Flop 10: i videogiochi più deludenti del decennio

Dopo avervi raccontato i migliori giochi del decennio, è arrivato il momento di elencarvi quelli che sono stati per noi le produzioni più deludenti.

Flop 10: i giochi più deludenti del decennio
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Quando ripensiamo ai dieci anni appena trascorsi, la nostra mente tende a concentrarsi principalmente sui migliori giochi del decennio, quelli che in qualche modo hanno saputo marchiarsi a fuoco nella nostra memoria in virtù delle loro qualità. Eppure, ci sono anche tanti altri prodotti che - per motivi molto meno nobili - hanno lasciato un segno profondo nei ricordi dei videogiocatori: opere che hanno sfortunatamente disatteso le aspettative del pubblico e della critica, e che si sono rivelati molto meno riusciti di quanto le premesse lasciavano presagire.

Ci teniamo a chiarire che nel nostro elenco non rientrano i giochi più brutti del decennio, ma quelli più deludenti: i nomi che leggerete non sono dunque produzioni totalmente impresentabili o prive di idee sufficientemente valide, bensì titoli che avrebbero potuto ambire a traguardi ben più elevati e che invece hanno sprecato gran parte del loro potenziale. Vi ricordiamo inoltre che questa lista non è una classifica, e che la selezione di giochi è del tutto personale: non dimenticate, ovviamente, di raccontarci nei commenti quali sono state per voi le delusioni più cocenti degli ultimi dieci anni.

Aliens: Colonial Marines

Considerabile come uno dei più grandi passi falsi di Gearbox, Aliens Colonial Marines, al suo esordio nel 2013, si è dimostrato l'esatto opposto di quello che avrebbe dovuto essere. Da un team esperto che aveva dato i natali a Borderlands era lecito attendersi una qualità ben più elevata, e invece questo shooter ispirato alla saga di Alien è stato fallimento sotto quasi ogni aspetto. Figlio di uno sviluppo travagliato, il gioco ha raggiunto gli scaffali in condizioni alquanto precarie, e con una componente visiva parecchio diversa da quella che i trailer avevano messo in mostra.

Accolto molto severamente dalla stampa e dal pubblico, Aliens: Colonial Marines è finito al banco degli imputati per molteplici ragioni: da una parte l'incapacità di riproporre in formato videoludico le atmosfere dei film, né quelle di stampo prettamente orrorifico come nel lungometraggio di Ridley Scott né l'impronta più action del sequel di Cameron; dall'altra l'incalcolabile numero di bug e glitch che affossava l'avanzamento, afflitto com'era da un'intelligenza artificiale disastrata.

A tal proposito, la leggenda narra che la limitatezza dell'IA dei nemici sia stata causata nientemeno che da un errore di battitura nel codice di gioco. I fan della serie cinematografica, insomma, si trovarono dinanzi alla loro più grande paura: un titolo che si limitava a sfruttare il nome del brand senza rendergli adeguatamente omaggio.

Anthem

Dopo Mass Effect Andromeda, accolto in modo assai tiepido dall'utenza nonostante le qualità dell'opera, Bioware ha avuto il coraggio di proporre una nuova proprietà intellettuale, che sfortunatamente è giunta sugli scaffali con ampi margini di miglioramento. Anzitutto, a differenza di quanto mostrato nel video di presentazione, che sembrava voler superare i limiti generazionali, al momento della release, il calo visivo è stato piuttosto evidente. Eppure, disgraziatamente, il downgrade non è stato il solo problema dello shooter di Bioware ed Electronic Arts, e nemmeno quello più grave.

Agli occhi di molti, Anthem è approdato sul mercato in maniera incompleta e sbilanciata, con un grandissimo potenziale inespresso: dai bug al loot poco incisivo, passando per un endgame abbastanza fiacco e per una lore di gioco che - per quanto affascinante - risultava ancora troppo acerba e non sufficientemente sviluppata.

Lo studio di sviluppo insomma non ha avuto la prontezza sufficiente per rimediare alle debolezze dell'endgame, senza contare che - a causa di riassestamenti interni all'azienda - nei primi mesi dopo la release, Bioware ha interrotto le comunicazioni con il pubblico, cancellando la tabella di marcia del supporto post lancio e intervenendo con estremo ritardo per sistemare le mancanze del gioco. Al netto di un gameplay veloce, frenetico e divertente, insomma, Anthem è stato uno dei più grossi inciampi della carriera di Bioware.

Resident Evil 6

Resident Evil 6 è un gioco senza una precisa identità: un prodotto partorito dalla confusione creativa di Capcom, incapace di comprendere, al tempo dell'uscita del sesto capitolo, quale volto dare alla sua serie horror.

Se nel complesso l'opera non è certo da buttare, e anzi è supportata da una longevità e da una varietà di assoluto rispetto, è anche vero che sfortunatamente non riesce ad eccellere in nessuno degli aspetti che la contraddistinguono: date le premesse ludiche e narrative, che avrebbero dovuto mescolare le due anime della saga di Resident Evil - ossia l'orrore e l'azione - l'avventura di Leon, Jake, Chris e Ada ha deluso ampiamente i desideri degli appassionati, dando forma ad un pot pourri di situazioni e dinamiche di gameplay a tratti raffazzonate e claudicanti.

Virando più sui lidi dell'action game che su quelli del survival horror, Resident Evil 6 non è riuscito insomma ad accontentare né chi desiderava un approccio simile a quello del quarto episodio, né coloro che preferivano lo stile più smargiasso dell'epopea di Chris e Sheva in RE5. Dopo l'insuccesso del titolo, Capcom ha deciso di riscrivere dal principio la formula ludica del brand con Resident Evil 7, segnando di fatto l'inizio di un'era di rinascita per l'azienda giapponese.

Duke Nukem Forever

Il Duca non ha certo bisogno di presentazioni: è un personaggio il cui carisma lo precede a chilometri di distanza. Volgare, sboccato e violento, Duke Nukem è la quintessenza del machismo senza freni inibitori. È su questo grezzo fascino al testosterone che Forever ha cercato di far leva nel 2011, riproponendo le gesta del Duca in formato tridimensionale.

Invece di dar forma ad un titolo che fosse rispettoso sia dell'opera originale sia degli standard tecnici di PS3 e Xbox 360, 2K Games non ha fatto altro che imbastire un semplice FPS citazionista, che si basa quasi interamente sull'importanza storica del nome che porta.

Benché non mancassero una buona varietà di armi da fuoco, un'ironia tamarra come da tradizione, e un gran quantitativo di riferimenti al passato del brand, Duke Nukem Forever non si è dimostrato degno delle imprese del suo protagonista. Caratterizzato da sviluppo lunghissimo e assai travagliato, questo sparatutto presentava fasi shooter non proprio esaltanti, un level design abbastanza piatto e un comparto tecnico vecchio di una generazione. Per il suo ritorno in pompa magna sulle scene, in sostanza, il Duca avrebbe meritato molto di più.

Castlevania Lords of Shadow 2

Era il 2010 quando Mercury Steam, in collaborazione nientemeno che con Hideo Kojima, ha riportato in auge il brand di Castlevania con Lords of Shadow, un action adventure in tre dimensioni sorprendente e suggestivo, che rielaborava i canoni della saga e li modernizzava con un tocco spiccatamente autoriale. Senza il supporto del papà di Metal Gear, purtroppo, quattro anni dopo il team di sviluppo ha concepito un sequel che non è stato in grado né di toccare di nuovo le vette qualitative del predecessore né di bissarne il successo.

Lords of Shadow 2 ha tentato di ampliare la formula dello scorso capitolo, inserendo nell'avanzamento una maggiore varietà ludica e peccando però di troppa approssimazione. L'aggiunta della telecamera libera ha reso meno leggibili i combattimenti e peggiorato le sequenze platform (già poco rifinite nel titolo d'esordio), mentre la presenza delle superflue fasi stealth ha messo in luce meccaniche di gioco appena abbozzate e un level design molto superficiale.

Anche la direzione artistica, sfortunatamente, è stata indebolita in maniera significativa dall'introduzione delle ambientazioni contemporanee, senza dubbio più scialbe di quelle dal sapore gotico che contraddistinguono l'anima della serie. In virtù degli eccellenti risultati del primo Lords of Shadow, dalla seconda resurrezione di Gabriel Belmont sarebbe stato legittimo attendersi dunque un'avventura parecchio più soddisfacente.

Battleborn

Uscito quasi in contemporanea con Overwatch di Blizzard, Battleborn ha pagato lo scotto di un'idea di gioco un po' troppo confusa. L'opera di Gearbox è un mix tra le meccaniche di uno sparatutto in prima persona e l'anima competitiva tipica dei MOBA: l'eccentricità dei creatori di Borderlands si notava sin dal primo impatto, ma a mancare era un'omogeneità stilistica e ludica che desse solidità e compattezza alla formula di gioco. Sulla carta il concept era certamente interessante, e il curriculum degli sviluppatori lasciava ben sperare, tuttavia alla prova del nove questo ibrido sui generis non è riuscito a convincere pienamente.

Confusionario e derivativo, Battleborn è stato un insuccesso commerciale, afflitto da un calo costante di giocatori che ha spinto il publisher ad adottare una formula di stampo free to play dopo appena un anno dall'esordio sul mercato. Nemmeno questa strategia ha dato i frutti sperati: nato sotto una cattiva stella, lo shooter di Gearbox è destinato d'altronde a scomparire dai radar dei videogiocatori. Come confermato da 2K Games, infatti, nel gennaio del 2021 i server verranno chiusi definitivamente.

Leggi la recensione di Battleborn

Evolve

Sul piano concettuale il gioco di Turtle Rock era decisamente originale: un multiplayer competitivo asincrono in cui 4 giocatori erano chiamati a collaborare per fronteggiare un altro utente nei panni di una colossale bestia intenta a dar loro la caccia.

La realizzazione finale di Evolve non si è rivelata totalmente fallimentare, ma il pubblico non ha accolto a braccia aperte la produzione: colpa di una penuria di contenuti al lancio, di un bilanciamento complessivo che avrebbe meritato un maggiore affinamento e di una politica di DLC da molti ritenuta eccessivamente invasiva nell'economia ludica.

Il progressivo allontanamento dei giocatori dai server di Evolve ha imposto al publisher di correre ai ripari. Esattamente come Battleborn, anche il lavoro di Turtle Rock ha conosciuto una nuova versione Free To Play, chiamata Evolve Stage 2, che nei primi giorni dopo la release ha assistito ad un'incredibile impennata di utenti. Sembrava dunque che simile formula di distribuzione fosse riuscita a dar inedita linfa al titolo, ma la parabola "evolutiva" del gioco non ha avuto un lieto fine, e si è conclusa con la chiusura dei server nel settembre del 2018.

Crackdown 3

Ultimo residuo della vecchia Microsoft, prima dell'arrivo di Phil Spencer, Crackdown 3 è un gioco che avrebbe dovuto esordire sul Xbox One con una solidità ben diversa. E invece le sue fondamenta si sono dimostrate molto fragili.

Il video di presentazione nel lontano 2013 aveva messo in luce la potenza computazionale del cloud, con un algoritmo di distruzione straordinario ed evoluto. Purtroppo, al termine di uno sviluppo assai problematico, Crackdown 3 è rimasto schiacciato sotto il crollo delle sue stesse ambizioni.

Ridimensionato in maniera evidente rispetto al reveal di cinque anni fa, questo action caciarone e scacciapensieri non offre solo una distruttibilità in multiplayer assai ridotta in rapporto alle promesse, ma anche una campagna in singolo molto breve e monotona, una grossa povertà di contenuti e un comparto tecnico indubbiamente obsoleto. Crackdown 3 è insomma un prodotto di difficile collocazione nel mercato attuale: mentre ribadisce che con la potenza del cloud si possono ottenere risultati inediti, purtroppo evidenzia anche tutti i limiti attuali di questa tecnologia.

Recensione di Crackdown 3

Fallout 76

Fallout 76 è l'esempio più lampante della discrepanza che si crea di solito tra le aspettative del pubblico e il risultato finale. Considerate le premesse e l'immaginario imbastito da Bethesda, l'idea di un'avventura di stampo interamente online all'interno del mondo post apocalittico della serie lasciava presagire un'esperienza profondamente appagante.

E invece non è stato così. Come ribadito nella nostra recensione di Fallout 76, l'ultima opera di Bethesda è "un gioco in crisi d'identità e drammaticamente fuori fuoco", un'altalena di pregi e difetti che concorrono a creare un'epopea controversa, sì densa di contenuti e molto longeva, ma funestata da palesi ruvidezze tecniche, da una pletora di bug e da un comparto PvP accessorio e mal implementato.

Insomma, l'esordio multiplayer di Fallout non è stato certo tra i più rosei: senza lasciarsi abbattere dall'accoglienza fortemente negativa, il team si è rimboccato le maniche per risolvere alcuni bug ed espandere l'offerta di gioco tramite numerose patch e l'espansione Wastelanders, inizialmente previsto per la fine dell'anno e poi slittata al 2020, per permettere allo studio di rifinirla nel migliore dei modi ed evitare così un lancio zoppicante come quello del titolo di partenza.

Recensione di Fallout 76

Overkill's The Walking Dead

L'intramontabile fascino della serie di Robert Kirkman unito al talento degli sviluppatori che hanno dato vita al brillante Payday. Cosa potrebbe andare storto? Tutto, a quanto pare. Ciononostante, Overkill's The Walking Dead, al momento del suo annuncio, era accompagnato da tantissime speranze da parte sia dei fan dei comics, sia degli appassionati dei multiplayer cooperativi.

C'è da dire che i continui rinvii durante lo sviluppo - durato ben 5 anni - e i gameplay mostrati prima della release lasciavano intendere che qualcosa non stava andando per il verso giusto in casa Overkill. Questo The Walking Dead, che ibrida la formula di Left 4 Dead con un pizzico di tatticismo à la Payday, ha l'amaro sapore di un'occasione sprecata, caratterizzato com'è da un gameplay mai del tutto soddisfacente, da discutibili scelte di game design, da insignificanti meccaniche stealth e da una ripetitività molto accentuata.

A causa delle condizioni quasi insanabili dell'opera, le versioni console sono state del tutto cancellate, e anche il supporto per PC è stato interrotto prima del previsto. A differenza di quanto accade per gli zombie di Kirkman, insomma, Overkill's The Walking Dead non è risorto dalla morte.