Festivaletteratura 2016: Scrittori alla console

Scrittori alla console è l'evento tenuto a Festivaletteratura 2016, che ha visto per protagonisti Davide Morosinotto e Tullio Avoledo.

Festivaletteratura 2016: Scrittori alla console
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La splendida città di Mantova si specchia sulle placide rive del Mincio, accogliendo i visitatori in un caldo abbraccio pregno di memoria storica e di cultura. A ogni passo si respira l'immensa eredità lasciata dal casato degli Gonzaga, tra i principali promotori del Rinascimento italiano. Non è un caso, dunque, che questa località lombarda, già patrimonio dell'UNESCO, sia stata eletta Capitale della cultura 2016, festeggiando così nel migliore dei modi il ventesimo anniversario di uno tra i più importanti festival della letteratura del panorama europeo. In questo momento vi starete chiedendo per quale motivo ci ritroviamo a parlare di Festivaletteratura, un evento culturale dedicato, appunto, alla letteratura.

Scrittori alla console

Il linguaggio, parlato e scritto, da sempre si evolve e si modifica senza soluzione di continuità adattando al contempo stili, espressioni e canali di comunicazione al dato momento storico. Il videogioco, inteso non solo come puro ninnolo da intrattenimento, ma come opera intellettuale a tutto tondo, rappresenta in questo senso il nostro "tempo" e sfuma i contorni netti dei tradizionali media creando forme espressive nuove ed eclettiche. Nella splendida cornice di Palazzo Ducale, per la prima volta, il Festivaletteratura si è aperto al medium videoludico, donandogli il giusto spazio accanto ad autori di fama internazionale e opere dai formati più tradizionali. "Conoscere il passato per interpretare il futuro": si potrebbe riassumere in questo modo il tenore degli incontri dedicati alla storia del medium che più ci interessa.

Tra questi eventi, il primo a meritare una menzione è "Scrittori alla console", nel quale due scrittori-videogiocatori di lungo corso come Tullio Avoledo, autore della trilogia italiana dedicata all'universo espanso di Metro, e Davide Morosinotto, giovane talento che ha collaborato - tra gli altri - con Forge Reply in qualità di Narrative consulting alla trasposizione digitale di Lupo Solitario, hanno parlato dell'intima connessione tra scrittura e videogioco. A supportare l'iniziativa, una splendida "Sala Giochi" allestita all'interno dell'evocativa location delle Cantine Gonzaga grazie alla collaborazione dell'Archivio videoludico nazionale di Bologna e di We Are Müesli, geniale duo italiano autore di 20 Mesi, docu-game narrativo in cui viene ripercorso l'ultimo periodo della Seconda Guerra Mondiale sul suolo italico. Attraverso un percorso interattivo formato da trenta postazioni, abbiamo potuto approcciare con spirito diverso e idealizzare ciò che si è sempre considerato un "gioco" attraverso cinque macro tematiche: l'amor cortese, Guerra e pace, il sublime, le avanguardie storiche e le città invisibili. Pezzi di storia digitale come Dragon's Lair, Prince of Persia, Ico, Super Mario, Limbo, Another World, Missile Command, Galaga, Doom erano tutti lì, ad aspettarci come vecchi amici, pronti a soddisfare la curiosità dei più piccoli e la nostalgia dei vegliardi ma, soprattutto, per dimostrare che il videogioco non è solo un misero passatempo adolescenziale.

L'elemento caratterizzante dell'opera videoludica, infatti, è quello di essere un motore narrativo che veicola temi e valori maturi attraverso un'interazione uomo-macchina più intima e attiva rispetto ad altri media. La serie di Fallout o The Witcher sono esempi perfetti, secondo Tullio Avoledo, di come videogioco e letteratura si siano fusi in maniera perfetta, dando vita a opere destinate non solo a surclassare per qualità narrativa ogni produzione cinematografica odierna ma che dimostrano anche l'evoluzione che consolida il medium ludico come forma artistica matura. Per questo i videogiochi, in un futuro prossimo, potrebbero staccarsi dai tòpoi canonici smettendola di scimmiottare mitologie e archetipi narrativi secolari per adagiarsi più sulla realtà che ci circonda trattando temi più "vicini" a noi, come accaduto con lo splendido This War of Mine.

Una narrazione transmediale

L'obiettivo che si è posto il Festival mantovano è evidente: abbattere quella forte stigmatizzazione scaturita da barriere sociali e culturali secondo cui la letteratura viene osannata come un universo aulico e a sé stante, adatto a pochi; mentre i videogiochi come una inutile e controproducente mania adolescenziale. I videogiochi, al contrario, stanno plasmando aspetti sempre più legati alla nostra realtà quotidiana; senza contare che essi, come dicevamo, rappresentano da sempre un terreno estremamente fertile per la produzione di storie, nuovi linguaggi e metodi di narrazione che trascendono il singolo medium per ricadere all'interno del concetto di transmedialità.

La narrazione transmediale, secondo la definizione dell'autore Henry Jenkins, è una forma narrativa che, muovendosi attraverso diversi tipi di media, contribuisce ad arricchire l'esperienza dell'utente espandendo a dismisura la quantità di informazioni che vanno a comporre la storia, le vicende e la stessa comprensione del mondo partorito dalla fantasia di uno (o più) autori. Basti pensare alla tradizione nipponica, in cui non è infrequente trovare libri, fumetti e film a sostegno dell'universo narrativo di una qualsiasi saga digitale che si rispetti.

Ma, in questo senso, la storia videoludica, in questo senso è piena di esempi: uno recentissimo è Kingsglaive, lungometraggio dedicato alla prossima iterazione dello storico franchise Final Fantasy. Legato all'universo di quel titolo atteso da così tanti anni, ne anticipa temi e vicende per prepararci al grande evento; le rielabora partendo da premesse diverse, lascia il non detto all'intuizione dello spettatore/futuro giocatore e crea le giuste domande per invogliarlo a scoprire di più. Ecco, proprio in questo sta l'abilità di un buon autore o, nel nostro caso, sceneggiatore: veicolare, attraverso la narrazione, la curiosità del giocatore verso un universo tutto da scoprire o, al contrario, da creare. Il videogioco, infatti, ha la grande opportunità di staccarsi da una trama lineare imposta "dall'alto", proponendo, nel canovaccio narrativo, variazioni sul tema il più possibile impreviste e in grado di intrattenere il giocatore creando, appunto, curiosità. Inoltre, al contrario di quello che accade per un libro o un film, l'opera digitale si può permettere il lusso di non proporre alcun filo logico da seguire, limitandosi a rivestire un ruolo servente rispetto all'esperienza dell'utente e fornendogli semplicemente gli strumenti affinché esso crei da solo la propria storia.

Un po' come accade in Papers, Please!, Minecraft, Terraria o, da ultimo, No Man's Sky. Il "libero arbitrio digitale", se così possiamo definirlo, consente al giocatore di interiorizzare l'esperienza di gioco attraverso scelte influenzate da infinite variabili le quali a loro volta possono condurre a infiniti finali possibili. Mondi aperti e strutture sandbox stuzzicano la creatività dei giocatori i quali possono darsi alla sperimentazione traslando su pixel le proprie fantasie e, magari, condividerle con altri. L'opera videoludica, insomma, si presenta estremamente malleabile e stratificata su diversi livelli narrativi che possono inglobare tanto il concetto di "linearità", quanto quello di "libertà".

Due chiacchiere con...Davide Morosinotto

Abbiamo avuto l'opportunità di scambiare due chiacchiere con Davide Morosinotto, giovane autore di romanzi di avventura e fantascienza tra i più prolifici degli ultimi anni, giocatore di lungo corso ha iniziato con il Commodore 64 e, da allora, i videogiochi per lui sono andati di pari passo con la passione per la letteratura. Da tempo, oltre ad aver firmato romanzi per Rizzoli, Mondadori e Piemme, collabora alla scrittura e alla traduzione dei testi videoludici, come accaduto con la recente trasposizione digitale delle avventure di Lupo Solitario targata Forge Reply.

Everyeye.it: Qualche tempo fa ho avuto il piacere di poter testare Lone Wolf su iPad e PS4: il titolo è l'esempio calzante di come un ottimo impianto narrativo possa essere esaltato dalla trasposizione digitale.

Davide Morosinotto: Grazie! Io ho lavorato sul capitolo 1 e 2 del gioco per fornire "Narrative consulting".
In pratica il mio lavoro consisteva nell'occuparmi della creazione dell'"albero delle scelte", cioè delle diramazioni e possibilità d'azione nel gioco, insieme a Samuele Perseo (Narrative Designer), e Fabio Pagetti (Game Designer). Lo scopo era fare in modo che quello che funzionava lato gioco, come ritmo e equilibri, funzionasse anche lato lettura e narrazione "classica".

Everyeye.it: In che modo il tuo background videoludico ha influenzato e influenza tuttora le idee, i concetti e le tecniche narrative che successivamente riversi sulla carta al momento di scrivere?

Davide Morosinotto: Il primo romanzo che ho scritto, e che fortunatamente non verrà mai pubblicato (d'altronde ero solo un adolescente) parlava di uno studente universitario abbastanza sfortunato che era anche, però, il numero uno nella leaderboard mondiale di un gioco di combattimento a metà tra Tekken e Second Life. E il mio secondo romanzo (altrettanto fortunatamente mai pubblicato) parlava di un gruppo di persone che si trovava intrappolato in un videogioco stile WoW senza saperlo, perché erano tutti nati e cresciuti lì (sì, lo so, come Matrix, ma il film non c'era ancora, e anzi quando l'ho visto mi è venuto un gran nervoso. Ho scoperto poi che, in quegli anni, l'idea della realtà virtuale come trappola ce l'avevano in molti. Quindi direi che le influenze dei videogiochi sul mio "lavoro" ci sono sempre state.

Non credo però che le tecniche narrative dei giochi possano essere usate nei libri: sono mezzi molto diversi, con regole, tempi, tecniche, diversissimi. Per me invece i videogiochi aiutano l'immedesimazione in un personaggio, e questo è utilissimo quando poi devo scrivere. Perciò li uso sempre durante il lavoro di documentazione. Se devo scrivere un romanzo sugli U-boot, leggo saggi, romanzi e articoli sull'argomento. E gioco almeno una decina d'ore a Silent Hunter. E se devo scrivere di cowboy, cosa c'è di meglio di Red Dead Redemption per entrare nell'atmosfera?

Everyeye.it: L'esperienza maturata giocando ti permette una maggiore capacità d'astrazione o, meglio, di creatività

Davide Morosinotto: Io sono sempre stato un giocatore-schiappa, anche perché sono mancino e, nonostante le varie impostazioni southpaw, io e i controller non siamo mai andati d'accordo. Perciò tutta la parte di sfida, di prova ed errore per imparare a superare i livelli difficili, mi ha sempre annoiato. Odio morire nei giochi (quindi non sono proprio un fan di Dark Soul) e anche quando facevo il tester di giochi (perché ho fatto anche questo nella vita) cercavo di usare tutti gli aiuti possibili, dalla god mode in avanti, per superare i livelli in fretta. Dei videogiochi mi interessa l'aspetto narrativo e i mondi fantastici che creano. Per me i giochi sono un modo di raccontare storie, diverso dai libri e dai fumetti e dai film, quindi credo che aiutino la creatività in questo senso: come la aiutano tutte le storie. E' molto dibattuta invece l'idea che i giochi potenzino, o al contrario limitino, creatività e capacità mentali. Poco tempo fa, ad esempio, leggevo su Le Scienze un articolo su "Videogiochi per la mente" che diceva, cito testualmente, "Sparare agli zombie e combattere gli alieni può migliorare in modo permanente le nostre abilità mentali".

Everyeye.it: Se permetti, avrei un'altra curiosità, legata all'avvento della Realtà Virtuale. I tempi probabilmente non sono ancora maturi per un utilizzo complesso della VR ma, un domani, se il tempo decreterà il successo della tecnologia, come cambierà il rapporto con la narrazione e come potrà evolversi il lavoro dello scrittore/sceneggiatore? La narrazione "personalizzabile" - che è tipica del videogioco - potrà raggiungere il suo apice attraverso l'immersività totale oppure dovrà essere comunque imbrigliata in esperienze "guidate" a causa dei limiti tecnologici?

Davide Morosinotto: La Realtà Virtuale, intesa come mondo in cui entrare grazie al computer, ha già influenzato tantissimo la letteratura, da Neuromante di William Gibson in poi. Non so se Oculus Rift cambierà il lavoro degli sceneggiatori, ovvero se i videogiochi con visore richiederanno una narrativa diversa rispetto alla console e a una Tv tradizionale. Fare previsioni sul futuro è sempre difficile, ma da scrittore, la vera sfida mi sembra più che altro la Realtà Aumentata. Quest'anno il mondo intero l'ha scoperta con Pokemon Go, ma siamo solo agli inizi, ed è una tecnologia che può presentare sfide interessanti. Se posso inserire un personaggio di fantasia all'interno del mondo reale, come dovrò progettarlo perché si integri nell'ambiente, e come farlo interagire con il lettore / giocatore? Sarebbe divertente visitare il Ponte dei Sospiri a Venezia e incontrare il fantasma virtuale di Casanova che ci guida di persona nei Piombi? E se sì, come far parlare Casanova perché si rapporti con un pubblico eterogeneo in un ambiente imprevedibile perché reale? Non ho ancora le risposte a queste domande, ma sono molto curioso di scoprirle.