Demon's Souls: riscopriamo il capostipite del genere Soulslike

Stanno per chiudere i server di Demon's Souls: rendiamo omaggio al gioco From Software in questa retrospettiva.

Demon's Souls: riscopriamo il capostipite del genere Soulslike
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  • PS3
  • "No one wishes to go on..." - Re Allant

    Strisciando come un verme, infimo e spregevole, corrotto dalla sua deformità, il sovrano di Boletaria, con gli ultimi scampoli d'umanità, pronuncia una sentenza che racchiude in sé l'"anima" stessa di Demon's Souls: "Nessuno vuole continuare a vivere". La morte è la vera dea di quel reame malato, inghiottito dalla nebbia, soffocato dal putridume, dalla paura, dalle ambizioni di uomini e mostri. La vita è un soffio di vento destinato ad affievolirsi, una fiammella in procinto di estinguersi, un grido sordo e solitario, che si mescola e si confonde nel caos.
    Si muore da soli, nelle lande di Demon's Souls: tra il silenzio delle roccaforti del Palazzo del Re, tra i lamenti della Torre di Latria, gli spiriti si allontanano dal corpo lasciando solo una pozza di sangue, un miserabile residuo della loro essenza. E nessuno, lì intorno, osa battere ciglio. Ma se è vero che dinanzi alla dipartita ci troveremo persi, privi di qualunque compagno, il nostro inevitabile destino può essere affrontato insieme ad un altro, sciocco e impavido viandante.
    La possibilità di evocare lo spettro di un eroe, di leggere i messaggi di altre vittime, impressi a fuoco sulla pietra, e persino di fronteggiare un invasore ostile ha da sempre instillato nell'universo di Demon's Souls una parvenza di "esistenza": in mezzo a quel cimitero virtuale, la presenza di altri giocatori, in qualche modo, riusciva a rassicurarci, a farci sentire parte di un mondo ancora "pulsante", speranzoso, vivo.
    Tuttavia, il prossimo 28 febbraio, a nove anni dalla sua nascita, Demon's Souls chiuderà definitivamente i cancelli dei suoi server online. Viene sancita così la fine di un'era ed il tramonto del regno di Boletaria, un luogo dove la sconfitta torna ancora una volta protagonista assoluta, nella piena, incessante solitudine della morte.

    Dove le anime hanno origine

    È indubbio che Demon's Souls sia un'opera impietosa e sadica, il parto spietato di uno studio di sviluppo desideroso di mettere a dura prova la pazienza e la sanità mentale dei giocatori. Il pregio del capolavoro di FromSoftware risiede però non tanto nella sua spiazzante difficoltà, quanto nell'aver saputo contestualizzare alla perfezione la propria ferocia: il mondo fantasy che il team ha imbastito e le lugubri terre che ha seminato sono infatti la diretta conseguenza di un'iconografia medievale declinata in chiave dark, in cui la costante paura di essere sopraffatti e l'incessante insicurezza sono parte integrante (ed inseparabile) dell'aria che respiriamo.
    Nelle mani di un genio come Hidetaka Miyazaki, Demon's Souls porta a compimento un percorso artistico e creativo iniziato nel 1994 con King's Field. Più che un seguito spirituale, il figliol prodigo dell'autore giapponese ne è infatti una naturale evoluzione: ritroviamo così una simile atmosfera sanguinolenta e pestilenziale, la medesima sensazione di abbandono, e la stessa estetica cavalleresca, ridipinta con tonalità cupe e perverse. FromSoftware, ormai dieci anni fa, non ha inventato dal nulla un'epica di stampo "soulsiano", ma l'ha solo rielaborata, estremizzandone i concetti e dando vita ad un "nuovo", oscuro medioevo, dove non esistono scintillanti corazze ma solo rugginose armature, non cavalieri in groppa a bianchi destrieri, ma smunte e scarnificate pedine sacrificabili, che non conosceranno mai alcuna gloria.

    Il nome di King's Field è giunto alle orecchie di molti solo dopo il trionfo, un po' tardivo, di Demon's Souls: quattro episodi in cui, col senno del poi, si intravedono in filigrana i tratti caratteristici delle opere successive, quelle con cui FromSoftware sarebbe salito agli onori della cronaca.
    Il percorso verso il successo è stato irto di ostacoli, reticenze e insidie da ogni dove. Sembra quasi di trovarsi dinanzi ad un piccolo, beffardo contrappasso: il gioco ha dovuto lottare a lungo prima di sperimentare il sapore della vittoria, proprio come i giocatori stessi sono stati costretti a grondare litri di sudore e sangue per riuscire a superare le prove del reame di Boletaria.

    Non sorprende, insomma, che - almeno inizialmente - i vincoli dettati dalla grande complessità e dalla progressione estremamente punitiva abbiano scoraggiato una gran fetta di pubblico, sia orientale, sia occidentale. Alla fine, però, in un modo o nell'altro, complice la fondazione di un immaginario dolorosamente criptico e fascinoso, unito al piacere di una sfida sempre crescente e gratificante, Demon's Souls è stato in grado di oltrepassare la "nebbia" della nicchia videoludica in cui si era rintanato, e di tramutarsi in una reliquia di culto, ancora oggi ritenuta più proibitiva rispetto ai suoi discendenti indiretti, quei Dark Souls che ne hanno recuperato l'anima e l'hanno riposta al sicuro, tra le fiamme di un fuoco inestinguibile.

    (Im)preparati a morire

    Non si è mai pronti, dinanzi alla morte: per quanto si possa giungere "preparati", fisicamente e psicologicamente, al suo arrivo, nel momento esatto in cui sopraggiunge ci colpisce duro e ci scaraventa al suolo, nella disperazione più totale. Perché sappiamo, in fondo, che quello è solo l'inizio. Benché sembri l'esatto contrario, in Demon's Souls la morte non esiste, almeno non nel modo in cui la intendiamo noi. È più una punizione che una "conclusione": al termine di ogni trapasso, infatti, ci risveglieremo con meno anime e meno punti vita, costretti a ripercorrere dal principio l'intero percorso prima di giungere nuovamente alla meta finale.
    Demon's Souls è pertanto una continua rinascita, un circolo vizioso, una prigione dalla quale è impossibile evadere. Ogni fallimento è un danno ulteriore, un peso aggiuntivo che rende ancora più difficile sopravvivere: con pochissime Arcipietre a scandire l'avanzamento, non rimane altro da fare che analizzare ogni minimo anfratto di quel mondo consumato dall'odio, nella fievole speranza di trovare qualche scorciatoia, qualche sentiero sicuro. E allora, in preda al panico, iniziamo a correre, nonostante le ferite, cercando di scansare le orde di creature dinoccolate che provano a maciullarci, nel tentativo di proseguire a tentoni verso una meta sempre troppo lontana.
    Ma la fretta è cattiva consigliera, e "i morti viaggiano veloce": più proviamo ad evitare i nemici, più le trappole finiscono per sorprenderci, e per ucciderci ancora, e ancora, e ancora. L'unica chance è dunque quella di combatterla, la morte. Sfidare a testa alta i pericoli di questo limbo demoniaco, muovendosi con cautela e circospezione, senza mai lasciarsi schiacciare dallo sconforto. Eppure, quando l'ultimo trapasso ha dimezzato sia l'indicatore della salute sia le nostre speranze, diventa terribilmente difficile riuscire a farsi forza.
    Più che nella serie Dark, è in Demon's Souls che la sconfitta ha un gusto troppo amaro da digerire, perché le conseguenze sono molto più marcate, tangibili, effettive.

    È in questi casi che vale la pena, insomma, aggrapparsi a qualsiasi ancora di salvezza: nel caso specifico di Boletaria, il solo barlume di luce è quello emanato dagli spettri di altri eroi deceduti. I loro corpi eterei e intangibili ci trasmettono l'illusione di non essere da soli, di poter condividere con qualcuno le nostre sofferenze. Nei messaggi impressi sul terreno si annida sia il desiderio comunitario di supporto reciproco, sia la meschina volontà di ingannare sprovveduti viandanti, affinché cadano, come noi, nelle braccia della nera mietitrice.
    Nelle evocazioni si manifesta invece la voglia di collaborare per un bene comune, di annientare quel mostro che tante volte ha annichilito la nostra forza combattiva. Nelle invasioni, infine, prolifera il cancro dell'ingordigia, la fame sfrenata di potere che corrompe gli abitanti del reame, la stessa spietatezza di un demone pronto a divorare i propri simili. Ora che FromSoftware s'appresta a serrare le porte dell'online, la solitudine torna ad essere la nostra unica e sola compagna di viaggio.
    Non troveremo più nulla ad attenderci tra i cadaveri e le membra dilaniate, tra le distese della Cripta delle Tempeste, o tra i sordidi sotterranei del Tunnel di Stonefang: quel che resta è unicamente il silenzio di un mondo vuoto, senza più anime. Privare Boletaria del suo ultimo residuo di vera umanità è quindi il solo modo con cui un universo come quello di Demon's Souls può davvero morire.

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