Speciale Fight Club

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  • LA CITAZIONE: a sinistra, Fight Club (1999); a destra, lo stage underground di Tekken 4.

    Fight Club

     

     

    [realismo e fantasia nei videogiochi di arti marziali]

    Una delle tendenze che ha contraddistinto l'evoluzione del videogioco nel corso delle ultime due generazioni hardware è stata la rincorsa al realismo. La febbre della simulazione ha contagiato tutti i generi. Forse tutti tranne uno: il picchiaduro 3D, dal primo Virtua Fighter (Sega AM2, 1993) a Soul Calibur II (Namco, 2003), non pare aver registrato un progresso in questa direzione pari a quello ravvisabile, ad esempio, nel genere automobilistico, che sotto il profilo del realismo negli ultimi dieci anni ha fatto passi da gigante. Basti pensare a ciò che fu Virtua Racing (Sega AM2, 1993) e ai neanche troppo recenti Gran Turismo 3 A-Spec (Polyphony, 2001) ed F355 Challenge (Sega AM2, 2000).

     

    Il picchiaduro appare come un genere fermo, un po' perché disinteressato alla radicale innovazione di se stesso, un po' perché insensibile alla disperata ricerca del realismo che assilla altre tipologie di gioco. In bilico tra arcade e simulazione, attualmente quello dei picchiaduro è un genere che mentre combatte si barcamena schizofrenico tra realismo e fantasia, un po' come il Jack Norton di Fight Club. E qui sorge la domanda: i picchiaduro di oggi in che misura sono realistici? Virtua Fighter 4, Tekken 4, Soul Calibur II, sono simulatori di arti marziali?

     

    Per argomentare la tesi che intendiamo dimostrare in questa sede scomporremo la disamina del genere picchiaduro in sei punti.

    1. Le tecniche riprodotte

    I praticanti di ogni arte marziale imparano centinaia di tecniche. Tuttavia solo una parte di queste sono finalizzate a un effettivo impiego in combattimento. Infatti, nelle arti marziali esistono tre grandi categorie di tecniche:

    Tecniche da combattimento

     

    Sono tutte quelle tecniche, di attacco e di difesa, sufficientemente efficaci da essere eseguite in un combattimento, da strada o da competizione.

    Tecniche da dimostrazione

    Sono tecniche altamente spettacolari, ma che implicano tempi di preparazione ed esecuzione inadeguati a situazioni di combattimento reale. Ne sono un esempio i calci in volo che prevedono rotazioni del corpo superiori ai 360 gradi. In queste tecniche risiede parte del patrimonio estetico di ogni arte marziale, e proprio in virtù della loro bellezza sono spesso esibite a scopo dimostrativo.

    Tecniche da forme

    Le forme di ogni arte marziale (i Kata nel Karate, i Taeguk nel Tae Kwon Do, ecc.) sono esercizi individuali composti da una successione predefinita di movimenti. Oltre ad affinare la tecnica dell'atleta attraverso la pratica, le forme esprimono il bagaglio culturale ed estetico dell'arte marziale. Nel Tae Kwon Do, ad esempio, la forma Koryo (intitolata a un'antica dinastia coreana) vuole rappresentare attraverso successioni di movimenti ampi, circolari e aggraziati, uno dei periodi più fiorenti della storia e della cultura di Corea.

    Molte delle tecniche impiegate nelle forme esauriscono la loro ragion d'essere all'interno della forma stessa, e non vengono pertanto impiegate né in combattimento, né in ambito dimostrativo.

    In barba a qualsiasi velleità di realismo, i picchiaduro attingono a piene mani da queste tre categorie di tecniche forzandole tutte all'interno di un unico sistema di combattimento fittizio. Laddove la logica suggerirebbe l'implementazione delle sole tecniche da combattimento, le tecniche da dimostrazione, in virtù della loro spettacolarità, molto si prestano a vivacizzare le dinamiche di un combattimento virtuale. Pertanto gli sviluppatori intervengono sulla tecnica originale, accorciandone i tempi di esecuzione e aumentandone l'efficacia, in modo da renderla usufruibile nel gioco. Le tecniche da forma, molte delle quali esteticamente pregevoli, dal canto loro subiscono spesso la stessa sorte.

    Il risultato è che nei picchiaduro come Tekken, Virtua Fighter e Dead or Alive trovano posto centinaia di tecniche, più o meno manipolate rispetto alle loro controparti reali, originariamente concepite per scopi diversi dal combattimento. Insomma, un minestrone di mosse che hanno ben poco a che vedere le une con le altre.


    2. La resistenza fisica

    Il problema della resistenza fisica ai colpi e allo sforzo viene solitamente additato come la prova più evidente dello scarso realismo dei picchiaduro. Nella realtà un paio di colpi al volto ben assestati metterebbero fuori combattimento anche i migliori incassatori. Invece in qualsiasi Tekken o Virtua Fighter i lottatori non solo resistono a un numero esagerato di colpi, ma i loro movimenti non risentono progressivamente dei danni subiti. Per non parlare di Soul Calibur, in cui i personaggi sopravvivono come se nulla fosse a decine di fendenti di spada. Infuocati, se possibile.

     

    Trattasi di scelte di game design evidentemente tese a non compromettere la giocabilità delle battaglie. Se in Soul Calibur bastasse un colpo per uccidere l'avversario o rimanerne uccisi, i combattimenti avrebbero una durata potenzialmente istantanea. È ciò che accadeva in Bushido Blade (Square, 1997) e relativo seguito (in foto), picchiaduro all'arma bianca tutti protesi al realismo. Un solo colpo alla testa o al corpo era sufficiente ad abbattere l'avversario, motivo questo dell'assenza di qualsivoglia indicatore di salute o barra energetica. Inoltre, qualora un arto fosse colpito da un fendente, diventava inutilizzabile. Un samurai gambizzato perdeva la facoltà di deambulare, e se ferito alle braccia rimaneva del tutto inoffensivo. Oggi in pochi si ricordano dei Bushido Blade, sintomo di una qualità generale dei due titoli non entusiasmante, ma anche dello scarso valore ricreativo di un certo tipo di realismo.

    Accantonando il discorso relativo alla resistenza fisica ai colpi subiti, esiste un fattore analogo a decretare l'estraneità delle dinamiche dei combattimenti reali a quelli di un videogioco. Questo fattore è ciò che gli inglesi chiamano ‘stamina', ovvero la resistenza allo sforzo. Un praticante di arti marziali sa bene che in combattimento è fondamentale non sprecare energie. Se nella realtà un lottatore eseguisse una combinazione da dieci colpi come in Tekken, successivamente non sarebbe più in grado di attaccare per almeno un minuto, rendendosi facile preda dell'avversario. Nei videogiochi lo sforzo fisico raramente è contemplato. Ne conseguono combattimenti in cui per un minuto e più i lottatori eseguono decine di tecniche senza soluzione di continuità. Ciò favorisce il ritmo di gioco, ma assottiglia lo spessore strategico degli incontri.

     

    Nei videogiochi la riproduzione di questo fattore sarebbe possibile attraverso l'implementazione di una barra, indicativa della stamina, che si riduce ad ogni attacco sferrato. Una volta esaurita, il lottatore dovrebbe attendere che la barra si ricarichi, almeno parzialmente, rimanendo temporaneamente inoffensivo. Qualcosa di simile è stato realizzato nei picchiaduro 2D della Capcom, in cui alla barra energetica se ne affiancava un'altra in progressiva riduzione ad ogni attacco assorbito. Una volta esaurita, il giocatore non poteva più contare sulla parata ed era obbligato a una condotta di combattimento più votata all'attacco. Tuttavia, più che al realismo, anche questa soluzione era finalizzata all'aumento del ritmo e della spettacolarità degli incontri, dal momento che scoraggiava atteggiamenti attendisti a vantaggio di strategie più sfrontate.

     


    3. Le collisioni

    Nella realtà una tecnica di attacco è efficace solo se colpisce nettamente l'obiettivo. I colpi sporchi, imprecisi, deboli, sono inefficaci. È sufficiente che l'avversario si sposti di pochi centimetri in avanti o indietro e un pugno colpisce male, scomposto, senza forza; o addirittura non conclude neppure la sua corsa, come conseguenza di una manovra "a chiudere" dell'avversario. Non solo, un calcio che incontra sulla propria traiettoria un gomito o un ginocchio, può risolversi in un danno per lo stesso lottatore che l'ha sferrato.

     

    Normalmente i picchiaduro non contemplano queste variabili. Una volta iniziata l'animazione di un colpo d'attacco, se la parte che colpisce entra in collisione con l'avversario (purché questo non si trovi in posizione di parata), il danno viene inflitto. Ne consegue un'eccessiva facilità nel mettere a segno i colpi, la quale, sommata all'assenza di una barra di stamina, incoraggia il giocatore a continuare a sferrare attacchi, alleggerendo il sistema di combattimento di una fase di studio propedeutica al contatto, durante la quale eseguire finte, indurre l'avversario a scoprirsi, e infine carpire l'attimo ideale per colpire.

     

     

    Nei giochi di pugilato si può rilevare qualche traccia di evoluzione in questo senso. In Victorious Boxers (New Corp., 2001) solo i pugni che centrano in pieno il bersaglio provocano danni. Tuttavia, non esistendo una barra di stamina, il giocatore è comunque motivato a sferrare cazzotti a ripetizione sperando che prima o poi ne vada a segno uno. Le ambizioni di realismo di Victorious Boxers si esprimono anche nell'assenza di una barra energetica visibile da cui dedurre lo stato di salute dei pugili. L'unico indizio in questo senso è dato dal volto dei lottatori, soggetto a progressivi rigonfiamenti e colorazioni livide. Per quanto apprezzabile, questa soluzione non convince pienamente. Per decifrare quanto possa resistere ancora il proprio pugile bisogna interpretarne le condizioni del volto nella speranza che la visuale di gioco lo inquadri: un procedimento macchinoso. Nella realtà si è sempre consapevoli dei danni subiti, se non altro per il dolore che procurano. Allora non è meglio disporre della cara vecchia barra energetica?

     


    4. Tekken 4 e Virtua Fighter 4: forma e sostanza

    È convinzione diffusa che Virtua Fighter 4 sia il picchiaduro per videogiocatori intenditori, mentre Tekken 4 sia il "solito Tekken" sempliciotto impreziosito da una realizzazione tecnica al passo con i tempi, e pertanto più adatto al giocatore occasionale. Ma l'appassionato di arti marziali in quale dei due titoli preferirà cimentarsi? Istintivamente verrebbe da rispondere VF4. La questione è in realtà più complessa.

    Numeri: in Pro Evolution Soccer 3 il realismo si esprime anche attraverso la credibilità delle animazioni dei calciatori. La regola vale anche per i picchiaduro.

     

    Per lo studioso di arti marziali l'impatto con VF4 è deprimente. Dal primo Virtua Fighter (anno di grazia 1993) Sega ripropone le stesse animazioni: adeguate per qualsiasi videogiocatore, ma legnose, innaturali, "manichine" agli occhi del conoscitore delle corrispettive tecniche reali. Perché il lettore possa comprendere questo punto, è sufficiente che si immagini un Pro Evolution Soccer in cui le animazioni dei giocatori siano realizzate catturando in motion capture i gesti atletici di una signora di quarant'anni. Perché no, vostra madre: immaginatevela mentre frulla calci e pugni in un videogioco...

    L'appassionato di arti marziali non può che esprimere disappunto assistendo a bacini che roteano slegati dal resto del corpo, a calci in posizioni scomposte, ecc. Sotto questo profilo Tekken 4 sfodera tutt'altra stoffa. Benché non tutti i personaggi vantino animazioni dello stesso calibro, lottatori come Whoarang, Jin Kazama e Christie ammaliano l'occhio dell'appassionato, che apprezzerà lo zelo riposto nella rappresentazione di posizioni, tecniche, finte, prese e schivate fin nei movimenti delle dita delle mani (!). Così come l'abbonato a Quattroruote sbigottisce di fronte alla modellazione dei cerchioni in Gran Turismo 3, allo stesso modo la cintura nera di Tae Kwon Do si commuove assistendo alla naturalezza con cui Whoarang inanella un cambio di guardia, una finta e un calcio in volo senza che un solo centimetro del suo corpo commetta la benché minima sbavatura tecnica. Laddove in VF4 il cultore di arti marziali viene indisposto dall'approssimazione con cui sono riprodotte le varie tecniche, in Tekken 4 trova immediatamente un terreno fertile alla coltivazione della propria passione.

    Tekken 4 come la Mecca videoludica dell'appassionato di arti marziali? Non esattamente. Il sistema di combattimento di VF4, una volta approfondito, risulterà più soddisfacente di quello di Tekken, che mima i reali combattimenti di arti marziali più nella forma (attraverso animazioni sensazionali) che nella sostanza. La superiore profondità di VF4 è peraltro dovuta più a scelte di gameplay che non a una maggiore ricerca del realismo. Tuttavia nel lungo periodo l'appassionato di arti marziali può trovare nelle meccaniche del titolo Sega una sfida che, per stimoli e complessità, è assimilabile a un combattimento reale più di quanto non lo siano gli scontri di Tekken 4. Ma il videogiocatore studioso di arti marziali riuscirà ad appassionarsi a un gioco che ne trascura tanto bellamente la componente estetica?

    Il realismo di una simulazione traspare anche dall'attenzione maniacale per i dettagli. Sopra, nelle ruote di Gran Turismo 3 A-Spec è possibile intravedere i freni a disco. Sotto, Whoarang si solleva da terra per sferrare un pugno saltato, la posizione delle gambe bilancia la proiezione in avanti del peso del lottatore, la cintura e i lembi del costume ondeggiano coerentemente alle sollecitazioni del corpo.


    5. I picchiaduro come stili di combattimento

    Si è abituati a pensare ai picchiaduro come terreni di combattimento neutro in cui, a seconda del personaggio selezionato, sia possibile prodursi in combattimenti di Karate, Judo, Ju-Jitsu, ecc.

    Niente di più falso. Ogni picchiaduro, apparentemente aperto a molteplici stili di combattimento, è governato da meccanismi che caratterizzano i combattimenti in anticipo rispetto alle tecniche a disposizione dei vari lottatori. In altre parole, ogni picchiaduro è uno stile di combattimento a sé. Spieghiamoci.

    Tekken è una disciplina votata all'attacco. Virtua Fighter è una disciplina votata all'azione ragionata, alla contromossa. Poco importa che in entrambi i giochi ci siano praticanti di Karate e Kung Fu. Perché Jin Kazama in Tekken 4 non 'fa Karate', 'fa Tekken' utilizzando tecniche di Karate più o meno fedelmente riprodotte, cui è stata attribuita una certa efficacia, che non necessariamente corrisponde a quella reale (avete mai visto nessuno librarsi in volo dopo aver incassato un montante? Eppure in Tekken è la prassi).

    L'efficacia attribuita a tutte queste tecniche è studiata per costruire quegli equilibri che un game designer ha il dovere di garantire. Se così non fosse i praticanti di discipline di combattimento più legate all'estetica che all'efficacia risulterebbero fortemente penalizzati all'interno di un gioco che include praticanti di vari stili. Sarebbe questo un difetto della simulazione? No, sarebbe un difetto del gioco.

    È questo il motivo per cui nei picchiaduro i personaggi femminili risultano temibili quanto i lottatori uomini, beneficiando solitamente di una velocità superiore, per compensare una forza e una resistenza fisica più esigue. È tutta una questione di equilibri.


    6. I picchiaduro come regolamenti di combattimento

    Tutti i picchiaduro hanno un regolamento molto preciso. Tuttavia si tratta di un regolamento implicito, non consultabile. Ad esempio, non è mai possibile infierire a oltranza sull'avversario al tappeto. Anzi, quando questa possibilità viene in qualche modo concessa è considerata un errore di game design, dal momento che per un giocatore è molto frustrante assistere impotente alla demolizione del proprio personaggio atterrato. Il "Ring Out" è un'altra regola, questa volta più esplicita, di molti picchiaduro. Per vincere un round in Soul Calibur è sufficiente spingere l'avversario fuori dall'area di gioco: questa regola incide tantissimo sulle dinamiche dei combattimenti. E ancora, nelle (reali) competizioni Tae Kwon Do sono bandite le spazzate. In Tekken 2, Tekken 3, Tekken Tag e Tekken 4 ritroviamo praticanti di questo stile, ma non si può affermare che diano vita a combattimenti di Tae Kwon Do, perché l'avversario, se esperto di un altro stile, può benissimo attaccare sotto la cintura. Pertanto avremo un lottatore che utilizza tecniche di Tae Kwon Do all'interno di un combattimento interstile, certamente avulso dalle dinamiche tipiche delle reali competizioni di Tae Kwon Do.

    Sia per il regolamento, implicito ed esplicito, sia per l'approccio favorito dal sistema di gioco (offensivo? dalla distanza? incentrato sulle prese?), ogni picchiaduro costituisce una vera e propria disciplina di combattimento virtuale, indipendentemente dagli stili di combattimento reali cui si ispira. In quest'ottica, creare un picchiaduro non significa realizzare un simulatore di arti marziali, quanto creare un sistema di combattimento inedito, che sotto l'aspetto visivo emula i combattimenti reali, ma che nella sostanza vuole essere un gioco, e deve quindi soddisfare sotto il profilo del divertimento, degli equilibri e della giocabilità. Il fatto che per diventare grandi esperti di picchiaduro non sia necessario essere praticanti di arti marziali la dice lunga in questo senso. Per contro, è difficile pensare che un cultore di Gran Turismo 3, abituato a ponderare gli assetti della propria vettura smanettando tra la rigidezza degli ammortizzatori e l'entità della deportanza, non abbia neppure conseguito la patente di guida.


    7. Prospettive: realismo e giocabilità insieme?

    Ricapitolando, il grado di realismo dei picchiaduro è ancora piuttosto limitato. Tuttavia questo genere è già riuscito a riproporre con successo alcuni aspetti dei combattimenti reali. Tra questi spicca l'approccio mentale al combattimento: la concentrazione, la focalizzazione sui movimenti dell'avversario, l'acquisizione della completa conoscenza del suo bagaglio tecnico e delle sue strategie. Al di là dell'impossibile restituzione del dolore fisico provato dal proprio lottatore (e ci mancherebbe), un buon picchiaduro sa infondere sensazioni di agonismo, adrenalina e tensione. Emozioni proprie dei combattimenti reali, ma opportunamente ridimensionate dal fatto che davanti a una console non si rischia la vita, nonostante qualcuno ami ripetere il contrario.

    Da un punto di vista più concreto, i picchiaduro sono realistici quando le tecniche dei lottatori sono riprodotte il più fedelmente possibile alle loro controparti reali, nell'estetica e negli effetti. Allora il praticante sa che le prese e gli attacchi di pugno sono la scelta più indicata nello stretto, sa quali calci sono più adatti alla media distanza e quali all'anticipo dell'avversario in avvicinamento.

    Ad esclusione di questi aspetti, però, i picchiaduro non sono realistici, e non sono realistici perché non vogliono esserlo. Questo non significa che siano giochi peggiori di quanto non sarebbero se fossero più simulativi. Anzi, non sono realistici proprio per non rischiare di trasformarsi in pessimi giochi; ma siamo sicuri che i due generi - picchiaduro arcade e picchiaduro simulativi - non potrebbero coesistere? Dopotutto se tra qualche mese avremo Burnout 3 e Gran Turismo 4, nulla ci vieta di pensare che a Tekken 5 un giorno sarebbe bello accostare The Real Martial Arts Simulator.


    Namco in gran


    Tekken e Soul Calibur non implementano tecniche da forma solo all'interno dei combattimenti. Consapevole del fascino di questi esercizi, Namco ne ha inseriti uno per ciascun personaggio nella sezione Movie Theatre dei due Soul Calibur. Si tratta di fedeli riproduzioni in motion capture di forme complete e reali (non tutte, a onor del vero). Memorabili le performance di Kilik, così come i severi Kata interpretati da Jin Kazama in Tekken 4 (vedi foto).


    Oltre le botte: la saga di Shenmue


    Secondo qualcuno Shenmue e Shenmue II (Sega, 1999-2002) sono i migliori giochi di arti marziali mai sviluppati. Questo perché al di là di una (invero scadente) componente picchiaduro, offrono un'esperienza rappresentativa della cultura e della mentalità che soggiacciono alle discipline di combattimento orientali. Shenmue e Shenmue II (in foto) costituiscono le prime tappe del viaggio - interiore e non - di Ryo Hazuki verso l'autocontrollo, la consapevolezza e la capacità di discernere il bene e il male. Indimenticabili sono i dialoghi formativi con i maestri di cui Ryo farà la conoscenza nel corso del suo lungo peregrinare. Il fatto che le sezioni di combattimento, in sé, non siano altro che una versione impoverita di Virtua Fighter, induce il giocatore a pensare al mondo delle arti marziali come qualcosa di più ampio del mero confronto fisico con l'avversario.


    Wrestling: lo spettacolo innanzitutto


    Di giochi ispirati al mondo del Wrestling se ne contano a bizzeffe: WWE Smackdown! Shut Your Mouth (Yuke's, 2002 - in foto), WWE Smackdown! Here Comes the Pain (Yuke's, 2003), WWE Wrestlemania XIX (Yuke's, 2003) e Def Jam Vendetta (Ahi Corp., 2003) sono solo alcuni tra i più recenti. Se sono realistici? Ovviamente no, ma non c'è motivo che lo siano, dal momento che il Wrestling non è altro che una messa in scena di combattimenti acrobatici preparati a tavolino come le coreografie di un balletto.

     

    Il Wrestling è uno spettacolo disimpegnato all'insegna del divertimento stelle e strisce. Se un gioco di Wrestling riesce ad essere spettacolare e divertente ha già svolto il suo dovere. Il realismo qui non ha nulla a che vedere...


    Filosofia dello splatter: la serie di Mortal Kombat


    Sin dai primi episodi in 2D, la serie di Mortal Kombat (Midway, 1993-2003) ha ricercato il fotorealismo attraverso la presentazione di personaggi e ambienti digitalizzati. Tale realismo estetico era funzionale alla truculenza espressa dalle mosse più violente, soprattutto le celebri e improbabili Fatality, che consentivano di uccidere l'avversario mediante mutilazioni o estirpazioni di organi interni.

    Il realismo delle soluzioni grafiche, però, non è mai stato accompagnato da una parallela ricerca del realismo nelle meccaniche di combattimento, che in MK sono sempre state all'insegna della fantasia. L'ultimo capitolo, Mortal Kombat: Deadly Alliance (in foto), ha segnato una svolta nella serie, riconsiderando radicalmente il sistema di gioco tradizionale per avvicinarlo a quello dei più moderni picchiaduro in 3D. MK:DA è ancora un gioco scevro da qualsiasi ambizione di realismo, tuttavia si segnalano una manciata di gradevoli innovazioni in questo senso. Ciascun personaggio padroneggia ora tre stili di combattimento reali, interscambiabili nel corso dello stesso combattimento. Infine, tra le mosse speciali si registra un singolare "colpo impalatore". Tale tecnica compromette definitivamente la salute dell'avversario, provocandogli un'emorragia che riduce lentamente ma inesorabilmente la sua barra energetica.


    I tre dell'operazione drago (Enter the Dragon, 1973).

    Al videogioco interessa poco ricreare realistici combattimenti di arti marziali. E al cinema? Da decenni Hong Kong e Hollywood propongono una visione circense delle arti marziali, presentandole come discipline in grado di conferire all'individuo dei veri e propri superpoteri, grazie ai quali avere la meglio su decine di avversari contemporaneamente. In Occidente questa esasperata spettacolarizzazione delle arti marziali avrà poi giovato al riconoscimento della loro dignità culturale e filosofica?


    Nel film Senza esclusione di colpi (Bloodsport, 1999) Frank Dux (Jean Cloud Van Damme) sfida un amico lottatore a Karate Champ (Data East, 1984), prevalendo nettamente. La scena vuole suggerire pretestuosamente che anche nella realtà Dux sia il lottatore più abile. Ma l'esperto di arti marziali alle prese con i picchiaduro è realmente avvantaggiato rispetto al videogiocatore comune?

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