Digital Bros Game Academy: a lezione di game design con Reid Schneider

Il produttore di Journey to the Savage Planet, guest trainer della Digital Bros Game Academy, svela dieci punti focali sullo sviluppo dei videogiochi.

Digital Bros Game Academy: a lezione di game design con Reid Schneider
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  • Reid Schneider non è uno di quei game designer/rockstar con migliaia di follower su Twitter: ecco perché il suo nome potrà forse risultarvi del tutto nuovo, nonostante figuri nei credits di titoli di una certa caratura, dal primissimo Tom Clancy's Splinter Cell ad Army of Two, da Battlefield Vietnam ad Arkham Origins. Ha lavorato da Ubisoft ed EA, e ha contribuito all'apertura degli studi di Montréal di Warner Bros. Interactive Entertainment. Cos'è allora che spinge un professionista con un curriculum del genere a mollare tutto e ad aprirsi la sua piccola realtà indipendente, Typhoon Studios, rinunciando a sicurezza e benefici che solo un grosso team può garantire?

    "In studi molto grandi ci si specializza sempre di più: potresti diventare quello che si occupa della realizzazione dei fili d'erba". Non lo dice con cattiveria, tutt'altro: anche questi dettagli sono importanti nell'economia generale di un titolo AAA, e se si decide di essere un piccolo tassello di un enorme mosaico, va benissimo così.

    È un discorso applicabile a tante altre tipologie di lavoro, se ci pensate: quelli di natura maggiormente creativa offrono più stimoli e libertà, ma sono anche i più rischiosi; pro e contro comuni anche a studi di sviluppo di dimensioni e obiettivi differenti: un team più piccolo ha meno personale e meno budget di una grossa azienda, ma anche un numero inferiore di paletti e logiche stringenti da tenere in considerazione. Fattori che possono bastare e avanzare per decidere quale strada intraprendere, un po' come successo a Reid, che con l'amico e collega Alex Hutchinson (che ha ricoperto il ruolo di lead designer di Spore e ha lavorato su Assassin's Creed 3, e Far Cry 4, tra i tanti) ha fondato Typhoon. Il primo frutto di questo sodalizio presso una nuova casa, più minuta ma assai accogliente, è Journey To The Savage Planet, un'avventura spaziale piena di colore e umorismo che ci ha già conquistato nel primo contatto ravvicinato, in arrivo il 28 gennaio su PS4, Xbox One e PC (Epic Games Store).

    Tra i banchi della Digital Bros Academy

    In press tour per presentare la sua creatura, Reid ha tenuto a Milano una lezione molto interessante agli allievi della Digital Bros Game Academy(DBGA): l'autore è stato invitato da Geoffrey Davis, Direttore Generale e Co-Fondatore della DBGA, membro della famiglia Digital Bros di cui fa parte anche 505 Games, il publisher con cui Typhoon ha unito le forze per il lancio del gioco. Nell'accademia, una vera scuola di formazione per i futuri professionisti dell'industria dei videogiochi, che offre 4 corsi dedicati al game development (Game Design, Game Programming, Game Art 3D e Concept Art), gli studenti lavorano quotidianamente fianco a fianco con sviluppatori professionisti, ma sono proprio lezioni speciali come quelle tenute da guest trainer unici come Mr. Schneider che offrono un contatto diretto con le figure di spicco dell'industry mondiale, a disposizione sia per condividere le proprie esperienze apprese "sul campo"; sia per rispondere alle domande e alle curiosità più disparate dei developer del domani.

    Ci siamo intrufolati nel seminario tenuto da Reid, chiamato "Journey to Opening a Studio", e questi sono alcuni degli utili insegnamenti che abbiamo tratto.

    Si parte da zero, ma c'è luce in fondo al tunnel

    Typhoon Studios ha aperto i battenti nel febbraio del 2017. Da allora il team ne ha fatta di strada, e può finalmente chiamare "casa" un accogliente ufficio in quel di Montreal. Ma i primi passi non sono stati proprio idilliaci: la location degli inizi era uno studio di motion capture, cupo, privo di finestre o sbocchi di alcun genere, davvero opprimente. Un luogo perfetto per attività come quella del mo-cap, ma non come fucina di creatività.

    Reid Schneider, Producer e Co-Founder di Typhoon Studios

    Nel maggio del 2017 Reid e soci hanno trovato una sistemazione temporanea in un seminterrato in cui non mancavano le finestre, ma dalle quali entrava prevalentemente il fumo delle sigarette degli operai in pausa pranzo. Da giugno di quell'anno in poi però sono iniziati i lavori del loro attuale ufficio, e da allora è stata un'escalation di cose positive: insomma, se dovesse venirvi in mente di aprire un vostro studio di sviluppo, preparatevi al peggio, almeno all'inizio; tuttavia buone idee e duro lavoro possono portarvi verso il successo.

    "Perché dovreste copiare Call of Duty? Chi ci gioca compra direttamente l'originale, no?" afferma Reid, ribadendo sia l'importanza, in primis, di farsi notare con produzioni quanto più originali in un mare magnum sempre più affollato, sia di lavorare a qualcosa di fresco e innovativo, indubbiamente molto più stimolante anche e soprattutto per chi lo crea.

    Non a caso il fulcro del gameplay del suo Journey to the Savage Planet non è tanto il combattimento contro creature aliene, quanto l'esplorazione del pianeta e la catalogazione degli elementi che lo compongono, il tutto nei panni di uno scienziato, non di certo un prode condottiero.

    Personalità, ma non proprio in tutto

    È cruciale svettare sulla massa di giochi tutti simili tra loro, e un buon modo per farlo è offrire un titolo ricco di personalità e humour proprio come Journey to the Savage Planet, che sotto questo particolare aspetto non risparmia minimamente la sua dose di carattere, grazie a (finte) pubblicità surreali, battute e mostriciattoli dal comportamento (e a volte anche l'aspetto) davvero buffo. Non sorprenda più di tanto il contributo di una delle penne che hanno dato vita a Borderlands 2, la cui serie ha costruito una base di grande successo sullo stile sferzante e dissacrante.

    Seminario di Reid Schneider in DBGA

    Questo però non implica necessariamente l'urgenza di rendere personale e unico ogni singolo elemento dell'opera: un consiglio che offre Reid è puramente tecnico, e consiste nell'investire tempo e risorse sull'apprendimento di ogni segreto del motore di gioco scelto, più che sulla personalizzazione dello stesso. Reid lavora con l'Unreal Engine sin dall'inizio, e non poteva che selezionare la quarta versione per il suo ultimo progetto.

    Sperimentare con modifiche e software aggiuntivi è sicuramente allettante, ma è un lusso che possono permettersi solo i team con maggiori budget e forza lavoro. Meglio andare sul sicuro con quanto si ha a disposizione e sfruttarlo al 100%, così da ridurre al minimo eventuali problemi e bug che spuntano fuori nelle fasi finali.

    Non sistemare domani ciò che si può aggiustare oggi

    A proposito di bug: un'altra nozione molto importante trasmessa agli studenti della Digital Bros Game Academy riguarda la fase di polishing, di "pulizia" del codice di gioco, che molti studi tendono a procrastinare e a tenere come ultima tappa dello sviluppo.

    Il problema di questo approccio sta nell'impossibilità di prevedere la mole di lavoro che un simile processo comporta: lavorando per mesi con stringhe di codice "sporche" e utilizzandole come fondamenta dell'intero gioco, gli errori e i problemi si accumulano, e il più delle volte non bastano uno o due mesi di rifinitura. Typhoon tende a suddividere ogni fase in "thirds", in scaglioni di 4 mesi, entro i quali lavora anche alla pulizia del codice e delle build del titolo, così da non incappare in brutte sorprese all'ultimo momento. Come ci ha confessato lo stesso Reid, questa maggiore organizzazione gli ha permesso, per la prima volta nella sua carriera, di debellare la piaga del crunch: "20 anni fa era una medaglia al valore, ma no, non ha nulla di positivo".

    Ottimizzando al meglio il lavoro, e grazie anche al supporto di 505 Games, che su sua stessa ammissione non ha forzato o richiesto di accelerare le tempistiche di pubblicazione, il team si è risparmiato i turni massacranti che, come ormai tristemente noto, affliggono tanti altri studi.

    La comunicazione è la chiave

    Uno studio più piccolo comunica meglio ogni aspetto della produzione: ce lo ha confermato, d'altronde, anche nella nostra intervista Roby Atadero di Obsidian, al lavoro - con un team decisamente più ristretto del solito - a Grounded.

    I reparti, molto più gestibili, possono confrontarsi con più attenzione e tranquillità sulle feature e le meccaniche da inserire, ma anche sul modo di implementarle quanto più armonicamente possibile; tool come Confluence permettono di raccogliere i tutorial, le informazioni da tenere a mente, le direttive per lavorare adeguatamente al progetto.

    In aggiunta, Reid ci tiene a ribadire una precisa logica di sviluppo che contraddistingue il suo gruppo, riassumibile nella frase "We never go dark": è infatti usanza comune per alcuni reparti interni lavorare a una feature per 2-3 mesi, chiudendosi a riccio e interrompendo ogni dialogo con il resto del team molto tempo, salvo poi accorgersi a lavoro ultimato di aver creato qualcosa di incompatibile con il resto del gioco. Typhoon Studios, stando a quanto sostenuto dal suo fondatore, si è tenuto ben alla larga da una simile processo, evitando così di incappare in un grosso problema che può affliggere le piccole software house.

    Le "soft skill" contano quanto quelle "hard"

    In un team composto da un collettivo di figure dalle competenze più diversificate all'opera su un unico prodotto, l'abilità puramente tecnica di ciascun componente è fondamentale: ogni tassello, ogni ruolo ha un impatto sul prodotto finale, e la debolezza di uno sviluppatore può rispecchiarsi, con effetti nefasti, sul risultato complessivo. Quanto imparato studiando o collaborando in studi prestigiosi è quindi molto utile, un bonus non indifferente quando si cerca lavoro presso un'azienda che realizza videogiochi.

    Ma più piccola e indipendente è la realtà, più le "soft skill", dalla personalità al comportamento con i colleghi, possono influire sull'assunzione e sulla permanenza di uno sviluppatore. Per Reid si può essere bravi e talentuosi, ma in Typhoon, così come altrove, non c'è posto per i piantagrane irrispettosi.

    Finire, sempre, ciò che si comincia

    Tutti sono bravi a dar vita a un progetto molto interessante sulla carta, potenzialmente divertente e rivoluzionario, destinato a stravolgere la concezione di videogioco. Ma chi è che poi riesce a concretizzare quella visione, o quantomeno a mantenere le promesse?

    La percentuale si abbassa drasticamente. E sul curriculum di uno sviluppatore alle prime armi fa molta più bella figura un gioco distribuito effettivamente, che 15 progetti nati e morti nel giro di qualche mese: meglio quindi unirsi a un team già avviato, o mettere in piedi una propria squadra, con l'idea di lavorare a titoli più contenuti e realizzabili, senza puntare da subito al proprio ambizioso, incompiuto e irrealizzabile Metal Gear Solid. Una concretezza necessaria anche una volta ottenuto un posto di lavoro in un team: se credete che una meccanica, un elemento o una feature possano impreziosire e migliorare l'esperienza, inseriteli nella build e date prova ai vostri colleghi che l'idea funziona davvero. Finché non esiste, non si può dimostrare di aver fatto realmente qualcosa di buono.

    Meglio regnare all'Inferno che servire in Paradiso

    Prendiamo in prestito le immortali parole del Paradiso Perduto di John Milton per esprimere un concetto molto importante menzionato più volte da Reid durante il suo seminario, che è alla base del ragionamento che lo ha portato ad abbandonare il mondo dei AAA per dedicarsi a progetti minori ma più soddisfacenti.

    I grossi studi di sviluppo garantiscono sicurezza, stipendio fisso, benefici di vario genere, ma ci si ritrova necessariamente ad adattarsi alle esigenze di questo o quel prodotto, e i propri sogni di gloria rischiano di smorzarsi al centesimo sasso renderizzato in un mese. La libertà e gli stimoli che offre una realtà più piccola e indipendente sono imparagonabili, e Reid ce lo dimostra attraverso video e immagini della vita di tutti giorni in ufficio, tra gag e meeting assolutamente informali, un ambiente che però favorisce la creatività e che rende più godibile l'esistenza dei suoi membri.
    Non è tutto rose e fiori, chiaramente: è un ambiente di lavoro più creativo e frizzante, ma altamente imprevedibile, che richiede di "indossare più cappelli", per tradurre direttamente l'espressione utilizzata da Reid con lo scopo di indicare la necessità di lavorare a più aspetti di un gioco, anche uscendo dalla propria sfera di azione ed esperienza.

    Serve una certa predisposizione al multitasking, skill che peraltro rende molto più appetibile uno sviluppatore in uno studio indipendente: se un giovane technical designer, tra le figure più richieste al momento (come afferma lo stesso Reid) può permettersi di focalizzarsi solamente su quanto studiato, un narrative designer con più competenze fa molto più colpo di un concorrente esperto in un unico campo.

    Reid Schneider e Geoffrey Davis, Direttore Generale e Co-Founder di DBGA

    Medesimo discorso vale per la figura del producer, la stessa ricoperta da Schneider, che in Typhoon si occupa di supervisione di vari reparti, ma anche di risorse umane e persino dei pagamenti, o della compilazione delle wiki interne: un "facilitatore", come si è definito lui stesso, che in favore del bene comune deve mettere il suo ego da parte e agevolare in ogni modo possibile il lavoro di ogni membro del team.

    Costa meno un live action che una sequenza in CG

    Vi siete mai chiesti come mai sempre più sviluppatori utilizzino sequenze video con attori in carne e ossa, tanto nelle pubblicità quanto in-game, rispetto alla cara vecchia computer grafica? La risposta è semplice: ormai costa molto meno affittare uno studio cinematografico e assoldare veri attori e registi, che impiegare decine di animatori e sfruttare software costossissimi.

    Uno dei mantra di Reid è di trasformare ogni avversità in un punto di forza, e col poco budget a disposizione, compensato da tanta creatività. Il team è riuscito a unire l'utile al dilettevole in Journey To The Savage Planet, grazie sia a folli sketch che puntano ad arricchire il racconto al pari di una classica sequenza narrativa, sia a pubblicità che scimmiottano e deridono quelle, tipicamente americane, di cui sono pieni i canali TV regionali, e che donano tonnellate di personalità al progetto. E se il prodotto finale sarà esilarante tanto quanto i dietro le quinte che ha mostrato Reid durante il seminario, ne vedremo delle belle.

    Feedback & errori, amore e odio

    Ammettere di aver sbagliato richiede coraggio, ma l'errore più grande è forse quello di difendere troppo strenuamente la propria visione, al punto da compromettere il risultato finale. Reid cita due esempi, uno positivo e uno negativo: il primo è quello di Cory Balrog, che ha lottato con ogni mezzo possibile per mantenere in God of War la figura di Atreus. Una guerra intrapresa con i piani alti del team che ha vinto, e a giovarne è stato il gioco stesso.

    Quello negativo riguarda invece proprio il suo team e i tanto odiati "focus testing", che lui stesso definisce "terribili" ma necessari, al pari di dover assumere una medicina dal saporaccio che resta a lungo in bocca. Si tratta sostanzialmente di far provare un gioco, in uno stadio ancora lontano dal completamento, a gruppi di persone che offrono feedback di ogni genere, e il team deve assistere in diretta alle loro reazioni. Chiaramente non è certo piacevole sentirsi dire che la propria creatura, frutto di anni di lavoro e notte insonni, "Fa schifo". Purtroppo, se qualcosa non funziona va sistemato, c'è poco da fare.

    Come le sezioni platform di Journey to the Savage Planet, già di per sé complesse per via della telecamera in prima persona. I tester hanno avuto non pochi problemi nel saltare da una piattaforma all'altra, ma Alex, il co-fondatore, era arrivato a negare l'evidenza pur di difendere la propria visione, salvo poi assistere in diretta a una morte dopo l'altra e a optare, di comune accordo al resto del team, all'implementazione dei cartographer, dei robot che supportano il giocatore e che, nel caso di una caduta, lo riportano sul punto da cui ha spiccato il salto, senza costringerlo a ricaricare l'ultimo salvataggio. Insomma, combattere per non intaccare la propria integrità creativa è cosa buona e giusta, ma bisogna trovare un equilibrio e comprendere quando un sacrificio può migliorare la riuscita dell'opera.

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