Dragon Quest 11: un viaggio retrospettivo alla (ri)scoperta della saga

A due settimane soltanto dall'avvento di Dragon Quest XI, vi proponiamo un lungo speciale volto a ripercorrere la storia della serie.

Dragon Quest 11: un viaggio retrospettivo alla (ri)scoperta della saga
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  • Switch
  • Xbox One X
  • PS4 Pro
  • Stadia
  • Xbox Series X
  • Correva ancora l'anno 1980 quando il geniale gamer designer Yuji Horii cominciò a progettare un videogioco che avrebbe goduto di una colonna sonora composta da Koichi Sugiyama e del character design di un mangaka ancora emergente, ma che di lì a poco avrebbe ridefinito i canoni del genere shonen: Akira Toriyama, il papà di Dragon Ball. Ci vollero circa sei anni perché il loro prodotto raggiungesse gli scaffali nipponici, ma nessuno dei tre si sarebbe probabilmente aspettato che quella creatura così ambiziosa avrebbe dato inizio ad un fenomeno che da oltre trent'anni ormai continua a conquistare sempre più sostenitori, facendo sì che i suoi autori fossero protagonisti non solo di un fruttuoso sodalizio che perdura ancora oggi, ma soprattutto del processo di cementazione del genere JRPG. Chiunque abbia vissuto in prima persona quegli anni così importanti, assistendo coi propri occhi ai primi passi del suddetto sottogenere ludico, concorderà con l'affermazione che vede Dragon Quest non come una qualsiasi saga di giochi di ruolo à la giapponese, bensì come il marchio che ha principalmente spinto l'industria nipponica a perseverare lungo il sentiero scavato da Yuji Horii e illuminato, un anno più tardi, dall'altrettanto estroso Hironobu Sakaguchi, ideatore dello storico rivale proposto dalla Casa dei Chocobo: Final Fantasy.
    Poiché negli ultimi giorni ci siamo finalmente inoltrati nelle lande di Dragon Quest XI: Echi di un'Era Perduta, abbiamo deciso di ripercorrere il passato della serie, annotando le tappe principali del suo lungo viaggio. Siete pronti ad avventurarvi assieme a noi in un mondo pullulante di slime dai molti colori, minacciosi golem di pietra e possenti draghi millenari?

    Roto e i suoi eroici discendenti

    A differenza del già citato Final Fantasy, la serie di Dragon Quest, che fin dall'esordio nel Paese del Sol Levante ha goduto del medesimo successo raggiunto dal rivale, ha dovuto faticare molto per conquistarsi il giusto spazio nei mercati occidentali, approdando ufficialmente in Europa soltanto nel 2006, con l'uscita dell'ottavo episodio. I giocatori nipponici ed i nostri cuginetti oltreoceano, invece, hanno ricevuto il privilegio di familiarizzare con le originali meccaniche della serie già ai tempi del cosiddetto Family Computer - la stessa macchina che noi occidentali identificavamo col nome di Nintendo Entertainment System - la quale ospitò quella che i fan riconoscono come la "Trilogia di Roto".

    Anche nota in Occidente come Erdrick, quella di Roto è stata infatti una figura ricorrente nei primi tre giochi del franchise, in quanto gli eroi del primo e del secondo episodio di Dragon Quest erano suoi lontani discendenti, spingendo i fortunati possessori delle suddette cartucce a covare una crescente e legittima curiosità verso il suo mito, più volte menzionato nel corso della saga. Una curiosità che l'allora ENIX avrebbe soddisfatto solo nel 1988, con l'uscita di Dragon Quest III: un prequel che finalmente raccontava ai fan le gesta del leggendario Roto, svelando tutti i dettagli circa l'avventura che lo portò a sconfiggere l'odiato signore dei demoni, Baramos. Essendo appunto degli esperimenti, peraltro effettuati su una macchina dalle evidenti limitazioni tecniche, oggi le prime incarnazioni del brand farebbero probabilmente storcere il naso a qualsiasi neofita (e forse è proprio per questo che SQUARE ENIX non ha mai portato in Occidente i recenti porting per PS4 e 3DS, o anche solo la ghiotta raccolta pubblicata su Wii), ma al tempo ridefinirono il concetto di videogioco.

    Prima dell'uscita di Dragon Quest, la maggior parte dei titoli consisteva infatti in frenetiche produzioni di stampo action, affette purtroppo da comparti narrativi pressoché inesistenti o comunque stracolmi di buchi che i giocatori erano soliti colmare attraverso la propria immaginazione. Al contrario, il progetto di Horii vantava una trama solida e anche piuttosto longeva, quantomeno per gli standard degli anni '80, costringendo l'intera industria videoludica ad elevare i propri standard e a spingere gli sviluppatori a investire molte energie nel concepimento di storie complesse e articolate. Tra gli altri meriti della Trilogia di Roto non possiamo non citare l'introduzione dei mezzi di trasporto (solitamente recuperabili a metà avventura), dei minigiochi opzionali, e soprattutto dei preziosissimi punti di salvataggio sparsi per tutto il mondo di gioco, che di lì a poco sarebbero diventati componenti fondamentali della tradizione del JRPG.

    Zenithia, una scala per il paradiso

    Dopo aver dedicato ben tre capitoli alla dinastia di Roto, Horii progettò altrettanti episodi per quella che sarebbe passata alla storia come la "Trilogia di Zenithia", in quanto ciascuno dei vari titoli - stavolta narrativamente slegati fra loro - ruotavano attorno ad un leggendario castello fluttuante che, secondo i miti, vegliava sul mondo umano: Zenithia, appunto. Lanciato su NES nel 1990, Dragon Quest IV: Il Capitolo dei Prescelti si distinse dai precedenti episodi per la presenza di un party piuttosto vasto, in quanto il canovaccio narrativo proponeva ben sei storie che in seguito si sarebbero incrociate per dar vita all'epica battaglia finale contro le forze del male.

    La vera rivoluzione del franchise avvenne però con l'uscita del Dragon Quest V: La sposa del destino, il primo episodio ad essere pubblicato sulla nuova macchina di Nintendo: il leggendario SNES. Sulla scia di quanto fatto due anni prima dal suo predecessore, il titolo vantava un cast di avventurieri ben caratterizzati, e la storia seguiva per la prima volta l'intero ciclo vitale dell'eroe di turno, partendo dalla sua gioventù per poi giungere all'età adulta, consentendo addirittura al giocatore di sceglierne la consorte. Proprio da quest'ultima caratteristica, che all'epoca sarà certamente parsa un'assurdità (quantomeno a primo acchito), ma che oggi risulta una pratica piuttosto diffusa nei giochi di ruolo, permetteva infatti di determinare i parametri e l'aspetto dell'ultima generazione di eroi, alterando di poco la trama e invogliando i giocatori ad effettuare un secondo playthrough per cogliere tutte le differenze. Forte di una toccante e longeva storyline, Dragon Quest V si contende ancora oggi il titolo di episodio più amato dai fan, anche grazie all'introduzione di meccaniche di tutto rispetto; fra le principali ricordiamo la curiosa possibilità di reclutare i mostri sconfitti in battaglia, i quali, essendo spesso dotati di abilità esclusive, andavano a incrementare all'inverosimile le possibili configurazioni del party.
    Nonostante i tre anni che separarono il lancio di Dragon Quest VI: Nel Regno dei Sogni dal suo predecessore, la trama del terzo ed ultimo esponente della trilogia Zenithiana non riuscì nemmeno a sfiorare i picchi toccati dal quinto episodio. Eppure il titolo, sfruttando appieno le potenzialità del NES, presentava migliorie di tutto rispetto, fra le quali è impossibile non menzionare la presenza di mostri finalmente animati in battaglia, per non parlare del gradito ritorno del Sistema delle Vocazioni (già proposto, in forma ridotta, in Dragon Quest III) - un sistema che incoraggiava il cambio di vocazione dei personaggi controllati, affinché questi apprendessero nuove magie e abilità, e godessero al contempo di sostanziosi miglioramenti in materia di statistiche.

    Sfortunatamente tutte queste prodigiose migliorie rimasero a lungo un crudele miraggio per i giocatori occidentali, in quanto la quinta e la sesta incarnazione del brand furono le prime a rimanere confinate nel solo Giappone, almeno finché la trilogia di Zenithia non ricevette dei completi remake per Nintendo DS a cavallo fra il 2007 ed il 2010.

    L'era PlayStation

    Anche per i motivi di cui sopra, i due successivi episodi della saga sono ancora oggi i più amati dal pubblico occidentale, in quanto segnarono il ritorno del brand nei mercati nostrani e soprattutto videro il passaggio della serie su console Sony (che a quel tempo, come durante la generazione attuale, detenevano il primato assoluto). Pubblicato sulle PlayStation nipponiche e americane fra il 2000 ed il 2001, Dragon Quest VII: I guerrieri dell'Eden (in Occidente conosciuto con il sottotitolo "Frammenti di un mondo dimenticato") è approdato ufficialmente in Europa solo nel 2016, attraverso il porting per Nintendo 3DS.

    Ciononostante, l'importazione e la pirateria che affliggeva l'originale PlayStation fecero sì che il titolo fosse fruibile in ogni angolo del globo. Sebbene la settima creatura di Horii fosse ancora in 2D, con eccezione fatta per le battaglie (qui proposte in tre dimensioni), il prodotto includeva per la prima volta dei personaggi capaci di muoversi e di gesticolare durante i dialoghi, semplificando non poco la comprensione degli stessi, nonché dei compagni di viaggio finalmente propensi a interagire fra loro, sia durante la battaglia che durante i vagabondaggi del party.
    Sviluppato dai ragazzi di LEVEL-5 per l'immortale PlayStation 2, Dragon Quest VIII: L'odissea del re maledetto è senz'ombra di dubbio il più valido esponente di tutta la saga, nonché uno dei migliori RPG di produzione nipponica. Potendo contare su una storia memorabile e trottante, su un cast di eroi magistralmente caratterizzati, e sul consueto character design di Toriyama, che proprio grazie all'hardware permissivo di PS2 poté esprimere una buona volta tutta la sua creatività, il risultato raggiunse un livello qualitativo elevatissimo, entusiasmando tanto la critica specializzata quanto il pubblico. Le ragioni di questo smisurato esito andrebbero attribuite alla bontà della storyline, al titanico balzo in avanti compiuto sul fronte grafico, alla presenza (alla buon ora!) del doppiaggio e di tante meccaniche inedite che andarono ad abbellire il gameplay.

    Per esempio, una delle novità più apprezzate dai fan fu il sistema della "Tensione", ossia una meccanica ispirata a Dragon Ball che permetteva di spendere qualche turno per incrementare il livello di potere del personaggio selezionato; a ragion veduta, è impossibile dimenticare la trasformazione in Super Saiyan che il protagonista della vicenda subiva una volta raggiunto il livello massimo di tensione!

    Multiplayer a tutti i costi

    Se Dragon Quest VIII: L'odissea del re maledetto rappresenta ancora oggi il picco più alto mai raggiunto dal brand di SQUARE ENIX su home console, Dragon Quest IX: Le sentinelle del cielo dimostrò l'indiscutibile valore del Nintendo DS.

    Sviluppata ancora una volta dai ragazzi di LEVEL-5, la nona iterazione della saga era forte di una trama valida quasi quanto la precedente, ma questa volta si fece apprezzare anche per la presenza di una sconvolgente modalità multiplayer che permetteva ad un massimo di tre amici di "invadere" il mondo di un quarto giocatore e accompagnarlo nella sua avventura, rimpiazzando i muti compagni di squadra. Dal momento che il prodotto puntava enormemente verso la componente multigiocatore, il cast di Dragon Quest IX era infatti personalizzabile e muto, con buona pace delle interazioni tanto apprezzate nell'episodio per PlayStation 2. In questo caso, inoltre, l'influenza (positiva?) di Dragon Ball andò ad abbattersi addirittura sul canovaccio narrativo, in quanto l'eroe di turno venne chiamato a girare il mondo alla ricerca dei sette frutti dorati del leggendario Yggdrasil, capaci di esaudire i desideri, se divorati. Niente che le Sfere del Drago non avrebbero saputo fare, anche senza essere ingurgitate.
    Sebbene l'assenza di un cast principale ben caratterizzato abbia fatto storcere il naso a una vasta porzione di fan, Dragon Quest IX era comunque un gioco eccellente e innovativo, ma che purtroppo è spesso visto come "l'inizio della fine" del brand, in quanto il suo diretto successore si è rivelato un MMORPG. Con nostro sommo rammarico, e similmente a quanto fatto con Final Fantasy XI e XIV, SQUARE ENIX ha infatti preferito includere nella serie principale il suo primo MMO a tema Dragon Quest, confinandolo per giunta nel solo territorio giapponese.

    Lanciato inizialmente su Wii nel 2012, il titolo è approdato successivamente su Wii U, 3DS, PC, dispositivi iOS e Android, e più di recente anche su PlayStation 4 e Nintendo Switch, eppure il publisher non sembra ancora incline a pubblicarlo anche nel nostro lato del globo. Consci che questo potrebbe non approdare mai sulle nostre piattaforme di gioco, è tempo di guardare avanti, verso quella promettente perla che, ancorandosi fermamente ai canoni classici del JRPG, sembra decisa a riportare la serie al suo antico e ineguagliabile splendore... Quel Dragon Quest XI: Echi di un'Era Perduta che già da qualche giorno sta privando del sonno l'anziano avventuriero chiamato a raccontarvi questa favola lunga trentadue anni.

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