eSport: lettera aperta a Nicola Legrottaglie

Il calciatore Nicola Legrottaglie chiede un parere sul fenomeno eSport: ecco l'esaustiva risposta di Francesco Lombardo.

eSport: lettera aperta a Nicola Legrottaglie
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Ciao Nicola, da tifoso e appassionato di calcio sono contento che un'icona come te abbia deciso di proporre un argomento a cui tengo nel profondo e di cui mi occupo quotidianamente nella vita.
Ammetto, a malincuore, di averti mandato un paio di volte a quel paese durante le partite, spinto dalla trance agonistica dei vari momenti di gioco o per tue scelte tattiche meno apprezzabili. Sotto il profilo umano, invece, non ho mai avuto dubbi sulla tua integrità morale e lo dimostri anche nel tuo post su Facebook in cui chiedi un parere ai tuoi follower sul fenomeno eSports. MI ha sinceramente colpito la tua dichiarazione propositiva e razionale, volta al confronto senza sparare a zero quando potresti benissimo farlo. Avrei voluto commentare anche io ma, iniziando a scrivere una risposta, mi sono reso conto che sarebbe stata troppo lunga e dispersiva per affidarla "semplicemente" a Facebook.

eSport in Italia

Il mio punto di vista è che in Italia serve maggiore informazione, e più completa, sugli eSports (così come su tanti altri argomenti), con il rischio di un'errata comprensione del fenomeno e della persistenza di mezze verità o verità fittizie. Un primo esempio è che in molti credono che gli eSports siano semplicemente i videogiochi (tutti) in generale, magari con l'aggiunta di un avversario.

Si accomunano così il videogiocatore professionista, di cui ti parlerò successivamente, a qualsiasi fruitore del videogioco "da divano", come tu stesso hai sottolineato. In Italia ci sono 25 milioni di videogiocatori, è vero, ma è anche il più grande equivoco che la stampa utilizza quando parla del fenomeno.  

Chi sono gli eSportivi. In questi numeri sono infatti raggruppati i videogiocatori di PC, console e anche di smartphone. Chi non possiede uno smartphone, oggi? Il mercato mobile dei videogiochi è in crescita esponenziale e gonfia indubbiamente i numeri dei videogiocatori, di circa il 40%, inserendo nelle statistiche anche coloro che abitualmente utilizzano Candy Crush o qualsiasi altro gioco mobile. Orde di ragazzini, anche sotto i dieci anni, passano ore davanti a uno smartphone o a un tablet facendo di loro videogiocatori ma non eSportivi (un brutto neologismo, lo so, ma necessario per distinguerli).

Un esempio che spesso mi piace portare è la differenza tra il calcio giocato, dilettantistico o professionista che sia, e il calcio in cortile tra bambini o il venerdì sera al campetto con gli amici: non è sufficiente giocare una volta a settimana per poter affermare di essere un calciatore passando poi il resto dei sei giorni tra serie TV e vita sedentaria. Allo stesso modo non è sufficiente videogiocare per essere un praticante di eSports. In entrambi i casi, calcetto e videogioco, mancano tutti gli aspetti che connotano uno sport: dedizione, impegno, sacrificio, allenamento. E quando parlo di sport so che cosa significhi, avendo da sempre un'attività sportiva alle spalle.

I numeri reali. In realtà i 25 milioni sono "potenziali" eSportivi mentre quelli effettivi, che praticano eSports in modo più o meno costante, sono meno di 100.000 in Italia, facendo delle stime relative ai tesserati ai vari settori nazionali che si occupano di eSports. La maggior parte di essi sono raccolti sotto GEC - Giochi Elettronici Competitivi, settore sportivo di ASI che si occupa di promuovere e regolamentare gli eSports. Di queste decine di migliaia di eSportivi fanno parte coloro che partecipano ai vari tornei e alle varie competizioni sul territorio, alcuni una sola volta in modalità "mordi e fuggi", altri proseguono tentando di migliorarsi, di avanzare nelle classifiche competitive. Analizzano il proprio stile di gioco, si confrontano con gli avversari alla ricerca del proprio punto debole e di come eliminarlo o limitarlo. Un confronto che ormai non avviene solo ed esclusivamente tramite la rete ma che ha una sua componente fisica, tangibile.
I punti di ritrovo per appassionati, dove scambiarsi idee e opinioni, sono sempre di più in Italia, diventati ormai dei veri e propri centri di aggregazione e socializzazione. Dimentica il classico stereotipo del nerd, chiuso nella stanza per ore e ore, che interagisce con altri essere umani solo attraverso monitor o tastiera. Esistono anche loro, per carità, e in questi casi si tratta di sociopatia, magari anche accompagnata da ludopatia, ma sono casi rari e specifici che nulla hanno da condividere con gli eSports.

Coloro di cui abbiamo parlato in precedenza si allenano e competono come attività parallela, a metà tra un hobby e un'attività vera, aspettando di capire se sono pronti e adatti per compiere il salto. Sono i cosiddetti eSportivi amatoriali, paragonabili a coloro che giocano nelle categorie inferiori del calcio di provincia: si allenano ogni settimana, la domenica poi magari hanno anche la partita da disputare, ma durante i giorni feriali sono impiegati, operai, manager, commercialisti. Come suddetto sono poco meno di 100.000: di questi circa un decimo ha deciso di trasformare la propria passione in una professione, prendendo un impegno serio con se stessi e con la squadra in cui militano e per cui competono.

Dodici. Durante la settimana non si allenano per giocare ma si allenano per vincere. Tuttavia non passano dodici ore davanti al PC o alla console come molti affermano. La realtà è ben diversa e dipinge una programmazione rigorosa degli orari di allenamento, alternata ad attività fisica e incontri di analisi dei match. D'altronde non mi risulta che tu, Nicola, o qualsiasi altro calciatore, passavate dodici ore sul campo di allenamento. Nella maggior parte dei casi la sessione di allenamento al videogioco si divide in tre tranche che possono andare dalle 2 alle 4 ore ciascuna. La prima è di risveglio per sensibilizzare la coordinazione oculo-manuale dopo le ore di sonno; la seconda rappresenta la più impegnativa, in cui si provano e riprovano determinate azioni fino all'esecuzione perfetta; la terza e ultima è di defaticamento e può consistere nell'applicazione di quanto "studiato" prima in partite contro altri avversari o di gioco "libero".
Nelle pause tra l'una e l'altra fase, oltre ai pranzi e alle cene, sono due le principali attività di contorno. L'attività fisica in palestra o all'aperto, seguiti da un trainer professionista: perché è vero che si tratta di una disciplina prettamente mentale ma il corpo deve stare bene fisicamente affinché la mente lavori correttamente.

Non è un mistero che la posizione da "sedia" o da "divano" spinga la produzione di cellule adipose; la novità è che studi hanno evidenziato che la sola presenza di quest'ultime in quantità anche solo di poco superiori alla media modificano la velocità degli impulsi neurali. In parole povere i riflessi sono più lenti. Un cambiamento impercettibile per le persone che svolgono altre attività ma significativo nei videogiochi in cui anche le frazioni di secondo contano. La seconda attività parallela è lo studio teorico del videogioco: tattiche, strategie ma anche l'approccio alle partite, tema su cui è fondamentale la figura di un mental coach, sempre più comune anche negli sport tradizionali. È sufficiente pensare a pochi anni fa quando Federica Pellegrini dichiarò di soffrire di attacchi d'ansia in acqua, determinati da un suo precedente malessere. Un ostacolo superato grazie al suo mental coach.

Ovviamente quello dipinto è uno schema che varia per titolo competitivo e per squadra, a seconda delle necessità di ognuno. Il concetto di base, però, è che non sono ragazzi o ragazze lasciati allo sbando: sono costantemente seguiti e accompagnati nel loro percorso come eSportivi e eSportive. Il concetto di squadra, anche nei titoli singoli come Hearthstone o Starcraft, è predominante e fondamentale per creare un'identità. L'eSportivo si sente parte di una realtà così come un calciatore, un cestista o un qualsiasi altro sportivo si sente parte di una squadra.

Inseguire il proprio sogno. Negli eSportivi professionisti, o che aspirano a tale appellativo, vedo lo stesso spirito di sacrificio e lo stesso impegno degli sportivi tradizionali. C'è chi rinuncia a poco ma c'è anche chi rinuncia a tutto per inseguire il proprio sogno. Daniele "Jiizuké" Di Mauro, il primo italiano a raggiungere il palcoscenico principale di League of Legends, ha detto addio alla famiglia e alla propria città natale per diventare ciò che è oggi. Daniele "IcePrinsipe" Paolucci, campione europeo di FIFA nel 2017, giocava nelle giovanili della Roma con Pellegrini, attualmente nell'undici di Di Francesco.

Storia simile a quella di Alessandro "Gintera" Ansaldi, un altro giocatore di FIFA, promessa delle giovanili fermato da un ginocchio troppo debole. Gli eSports posso diventare uno strumento di rivalsa anche, ma non solo, sociale. Come tante storie già sentite negli sport tradizionali che non hanno nulla di diverso, sotto il profilo concettuale, da quelle degli sport elettronici.
L'intento di questa lettera non è convincere te, Nicola, o altri della legittimità della presenza degli eSports alle Olimpiadi. Principalmente perché, a mio modesto avviso, non sono gli eSport ad aver bisogno dei Giochi ma il contrario; è una motivazione prettamente economica: i Giochi hanno bisogno di raggiungere il pubblico dei giovani e dei giovanissimi che sono ormai quasi per nulla interessati agli sport tradizionali. Il mio obiettivo, scrivendoti, è fare chiarezza e spiegare asetticamente (per quanto mi è possibile) come funzionano realmente gli eSports e in come e per cosa sono differenti dai semplici videogiochi.

Non è solo una "e" in più: oltre a una semplice lettera, gli eSports portano con se l'intero bagaglio culturale delle discipline sportive.