri giocatori: il mondo di Death Stranding è dunque condiviso, e pertanto potremo notare le orme del passaggio di corrieri come noi. Ogni utente può lasciare una traccia di sé, sotto forma di supporto per gli avventurieri, tra cui scale che collegano due burroni o carichi preziosi all'interno dei punti di ristoro, e persino dei ponti costruiti sulla mappa, le cui dinamiche di creazione attualmente ci sono ancora sconosciute. La connessione e l'aiuto reciproco sono quindi i pilastri su cui sembra fondarsi il multiplayer asincrono dell'opera di Kojima: un'idea non certo così tanto rivoluzionaria come inizialmente sosteneva il game director, ma non è da escludere che questa forma di comunicazione sia solo la punta dell'iceberg di un sistema più complesso ancora da sviscerare. Tra mezzi che facilitano l'esplorazione (come esoscheletri capaci di farci compiere grossi balzi e carrelli fluttuanti in grado di alleggerire il peso) ed un sistema di votazione che misura l'apprezzamento della community, il profilo multigiocatore di Death Stranding si esplica anche durante le boss fight.
Nelle battaglie, infatti, i "fantasmi" degli altri viaggiatori potranno affiancarci nel duello, fornendoci le risorse necessarie per annientare il nemico, pur senza prendere parte attivamente allo svolgimento dello scontro. Non sappiamo ancora in che modo funzioni il sistema di "invocazione", né se ci saranno delle tangibili conseguenze ludiche nella richiesta di aiuto, ma ci piace sperare che il multiplayer concepito dal team di Kojima abbia in serbo ancora delle sorprese da svelare, magari "connesse" al reame dell'Aldilà.
Un mondo che cambia
C'è bisogno di fermarsi, di tanto in tanto, mentre camminiamo tra le lande di Death Stranding. Il pericolo di venire schiacciati dal dubbio di non farcela è dietro l'angolo, travolti da una maestosità che pare soffocare anche solo allo sguardo. Occorre sedersi, riposare, bere, cantare una canzone al Bambino Ponte che portiamo al petto, quasi come se lo stessimo tenendo in grembo. È necessario riparare gli oggetti, ricaricare la batteria e purificare il livello del sangue.
Anche spostandoci a bordo di camion o di motociclette, l'avanzamento si fa problematico e pericoloso, perché non tutti i mezzi si adattano alla conformazione dell'ambiente. Insomma, dobbiamo affacciarci con timore e reverenza al mondo di Death Stranding.
È presumibilmente il nostro nemico più grande ed al contempo l'unica cosa per cui valga la pena lottare. Si erge di fronte a noi con una grandezza agorafobica, alternando orizzonti naturalistici a scorci desolati, rovine distrutte, annegate dal fango ed insozzate da una pioggia, la Timefall, che si nutre del tempo degli uomini.
A vedersi, Death Stranding è mozzafiato, letteralmente: come Sam, anche noi dovremo trattenere il respiro, abbandonandoci all'abbraccio di un'America pronta a divorarci. La mutevolezza di una terra selvaggia si accompagna alla scelta di sonorità tanto evocative quanto struggenti: osservare da lontano l'ombra sbiadita di Port Knot City, dopo ore di cammino, accompagnati dalle note di Asylum for the feeling che sostituiscono i suoni della natura, potrebbe avere un impatto emozionale francamente poderoso, che ci auguriamo di rivivere più volte quando percorreremo l'America negli stivali di Sam Porter Bridges.
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Death Stranding forse non cambierà il mondo dei videogiochi, ma lo dividerà come pochi altri titoli sono stati in grado di fare. In base a quanto mostrato al TGS, l’opera di Kojima propone ritmi lentissimi, cadenzati e riflessivi: un’esperienza in cui alla contemplazione si unisce la componente strategica, accompagnata da una perenne ansia di sopravvivenza. Benché non manchi qualche guizzo più “action”, è palese che il viaggio di Sam avrà toni ed approcci lontani dalla media degli altri open world. Solo l’8 novembre scopriremo se questa visione così tanto autoriale saprà concretizzarsi in un gioco pienamente confacente alle sue smodate ambizioni. Per ora restiamo spiaggiati, nell’attesa del prossimo gameplay previsto al Tokyo Game Show, nel quale magari si indagherà finalmente la dimensione infernale di Death Stranding, dove dimorano le Creature Arenate.