Dragon Ball Final Bout: che brutto! Ma assolutamente indimenticabile

Vi ricordate di Dragon Ball: Final Bout? Oggi vogliamo parlarvene in attesa di mettere le mani su Dragon Ball Budokai Tenkaichi 4.

Articolo a cura di
Disponibile per
  • PS5
  • Circa ventotto anni fa quasi nessun fan della serie avrebbe avuto il coraggio e la sincerità di ammetterlo, ma fatta eccezione per l'indimenticabile Dragon Ball Z: The Legend, i titoli per PlayStation One tratti dal popolarissimo manga di Akira Toriyama lasciavano davvero a desiderare. Dopo il recente speciale dedicato al già menzionato Dragon Ball Z: The Legend, che in Europa vide la luce soltanto su Sega Saturn, abbiamo deciso di sbloccarvi un altro ricordo risalente all'epoca PS1 e porre sotto esame Dragon Ball: Final Bout, un picchiaduro dal gameplay estremamente legnoso.

    Dragon Ball GT, siamo (quasi) tutti qui

    Sviluppato da Tose Software, studio nipponico che in precedenza aveva già realizzato numerosi videogiochi di Dragon Ball per NES e SNES, Dragon Ball: Final Bout è stato il terzo e ultimo tie-in dell'opera a piombare su PlayStation One.

    Pubblicato in tutto il mondo tra i mesi di agosto e novembre 1997, il prodotto - che in solo in Nord America è anche noto come Dragon Ball GT: Final Bout - detiene almeno tre primati: non solo il fighting game confezionato dai ragazzi di Tose è stato il primo titolo della serie a ispirarsi a Dragon Ball GT (serie animata non tratta dal manga originale che all'uscita del gioco sul mercato nipponico non si era ancora conclusa), ma è stato tra le altre cose il primo tie-in del franchise a vantare una grafica tridimensionale e a ricevere una localizzazione ufficiale in inglese.

    Da Dragon Ball: Shenlong no nazo a Dragon Ball Z: Hyper Dimension, passando per i tre Dragon Ball Z: Super Butoden, tutte le precedenti iterazioni del brand giunte nel nostro lato del globo erano state infatti tradotte soltanto in francese e spagnolo, anche perché Dragon Ball Z: Ultimate Battle 22, che il pubblico giapponese e quello europeo hanno potuto giocare già tra il 1995 e il 1996, sarebbe approdato in America soltanto nel tardo 2003.

    Per il rovescio della medaglia va detto che, dei tre titoli di Dragon Ball a essere entrati a far parte del parco giochi di PlayStation One, proprio Final Bout era il più povero dal punto di vista contenutistico, in quanto il gioco proponeva soltanto 17 personaggi giocabili, di cui sette sbloccabili completando la modalità principale a qualsiasi livello di difficoltà.

    Se il roster di base comprendeva i soli Goku adulto e bambino, Pan, Trunks, Vegeta Super Saiyan 2 e Ultimate Gohan in versione DBZ, Piccolo, Freezer, Perfect Cell e Kid Buu, superando le varie sfide proposte dalla modalità arcade era possibile ottenere anche Goku adulto Super Saiyan di GT e Super Saiyan 2 di DBZ, Goku bambino Super Saiyan, Future Trunks Super Saiyan, Vegeth Super Saiyan e l'iconico Goku Super Saiyan 4, le cui condizioni di sblocco erano un tantino particolari. Per poter sfidare e quindi mettere le mani sul guerriero dal folto manto peloso di colore rosso, che in alternativa poteva essere sbloccato anche attraverso un trucco da eseguire nella schermata iniziale, era infatti necessario sconfiggere il boss finale della modalità arcade a difficoltà massima e senza riportare alcun danno. Un'impresa tutt'altro che impossibile, che però poteva richiedere più di un tentativo, anche perché l'avversario in questione era un bestione gigantesco che occupava buona parte dello schermo.

    Come di certo ricorderanno i fan di vecchia data, stiamo parlando di Super Baby (o Baby Vegeta Golden Oozaru, se preferite), un lottatore che, nonostante le fantasiose e del tutto infondate leggende metropolitane che circolavano a quel tempo, non poteva essere aggiunto al roster giocabile se non utilizzando il Game Shark (una periferica che consentiva l'inserimento di trucchi particolari).

    Tuttora non sappiamo se il mancato inserimento tra i personaggi selezionabili sia stato intenzionale o se invece fosse semplicemente dovuto a una mancanza di tempo da parte dello sviluppatore, tuttavia se il giocatore si serviva del Game Shark per impersonare lo scimmione in modalità arcade, al momento di affrontare il boss finale si trovava difronte una versione ricolorata di Super Baby afflitta da un modello poligonale incompleto e assai strano da vedere.

    Piccole gioie e grandi dolori

    Senza nulla togliere alla povertà di contenuti, il motivo principale per cui Dragon Ball: Final Bout non viene ricordato come un tie-in prettamente riuscito va però ricercato nel sistema di combattimento legnoso e superficiale, nonché lontano dal frenetico ritmo raggiunto dagli scontri del franchise. Il gioco era del resto penalizzato da controlli inaccurati, tempi di reazione spesso imbarazzanti e un sistema di combo davvero banale, che con pochi colpi ben assestati permetteva di mandare subito al tappeto l'avversario.

    Se di conseguenza la noia bussava alla porta già dopo qualche incontro, va specificato che la longevità di Dragon Ball: Final Bout si attestava sulle due-tre ore circa, anche perché la creatura di Tose Software non presentava la modalità storia che solo l'anno prima aveva invece sancito la fortuna di Dragon Ball Z: The Legend.

    Se dal punto di vista ludico Dragon Ball: Final Bout era insomma un mezzo disastro, lo stesso non si può dire per l'accompagnamento musicale, che presentava riarrangiamenti delle melodie impiegate nei titoli di DBZ per NES e SNES, versioni strumentali delle canzoni inserite nei lungometraggi, e addirittura qualche theme song come ad esempio la strepitosa "Hikari No Will Power" dedicata a Future Trunks (a proposito, se volete cimentarvi in un ottimo gioco del franchise, vi consigliamo di leggere la nostra recensione di Dragon Ball Z Kakarot).

    Se non altro, di Dragon Ball: Final Bout potremo inoltre continuare a ricordare con piacere il fantastico video di apertura girato dal regista nipponico Mitsuo Hashimoto (già regista di Dragon Ball Z: Le origini del mito, La sfida dei guerrieri invincibili e Il destino dei Saiyan) e il brano "The Biggest Fight" del leggendario Hironobu Kageyama, che dopo le intramontabili "Cha-La Head-Cha-La" e "We Gotta Power" avrebbe cantato, negli anni a venire, anche le intro di vari Budokai, Budokai Tenkaichi e dei due Raging Blast. Un contentino non da poco, per un gioco che disgraziatamente non funzionava a dovere.

    Quanto attendi: Dragon Ball Z: Budokai Tenkaichi 4

    Hype
    Hype totali: 36
    82%
    nd