Grazie all'enorme successo ottenuto dalle produzioni di From Software in una buona fetta d'utenza si è risvegliata la volontà di essere messa alla prova nel corso di determinate esperienze ludiche. Questa tendenza ha fatto sì che sempre più studi si focalizzassero sul modo in cui poter spingere il giocatore a migliorarsi, per superare sfide più o meno complesse. Concetti come i moveset e i pattern di attacco dei nemici, la stamina da tenere sott'occhio e la presenza di un qualche tipo di penalità alla morte, si sono fatti sempre più spazio anche dove non eravamo abituati a ritrovarli.
Il soulslike è diventato un vero e proprio genere a sé e col tempo, con i capolavori di Miyazaki che hanno accumulato un numero di imitatori tale da far invidia finanche alla settimana enigmistica. Ciò non vuol dire tuttavia che, per proporre un buon grado di difficoltà, un gioco debba necessariamente aderire al canone dei soulslike e, a questo proposito, in questo articolo andremo a esaminare come il nuovo God of War Ragnarok (qui la nostra recensione di God of War Ragnarok) riesca a offrire un ottimo livello di sfida senza ricorrere ai tipici stilemi a cui ci ha abituati il collettivo nipponico. Vedremo inoltre quali sono i punti di contatto tra la chiusura del ciclo norreno a firma Sony Santa Monica ed Elden Ring, che ha fatto varcare alla formula di Miyazaki i confini dell'open world (e a proposito, venite a scoprire l'Interegno nella nostra recensione di Elden Ring).
Dalle nevose piane di Midgard alla maestosa Leyndell: la gestione della difficoltà
Come la maggior parte degli elementi di cui è composto un videogame, anche il livello di sfida risulta complesso da "misurare" in quanto estremamente soggettivo, soprattutto nei titoli action è possibile individuare una serie di caratteristiche che rendono la vita più ostica al giocatore. Il numero di colpi che possiamo subire prima di perire, la quantità dei nemici che ci attaccano contemporaneamente, le loro resistenze e i danni che abbiamo la possibilità di infliggere in rapporto a esse, sono tutti fattori che vanno sapientemente bilanciati, se si vuole ottenere una ricetta ludica non facile ma nemmeno frustrante.
C'è però una doverosa distinzione da fare tra due categorie di titoli: da una parte troviamo quelli che permettono di selezionare il livello di difficoltà in maniera esplicita tramite un menù e, dall'altra, abbiamo quelli che obbligano l'utente a trovare sempre la soluzione in gioco, senza potersi rendere la vita più facile con la semplice pressione di un tasto. Da qui insomma la nostra volontà di soffermarci sulle opere succitate, che rappresentano al meglio questi due differenti approcci.
Al livello di difficoltà "Give me God of War" il viaggio di Kratos e Atreus è a dir poco spietato. I nemici hanno resistenze ai danni e al barcollamento (status che sbilancia chi lo subisce) aumentati, la possibilità di ucciderci con pochissimi attacchi - spesso uno o due - e una meccanica che fa sì che una volta danneggiati questi possano rigenerarsi completamente e salire di livello. Quest'unione di fattori chiama il giocatore a mantenere un alto livello di attenzione durante gli scontri, perché il minimo errore risulterà fatale. Fortunatamente i ragazzi del team di Sony hanno fatto i compiti a casa e infatti, nonostante una curva di apprendimento molto ripida, la struttura di gameplay alla base del titolo permette, una volta padroneggiata, di affrontare tutti i combattimenti senza mai darci l'impressione di avere a che fare con un sistema ingiusto.
Meccaniche come l'animation cancelling (la possibilità di interrompere un'animazione con una schivata), la presenza di invincibility frame nelle schivate (istanti di una manovra evasiva durante i quali siamo immortali), la possibilità di accedere a numerosi attacchi runici, il supporto degli alleati e ben tre tipi diversi di Rabbia di Sparta, permettono di tenere a bada nemici multipli e di mantenere sempre il controllo della situazione. Anche durante i duelli contro più boss, il modo in cui gli sviluppatori hanno gestito le IA dei nemici è encomiabile.
Che si tratti di lotte contro più Berserker o altri tipi di avversari imponenti, durante lo scontro è possibile riconoscere dei pattern anche nelle tempistiche con cui questi ci attaccheranno. Prendendo come esempio la boss fight contro Bödvar e Staròlfr è possibile notare come, nel caso in cui il giocatore eviti di colpire entrambi con attacchi ad area, i guerrieri non rispondano in contemporanea all'offensiva bensì si alternino concentrandosi uno sul protagonista e l'altro sul suo compagno.
Il combat system non è privo di qualche sbavatura e può capitare di ritrovarsi in situazioni da cui è impossibile uscire, ma nonostante le decine e decine di ore trascorse nei Nove Regni, il numero di volte in cui una morte ci è sembrata ingiusta o al di fuori del nostro controllo è trascurabile. Per quanto riguardo l'epopea creata da Hidetaka Miyazaki, il discorso è ben diverso. L'enorme varietà di ambientazioni, nemici, boss e meccaniche di gioco rendono l'avventura molto meno agevole da padroneggiare, pur concedendo al giocatore di commettere qualche errore. Rispetto al prodotto diretto da Eric Williams, Elden Ring è più ermetico, non tiene per mano l'utente e anzi lo lascia libero di sperimentare per conto suo. Nell'Interregno i pericoli sono molteplici e anche l'esplorazione stessa si svolge in maniera non propriamente serena.
La mappa è sconfinata e saranno pochissime le aree precluse al giocatore fin dai primi istanti dell'avventura. Questa libertà d'azione è sia una semplificazione dell'esperienza che un fattore di complessità aggiuntivo poiché un neofita, se non dovesse riuscire a indovinare qual è il "golden path", potrebbe ritrovarsi in aree ben al di là delle proprie possibilità.
Non essendo provvisto di selettore della difficoltà, Elden Ring mette a dura prova la pazienza di quelli che non sono abituati a un processo di "trial and error" quasi forzato per chi si approccia per la prima volta al genere. Nel mondo che ci si ritrova a esplorare la quantità di nemici è incalcolabile e ognuno ha moveset, armi, poteri e caratteristiche diverse, che richiedono pazienza e strategia per essere affrontati in maniera efficace. Tutto ciò senza tener conto delle dozzine di boss che potremo trovare lungo il nostro percorso, con alcuni avversari capaci di mettere a dura prova anche i più esperti.
Gli strumenti a disposizione del giocatore
Per quanto riguarda gli strumenti messi a disposizione dell'utente, il viaggio di Kratos offre numerosi set di armatura e cimeli che permettono di ottimizzare la propria build e massimizzare le possibilità di vittoria. Rispetto ad altri titoli le differenze tra una configurazione e un'altra non stravolgono il gameplay nella sua totalità, ma i vari stili di gioco risultano differenti abbastanza da avere ognuno una propria ragion d'essere.
Che si decida di utilizzare quindi l'armatura a Scaglie di Drago per sfruttare al massimo i parry, il set del Berserker per aumentare il danno dei cimeli o l'armatura della Radiosità per rendere centrale l'inestimabile meccanica dello "Spostamento Regno" (che basa l'offensiva sul poter rallentare il tempo in certi frangenti), ogni strategia sa premiare il giocatore in maniera soddisfacente.
Anche il sistema di castoni, già presente nel capitolo del 2018, è stato rivoluzionato. Queste gemme magiche infatti non sono più legate ai singoli pezzi di equipaggiamento bensì vanno inserite in uno speciale amuleto, che potrà accoglierne fino a un massimo di 9. Tra incisioni che permettono di aumentare la velocità dello spartano e veri e propri modificatori dei vari tipi di Rabbia di Sparta, sono presenti anche determinate pietre che permettono di cambiare il tipo di scaling di alcuni attacchi, facendo sì che i colpi che prima ricevevano un bonus di danno dalla statistica "forza" ora scalino per esempio su "difesa", permettendoci di avere un doppio vantaggio potenziando una singola statistica.
Altra novità degna di nota è l'evoluzione della Rabbia di Sparta. Se nel precedente capitolo questa aveva un solo utilizzo - rigenerazione della vita e la possibilità di utilizzare un potente moveset corpo a corpo - nella seconda iterazione ne sono presenti ben tre varianti: Furia, Ira e Valore. La prima è quella classica mentre invece la seconda e la terza funzionano in modo del tutto diverso. Mentre Furia consuma due grandi barre di energia e durante uno scontro si potrà attivare una sola volta con effetti devastanti, le altre due sono più versatili, poiché consumano una porzione di Rabbia minore e si possono utilizzare almeno 4 volte per scontro.
Valore converte una porzione di barra della Rabbia in salute, e Ira - per lo stesso costo - consente di sferrare un violento attacco contro un singolo nemico. Durante l'attivazione di entrambe queste mosse Kratos sarà vulnerabile ai danni ma non potrà morire, quindi possiamo dire che queste abilità siano un ottimo salvavita se attivate al momento opportuno. Allo stesso modo, anche Elden Ring consente all'utente più esperto di utilizzare aiuti e mettere in atto strategie che permettono di trivializzare anche il più arduo degli scontri. Le arene nel titolo di From Software sono più vaste e le animazioni del Senzaluce più articolate e spettacolari, ciononostante i combattimenti sono perlopiù decisi da quanto riusciamo a essere freddi nelle le schivate e precisi con la gestione del vigore. A differenza di God of War, le varie build che è possibile mettere a punto stravolgono completamente il gameplay e, che si decida di essere un tank con scudo a torre e spadone colossale o un glass cannon specializzato nell'uso di stregonerie, ogni stile di gioco risulta efficace e soddisfacente in quasi ogni contesto.
Per affrontare le interminabili schiere di nemici che le lande all'ombra dell'Albero Madre offrono, l'utente ha a disposizione numerose fiaschette di cura (fino a un massimo di 14), armi devastanti ed evocazioni di spettri che fungono da veri e propri companion durante gli scontri. Numerosi boss presentano inoltre delle specifiche debolezze che è possibile sfruttare per sconfiggerli più facilmente. Per fare qualche esempio, i gemelli Morgott e Mohg possono essere immobilizzati per un breve periodo durante lo scontro (grazie ad oggetti unici), la temibile Malenia è debole agli status sanguinamento e assideramento e lo spaventoso Duo Sacriderma può essere messo letteralmente a dormire grazie all'utilizzo di bombe soporifere.
Non basterebbe un'intera guida strategica per elencare tutte le possibilità offerte che permettono di semplificarsi di molto la vita, a partire dall'ovvio "overlivellare". È chiaro quindi che quello in Elden Ring è un modo implicito di far selezionare la difficoltà al giocatore che, non tramite menù bensì attraverso l'esperienza, può scegliere se affrontare una sfida agevole oppure uno dei viaggi di From Software più difficili in assoluto.
L'arte del bilanciamento
Ciò che accomuna le due opere è il modo in cui riescono a danzare sulla sottile linea che separa la sfida dalla frustrazione. In entrambi i titoli il giocatore ha sempre pieno controllo sul gameplay che è influenzato in maniera tangibile dalle scelte compiute. Per riuscire a offrire un prodotto stimolante non è sufficiente far sì che si muoia con un colpo o mettere di fronte al consumatore nemici insuperabili. Il motivo per cui spesso le imitazioni dei soulsborne falliscono nel ricevere gli stessi apprezzamenti è proprio questo: la mancanza di attenzione nei confronti del bilanciamento dell'esperienza, e l'assenza di meccaniche che devono risultare in grado di sorreggere la struttura del combat system.
Sia in God of War Ragnarok che in Elden Ring la morte viene percepita come un'opportunità di apprendimento e non come un qualcosa che porta soltanto via del tempo. L'eventuale difficoltà inoltre è anche un'occasione per spingere l'utente a capire a fondo le potenzialità di un gioco, perché è costretto a doverne usare tutte le meccaniche.
Soprattutto per quanto riguarda Ragnarok e tutti i prodotti col selettore di sfida, spesso capita che a livello normale o facile basti imparare solo gli attacchi e le mosse di base con il rischio di non godersi tutto ciò che è stato pensato dagli sviluppatori. Insomma, chi vuole godersi il comparto ludico nella sua interezza farebbe bene a tarare verso l'alto la difficoltà, perché quando questa è ben gestita arricchisce l'esperienza e anche il senso d'appagamento che sa generare.
Elden Ring vs God of War Ragnarok: le regole della difficoltà
Due giochi molto diversi che propongono anche altrettante differenti manifestazioni della difficoltà. Parliamone.
Grazie all'enorme successo ottenuto dalle produzioni di From Software in una buona fetta d'utenza si è risvegliata la volontà di essere messa alla prova nel corso di determinate esperienze ludiche. Questa tendenza ha fatto sì che sempre più studi si focalizzassero sul modo in cui poter spingere il giocatore a migliorarsi, per superare sfide più o meno complesse. Concetti come i moveset e i pattern di attacco dei nemici, la stamina da tenere sott'occhio e la presenza di un qualche tipo di penalità alla morte, si sono fatti sempre più spazio anche dove non eravamo abituati a ritrovarli.
Il soulslike è diventato un vero e proprio genere a sé e col tempo, con i capolavori di Miyazaki che hanno accumulato un numero di imitatori tale da far invidia finanche alla settimana enigmistica. Ciò non vuol dire tuttavia che, per proporre un buon grado di difficoltà, un gioco debba necessariamente aderire al canone dei soulslike e, a questo proposito, in questo articolo andremo a esaminare come il nuovo God of War Ragnarok (qui la nostra recensione di God of War Ragnarok) riesca a offrire un ottimo livello di sfida senza ricorrere ai tipici stilemi a cui ci ha abituati il collettivo nipponico. Vedremo inoltre quali sono i punti di contatto tra la chiusura del ciclo norreno a firma Sony Santa Monica ed Elden Ring, che ha fatto varcare alla formula di Miyazaki i confini dell'open world (e a proposito, venite a scoprire l'Interegno nella nostra recensione di Elden Ring).
Dalle nevose piane di Midgard alla maestosa Leyndell: la gestione della difficoltà
Come la maggior parte degli elementi di cui è composto un videogame, anche il livello di sfida risulta complesso da "misurare" in quanto estremamente soggettivo, soprattutto nei titoli action è possibile individuare una serie di caratteristiche che rendono la vita più ostica al giocatore. Il numero di colpi che possiamo subire prima di perire, la quantità dei nemici che ci attaccano contemporaneamente, le loro resistenze e i danni che abbiamo la possibilità di infliggere in rapporto a esse, sono tutti fattori che vanno sapientemente bilanciati, se si vuole ottenere una ricetta ludica non facile ma nemmeno frustrante.
C'è però una doverosa distinzione da fare tra due categorie di titoli: da una parte troviamo quelli che permettono di selezionare il livello di difficoltà in maniera esplicita tramite un menù e, dall'altra, abbiamo quelli che obbligano l'utente a trovare sempre la soluzione in gioco, senza potersi rendere la vita più facile con la semplice pressione di un tasto. Da qui insomma la nostra volontà di soffermarci sulle opere succitate, che rappresentano al meglio questi due differenti approcci.
Al livello di difficoltà "Give me God of War" il viaggio di Kratos e Atreus è a dir poco spietato. I nemici hanno resistenze ai danni e al barcollamento (status che sbilancia chi lo subisce) aumentati, la possibilità di ucciderci con pochissimi attacchi - spesso uno o due - e una meccanica che fa sì che una volta danneggiati questi possano rigenerarsi completamente e salire di livello. Quest'unione di fattori chiama il giocatore a mantenere un alto livello di attenzione durante gli scontri, perché il minimo errore risulterà fatale. Fortunatamente i ragazzi del team di Sony hanno fatto i compiti a casa e infatti, nonostante una curva di apprendimento molto ripida, la struttura di gameplay alla base del titolo permette, una volta padroneggiata, di affrontare tutti i combattimenti senza mai darci l'impressione di avere a che fare con un sistema ingiusto.
Meccaniche come l'animation cancelling (la possibilità di interrompere un'animazione con una schivata), la presenza di invincibility frame nelle schivate (istanti di una manovra evasiva durante i quali siamo immortali), la possibilità di accedere a numerosi attacchi runici, il supporto degli alleati e ben tre tipi diversi di Rabbia di Sparta, permettono di tenere a bada nemici multipli e di mantenere sempre il controllo della situazione. Anche durante i duelli contro più boss, il modo in cui gli sviluppatori hanno gestito le IA dei nemici è encomiabile.
Che si tratti di lotte contro più Berserker o altri tipi di avversari imponenti, durante lo scontro è possibile riconoscere dei pattern anche nelle tempistiche con cui questi ci attaccheranno. Prendendo come esempio la boss fight contro Bödvar e Staròlfr è possibile notare come, nel caso in cui il giocatore eviti di colpire entrambi con attacchi ad area, i guerrieri non rispondano in contemporanea all'offensiva bensì si alternino concentrandosi uno sul protagonista e l'altro sul suo compagno.
Il combat system non è privo di qualche sbavatura e può capitare di ritrovarsi in situazioni da cui è impossibile uscire, ma nonostante le decine e decine di ore trascorse nei Nove Regni, il numero di volte in cui una morte ci è sembrata ingiusta o al di fuori del nostro controllo è trascurabile. Per quanto riguardo l'epopea creata da Hidetaka Miyazaki, il discorso è ben diverso. L'enorme varietà di ambientazioni, nemici, boss e meccaniche di gioco rendono l'avventura molto meno agevole da padroneggiare, pur concedendo al giocatore di commettere qualche errore. Rispetto al prodotto diretto da Eric Williams, Elden Ring è più ermetico, non tiene per mano l'utente e anzi lo lascia libero di sperimentare per conto suo. Nell'Interregno i pericoli sono molteplici e anche l'esplorazione stessa si svolge in maniera non propriamente serena.
La mappa è sconfinata e saranno pochissime le aree precluse al giocatore fin dai primi istanti dell'avventura. Questa libertà d'azione è sia una semplificazione dell'esperienza che un fattore di complessità aggiuntivo poiché un neofita, se non dovesse riuscire a indovinare qual è il "golden path", potrebbe ritrovarsi in aree ben al di là delle proprie possibilità.
Non essendo provvisto di selettore della difficoltà, Elden Ring mette a dura prova la pazienza di quelli che non sono abituati a un processo di "trial and error" quasi forzato per chi si approccia per la prima volta al genere. Nel mondo che ci si ritrova a esplorare la quantità di nemici è incalcolabile e ognuno ha moveset, armi, poteri e caratteristiche diverse, che richiedono pazienza e strategia per essere affrontati in maniera efficace. Tutto ciò senza tener conto delle dozzine di boss che potremo trovare lungo il nostro percorso, con alcuni avversari capaci di mettere a dura prova anche i più esperti.
Gli strumenti a disposizione del giocatore
Per quanto riguarda gli strumenti messi a disposizione dell'utente, il viaggio di Kratos offre numerosi set di armatura e cimeli che permettono di ottimizzare la propria build e massimizzare le possibilità di vittoria. Rispetto ad altri titoli le differenze tra una configurazione e un'altra non stravolgono il gameplay nella sua totalità, ma i vari stili di gioco risultano differenti abbastanza da avere ognuno una propria ragion d'essere.
Che si decida di utilizzare quindi l'armatura a Scaglie di Drago per sfruttare al massimo i parry, il set del Berserker per aumentare il danno dei cimeli o l'armatura della Radiosità per rendere centrale l'inestimabile meccanica dello "Spostamento Regno" (che basa l'offensiva sul poter rallentare il tempo in certi frangenti), ogni strategia sa premiare il giocatore in maniera soddisfacente.
Anche il sistema di castoni, già presente nel capitolo del 2018, è stato rivoluzionato. Queste gemme magiche infatti non sono più legate ai singoli pezzi di equipaggiamento bensì vanno inserite in uno speciale amuleto, che potrà accoglierne fino a un massimo di 9. Tra incisioni che permettono di aumentare la velocità dello spartano e veri e propri modificatori dei vari tipi di Rabbia di Sparta, sono presenti anche determinate pietre che permettono di cambiare il tipo di scaling di alcuni attacchi, facendo sì che i colpi che prima ricevevano un bonus di danno dalla statistica "forza" ora scalino per esempio su "difesa", permettendoci di avere un doppio vantaggio potenziando una singola statistica.
Altra novità degna di nota è l'evoluzione della Rabbia di Sparta. Se nel precedente capitolo questa aveva un solo utilizzo - rigenerazione della vita e la possibilità di utilizzare un potente moveset corpo a corpo - nella seconda iterazione ne sono presenti ben tre varianti: Furia, Ira e Valore. La prima è quella classica mentre invece la seconda e la terza funzionano in modo del tutto diverso. Mentre Furia consuma due grandi barre di energia e durante uno scontro si potrà attivare una sola volta con effetti devastanti, le altre due sono più versatili, poiché consumano una porzione di Rabbia minore e si possono utilizzare almeno 4 volte per scontro.
Valore converte una porzione di barra della Rabbia in salute, e Ira - per lo stesso costo - consente di sferrare un violento attacco contro un singolo nemico. Durante l'attivazione di entrambe queste mosse Kratos sarà vulnerabile ai danni ma non potrà morire, quindi possiamo dire che queste abilità siano un ottimo salvavita se attivate al momento opportuno. Allo stesso modo, anche Elden Ring consente all'utente più esperto di utilizzare aiuti e mettere in atto strategie che permettono di trivializzare anche il più arduo degli scontri. Le arene nel titolo di From Software sono più vaste e le animazioni del Senzaluce più articolate e spettacolari, ciononostante i combattimenti sono perlopiù decisi da quanto riusciamo a essere freddi nelle le schivate e precisi con la gestione del vigore. A differenza di God of War, le varie build che è possibile mettere a punto stravolgono completamente il gameplay e, che si decida di essere un tank con scudo a torre e spadone colossale o un glass cannon specializzato nell'uso di stregonerie, ogni stile di gioco risulta efficace e soddisfacente in quasi ogni contesto.
Per affrontare le interminabili schiere di nemici che le lande all'ombra dell'Albero Madre offrono, l'utente ha a disposizione numerose fiaschette di cura (fino a un massimo di 14), armi devastanti ed evocazioni di spettri che fungono da veri e propri companion durante gli scontri. Numerosi boss presentano inoltre delle specifiche debolezze che è possibile sfruttare per sconfiggerli più facilmente. Per fare qualche esempio, i gemelli Morgott e Mohg possono essere immobilizzati per un breve periodo durante lo scontro (grazie ad oggetti unici), la temibile Malenia è debole agli status sanguinamento e assideramento e lo spaventoso Duo Sacriderma può essere messo letteralmente a dormire grazie all'utilizzo di bombe soporifere.
Non basterebbe un'intera guida strategica per elencare tutte le possibilità offerte che permettono di semplificarsi di molto la vita, a partire dall'ovvio "overlivellare". È chiaro quindi che quello in Elden Ring è un modo implicito di far selezionare la difficoltà al giocatore che, non tramite menù bensì attraverso l'esperienza, può scegliere se affrontare una sfida agevole oppure uno dei viaggi di From Software più difficili in assoluto.
L'arte del bilanciamento
Ciò che accomuna le due opere è il modo in cui riescono a danzare sulla sottile linea che separa la sfida dalla frustrazione. In entrambi i titoli il giocatore ha sempre pieno controllo sul gameplay che è influenzato in maniera tangibile dalle scelte compiute. Per riuscire a offrire un prodotto stimolante non è sufficiente far sì che si muoia con un colpo o mettere di fronte al consumatore nemici insuperabili. Il motivo per cui spesso le imitazioni dei soulsborne falliscono nel ricevere gli stessi apprezzamenti è proprio questo: la mancanza di attenzione nei confronti del bilanciamento dell'esperienza, e l'assenza di meccaniche che devono risultare in grado di sorreggere la struttura del combat system.
Sia in God of War Ragnarok che in Elden Ring la morte viene percepita come un'opportunità di apprendimento e non come un qualcosa che porta soltanto via del tempo. L'eventuale difficoltà inoltre è anche un'occasione per spingere l'utente a capire a fondo le potenzialità di un gioco, perché è costretto a doverne usare tutte le meccaniche.
Soprattutto per quanto riguarda Ragnarok e tutti i prodotti col selettore di sfida, spesso capita che a livello normale o facile basti imparare solo gli attacchi e le mosse di base con il rischio di non godersi tutto ciò che è stato pensato dagli sviluppatori. Insomma, chi vuole godersi il comparto ludico nella sua interezza farebbe bene a tarare verso l'alto la difficoltà, perché quando questa è ben gestita arricchisce l'esperienza e anche il senso d'appagamento che sa generare.
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