God of War Ragnarok ha beneficiato dei frutti di quanto seminato nell'opera precedente, imbastendo un racconto corale non incentrato solo sul pur fondamentale rapporto tra Kratos e Atreus, ma capace di dar spazio a più storie familiari, a vecchi e nuovi personaggi, cambiamenti e, come è giusto che sia, anche al dolore. Questa narrazione dal piglio fortemente autoriale, soprattutto nelle fasi conclusive, ha saputo fare ricorso al "non detto" e interrompersi al momento opportuno, per dare il giusto peso alle conseguenze di alcuni eventi e lasciare un segno indelebile nei cuori dei giocatori.
Eppure - dopo aver passato decine di ore nei Nove Regni - chi vi scrive avrebbe voluto qualche piccola attenzione in più per un paio di comprimari, soprattutto a seguito di specifici avvenimenti. Prima di entrare nel fulcro del discorso, la premessa di sempre: d'ora in avanti gli spoiler sulla storia di God of War Ragnarok e le sue battute conclusive abbonderanno.
Rapporti da sanare
Pur chiudendo il ciclo norreno della serie, God of War Ragnarok lascia in sospeso alcune questioni o meglio, non le conclude come vorremmo ma in compenso lo fa nel migliore dei modi possibili. In uno dei suoi pochi dialoghi con Angrboda, una persona che ha capito essere molto importante per suo figlio, Kratos le chiede degli altri giganti e la ragazza gli risponde di non essere la sola rimasta a Jotunheim. La giovane infatti condivide la casa dei suoi avi con la nonna Grýla, una gigantessa profondamente segnata da traumi familiari, che nel corso dell'avventura riserva alla nipote delle parole affilate come lame.
Dagli scambi dello spartano e di Mimir con la ragazza è possibile intuire che le due abbiano intrapreso un percorso che le porterà, nel tempo, a riavvicinarsi, visto che la mente di Grýla non è più offuscata da quell'insaziabile fame d'anime che la aveva allontanata dalla sua affezionata nipote. Il tempo quindi è un grande sanatore di rapporti? In alcuni casi è vero, ma a volte ne deve passare più di quanto si vorrebbe per veder rifiorire un legame. È la grande lezione imparata da Atreus alla morte di Brok, che ha emotivamente annientato il povero Sindri. Poco prima di spirare, il nano bluastro ha svelato all'amato familiare di conoscere la verità sulla sua natura di redivivo e di averlo già perdonato per quanto gli aveva fatto. Spese nel tentativo di dargli pace e di lenirne il dolore, le parole di Brok hanno sortito un altro effetto su suo fratello. L'Huldra sopravvissuto infatti è caduto in preda a un senso di colpa logorante, per non aver mai avuto il coraggio di informare il parente sul fatto che avesse continuato a esistere in modo innaturale, a causa peraltro di una precisa scelta che non spettava né a Sindri, né a nessun altro.
Ad ogni modo, parte di questo dolore si è tramutata in rabbia, verso coloro che - in quel momento - ha ritenuto in buona sostanza i colpevoli della morte di Brok. Kratos e Atreus del resto gli avevano portato in casa il falso Týr (o Tyr, per citare il nostro speciale sui migliori Easter Egg di God of War Ragnarok), un Odino assetato di conoscenza e disposto letteralmente a tutto pur di ottenerla, anche a uccidere degli innocenti.
Insomma, il figlio di Faye non ha potuto far altro che partire in missione senza riappacificarsi con il compagno di tante avventure, e anche lo spartano e Mimir - nella scena del funerale di Brok - non hanno avuto alcuno spiraglio per poter parlare col loro amico. Per Sony Santa Monica, dare valore alle conseguenze di eventi traumatici era più importante del confezionare un finale felice ma poco incisivo e in tal senso la decisione di mostrarci solo gli incipit di determinati percorsi emotivi si è rivelata azzeccatissima.
Di altra enorme importanza è la questione del "non detto", di quei misteri lasciati volutamente (e comprensibilmente) insoluti. Chi vi scrive non crede di essere l'unico che - al momento della scelta decisiva di Atreus dopo il confronto con Odino - ha provato un retrogusto di delusione quando il giovane ha scelto di distruggere la maschera, con la conseguente chiusura dello squarcio verso la conoscenza infinita.
Eppure, il fatto che il ragazzo si sia comportato così, negando a Odino (e a noi!) qualche sconvolgente rivelazione ha perfettamente senso, perché è la prova ultima di quanto egli sia cresciuto nel corso del suo lungo viaggio, di quanto abbia effettivamente interiorizzato le parole del padre, imparando che questo genere di sapere ha un prezzo, spesso molto caro. In attesa di capire cosa abbia effettivamente causato il ritorno al passato di Jormungandr, dove sia andato Atreus per cercare i suoi simili e come si sia svolta l'opera di ricostruzione dei regni voluta da Freya, Mimir e da Kratos, più che mai intenzionato a comportarsi come il dio benevolo e luminoso raffigurato dai giganti, non possiamo che ribadire quanto questa grande avventura sia uno straordinario punto d'approdo per l'intera epopea dello spartano, come scrivevamo nella recensione di God of War Ragnarok.
Di dipartite e Easter Egg "premium"
Quello alla base della chiusura della saga norrena è un tessuto narrativo di mirabile fattura, un mosaico i cui tasselli sono costituiti da personaggi profondi, scampoli di lore e ambientazioni difficili da dimenticare. Ciò detto, almeno secondo il parere di chi scrive, con alcuni dei volti secondari del racconto si sarebbe potuto fare qualcosa di più, a cominciare da colui che per tutta l'assenza di Freya ha assunto - volente o nolente - il comando delle restanti forze dei Vanir.
Stiamo parlando proprio di Freyr, che col suo coraggioso sacrificio finale non ha salvato soltanto la vita di sua sorella ma anche quella di Kratos e Atreus. Nelle battute conclusive dell'avventura è possibile udire i suoi vecchi compagni ricordarlo con affetto, raccontare storie sul loro comandante e persino arrivare a commuoversi, con Lunda che a un certo punto sente il bisogno di dire a Freya quanto suo fratello fosse speciale per lei. Pur senza pretendere l'ideazione di un momento sullo stile del funerale di Brok, corredato peraltro da una cutscene dedicata, ci sarebbe piaciuto assistere a qualche ulteriore dialogo dedicato a Freyr tra Kratos e Freya, che d'altra parte lo accompagna in tutto l'endgame.
La potente ex guida delle Valchirie ne parla con Atreus sul finire della trama ma tende quasi a nascondere i segni del lutto allo spartano. Questa è una caratteristica propria della dea Vanir, è vero, ma al contempo God of War Ragnarok parla anche dell'aprirsi agli altri e avrebbe potuto mostrarci qualcosa di più sul suo dolore per la perdita del fratello che aveva appena ritrovato, specie quando in compagnia di alleati che ormai associa alla sua famiglia. In un racconto ampio e articolato come quello di God of War Ragnarok è comprensibile dare spazio a determinate voci invece che ad altre, pensiamo ad esempio al fugace momento di gloria di Birgir, che una volta conclusosi lo vede tornare nelle "retrovie" della narrazione. Secondo il sottoscritto però c'è stata una scelta che se da un lato ha prodotto un elemento fortemente caratterizzante delle ultime ore di gioco - assieme alle conseguenze della resa dei conti con Gná - dall'altro ha generato frangenti di efficacia altalenante. Týr, quello vero s'intende, era rinchiuso in una prigione asgardiana piombata a Niflheim dopo la caduta del regno di Odino e viene liberato da Kratos, Freya e Mimir. Sconvolto dalle loro rivelazioni e dalla fine dell'Allfather, il saggio viaggiatore di mondi - e non parliamo solo di quelli norreni - reagisce con sorpresa quando apprende il nome di Kratos ma in quel momento è comprensibilmente scosso e chiede ai vecchi e nuovi alleati di essere lasciato solo per riflettere sull'accaduto.
Tutto ciò appare assolutamente comprensibile, in linea col personaggio e la sua tardiva liberazione da una reclusione costatagli molto a livello psicologico. Gli sviluppatori però ci hanno permesso di incontrare Týr in diverse altre occasioni, con Kratos che lo trova a meditare, che può parlare con lui del grave lutto di Sinmara e del ruolo giocato da Freyr nell'accordo di pace tra gli elfi.
In altre parole, proprio in virtù di questi incontri ripetuti, il fatto che il torreggiante dio non dica più nulla sull'identità dello spartano, a lui in realtà ben nota visti i suoi viaggi in Grecia e i souvenir raccolti - pensiamo al vaso raffigurante proprio il dio della guerra custodito nella sfarzosa sala del tempio di Týr - rappresenta un po' un'occasione perduta, che avrebbe reso ancor più significativo questo "easter egg premium".
Il finale di God of War Ragnarok: le storie concluse e le vicende sospese
Le nostre considerazioni sul finale di God of War Ragnarok, che spesso ha scelto di non mostrare per colpirci ancora di più.
God of War Ragnarok ha beneficiato dei frutti di quanto seminato nell'opera precedente, imbastendo un racconto corale non incentrato solo sul pur fondamentale rapporto tra Kratos e Atreus, ma capace di dar spazio a più storie familiari, a vecchi e nuovi personaggi, cambiamenti e, come è giusto che sia, anche al dolore. Questa narrazione dal piglio fortemente autoriale, soprattutto nelle fasi conclusive, ha saputo fare ricorso al "non detto" e interrompersi al momento opportuno, per dare il giusto peso alle conseguenze di alcuni eventi e lasciare un segno indelebile nei cuori dei giocatori.
Eppure - dopo aver passato decine di ore nei Nove Regni - chi vi scrive avrebbe voluto qualche piccola attenzione in più per un paio di comprimari, soprattutto a seguito di specifici avvenimenti. Prima di entrare nel fulcro del discorso, la premessa di sempre: d'ora in avanti gli spoiler sulla storia di God of War Ragnarok e le sue battute conclusive abbonderanno.
Rapporti da sanare
Pur chiudendo il ciclo norreno della serie, God of War Ragnarok lascia in sospeso alcune questioni o meglio, non le conclude come vorremmo ma in compenso lo fa nel migliore dei modi possibili. In uno dei suoi pochi dialoghi con Angrboda, una persona che ha capito essere molto importante per suo figlio, Kratos le chiede degli altri giganti e la ragazza gli risponde di non essere la sola rimasta a Jotunheim. La giovane infatti condivide la casa dei suoi avi con la nonna Grýla, una gigantessa profondamente segnata da traumi familiari, che nel corso dell'avventura riserva alla nipote delle parole affilate come lame.
Dagli scambi dello spartano e di Mimir con la ragazza è possibile intuire che le due abbiano intrapreso un percorso che le porterà, nel tempo, a riavvicinarsi, visto che la mente di Grýla non è più offuscata da quell'insaziabile fame d'anime che la aveva allontanata dalla sua affezionata nipote. Il tempo quindi è un grande sanatore di rapporti? In alcuni casi è vero, ma a volte ne deve passare più di quanto si vorrebbe per veder rifiorire un legame. È la grande lezione imparata da Atreus alla morte di Brok, che ha emotivamente annientato il povero Sindri. Poco prima di spirare, il nano bluastro ha svelato all'amato familiare di conoscere la verità sulla sua natura di redivivo e di averlo già perdonato per quanto gli aveva fatto. Spese nel tentativo di dargli pace e di lenirne il dolore, le parole di Brok hanno sortito un altro effetto su suo fratello. L'Huldra sopravvissuto infatti è caduto in preda a un senso di colpa logorante, per non aver mai avuto il coraggio di informare il parente sul fatto che avesse continuato a esistere in modo innaturale, a causa peraltro di una precisa scelta che non spettava né a Sindri, né a nessun altro.
Ad ogni modo, parte di questo dolore si è tramutata in rabbia, verso coloro che - in quel momento - ha ritenuto in buona sostanza i colpevoli della morte di Brok. Kratos e Atreus del resto gli avevano portato in casa il falso Týr (o Tyr, per citare il nostro speciale sui migliori Easter Egg di God of War Ragnarok), un Odino assetato di conoscenza e disposto letteralmente a tutto pur di ottenerla, anche a uccidere degli innocenti.
Insomma, il figlio di Faye non ha potuto far altro che partire in missione senza riappacificarsi con il compagno di tante avventure, e anche lo spartano e Mimir - nella scena del funerale di Brok - non hanno avuto alcuno spiraglio per poter parlare col loro amico. Per Sony Santa Monica, dare valore alle conseguenze di eventi traumatici era più importante del confezionare un finale felice ma poco incisivo e in tal senso la decisione di mostrarci solo gli incipit di determinati percorsi emotivi si è rivelata azzeccatissima.
Di altra enorme importanza è la questione del "non detto", di quei misteri lasciati volutamente (e comprensibilmente) insoluti. Chi vi scrive non crede di essere l'unico che - al momento della scelta decisiva di Atreus dopo il confronto con Odino - ha provato un retrogusto di delusione quando il giovane ha scelto di distruggere la maschera, con la conseguente chiusura dello squarcio verso la conoscenza infinita.
Eppure, il fatto che il ragazzo si sia comportato così, negando a Odino (e a noi!) qualche sconvolgente rivelazione ha perfettamente senso, perché è la prova ultima di quanto egli sia cresciuto nel corso del suo lungo viaggio, di quanto abbia effettivamente interiorizzato le parole del padre, imparando che questo genere di sapere ha un prezzo, spesso molto caro. In attesa di capire cosa abbia effettivamente causato il ritorno al passato di Jormungandr, dove sia andato Atreus per cercare i suoi simili e come si sia svolta l'opera di ricostruzione dei regni voluta da Freya, Mimir e da Kratos, più che mai intenzionato a comportarsi come il dio benevolo e luminoso raffigurato dai giganti, non possiamo che ribadire quanto questa grande avventura sia uno straordinario punto d'approdo per l'intera epopea dello spartano, come scrivevamo nella recensione di God of War Ragnarok.
Di dipartite e Easter Egg "premium"
Quello alla base della chiusura della saga norrena è un tessuto narrativo di mirabile fattura, un mosaico i cui tasselli sono costituiti da personaggi profondi, scampoli di lore e ambientazioni difficili da dimenticare. Ciò detto, almeno secondo il parere di chi scrive, con alcuni dei volti secondari del racconto si sarebbe potuto fare qualcosa di più, a cominciare da colui che per tutta l'assenza di Freya ha assunto - volente o nolente - il comando delle restanti forze dei Vanir.
Stiamo parlando proprio di Freyr, che col suo coraggioso sacrificio finale non ha salvato soltanto la vita di sua sorella ma anche quella di Kratos e Atreus. Nelle battute conclusive dell'avventura è possibile udire i suoi vecchi compagni ricordarlo con affetto, raccontare storie sul loro comandante e persino arrivare a commuoversi, con Lunda che a un certo punto sente il bisogno di dire a Freya quanto suo fratello fosse speciale per lei. Pur senza pretendere l'ideazione di un momento sullo stile del funerale di Brok, corredato peraltro da una cutscene dedicata, ci sarebbe piaciuto assistere a qualche ulteriore dialogo dedicato a Freyr tra Kratos e Freya, che d'altra parte lo accompagna in tutto l'endgame.
La potente ex guida delle Valchirie ne parla con Atreus sul finire della trama ma tende quasi a nascondere i segni del lutto allo spartano. Questa è una caratteristica propria della dea Vanir, è vero, ma al contempo God of War Ragnarok parla anche dell'aprirsi agli altri e avrebbe potuto mostrarci qualcosa di più sul suo dolore per la perdita del fratello che aveva appena ritrovato, specie quando in compagnia di alleati che ormai associa alla sua famiglia. In un racconto ampio e articolato come quello di God of War Ragnarok è comprensibile dare spazio a determinate voci invece che ad altre, pensiamo ad esempio al fugace momento di gloria di Birgir, che una volta conclusosi lo vede tornare nelle "retrovie" della narrazione. Secondo il sottoscritto però c'è stata una scelta che se da un lato ha prodotto un elemento fortemente caratterizzante delle ultime ore di gioco - assieme alle conseguenze della resa dei conti con Gná - dall'altro ha generato frangenti di efficacia altalenante. Týr, quello vero s'intende, era rinchiuso in una prigione asgardiana piombata a Niflheim dopo la caduta del regno di Odino e viene liberato da Kratos, Freya e Mimir. Sconvolto dalle loro rivelazioni e dalla fine dell'Allfather, il saggio viaggiatore di mondi - e non parliamo solo di quelli norreni - reagisce con sorpresa quando apprende il nome di Kratos ma in quel momento è comprensibilmente scosso e chiede ai vecchi e nuovi alleati di essere lasciato solo per riflettere sull'accaduto.
Tutto ciò appare assolutamente comprensibile, in linea col personaggio e la sua tardiva liberazione da una reclusione costatagli molto a livello psicologico. Gli sviluppatori però ci hanno permesso di incontrare Týr in diverse altre occasioni, con Kratos che lo trova a meditare, che può parlare con lui del grave lutto di Sinmara e del ruolo giocato da Freyr nell'accordo di pace tra gli elfi.
In altre parole, proprio in virtù di questi incontri ripetuti, il fatto che il torreggiante dio non dica più nulla sull'identità dello spartano, a lui in realtà ben nota visti i suoi viaggi in Grecia e i souvenir raccolti - pensiamo al vaso raffigurante proprio il dio della guerra custodito nella sfarzosa sala del tempio di Týr - rappresenta un po' un'occasione perduta, che avrebbe reso ancor più significativo questo "easter egg premium".
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