FOMO e ansie videoludiche: lineamenti di una paura immaginaria

Il FOMO (Fear of Missing Out) è uno stato di ansia in cui si teme di non avere accesso a esperienze gratificanti e i videogiochi non fanno eccezione.

FOMO e ansie videoludiche: lineamenti di una paura immaginaria
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Ci siamo ragazzi: è di nuovo il momento di riunirci in circolo, fissarci negli occhi e, con lo sguardo rilassato di chi ha appena sognato di presentarsi nudo a scuola, condividere con malcelata mestizia i nostri segretucci da giocatori anonimi. Vi prometto momenti di grande disagio condiviso, giustificati dalla pubblica esposizione di un buon numero di manie sorprendentemente comuni, almeno per gli standard della comunità smanettona. Per le finalità di questa seduta di auto-aiuto (probabilmente utile come un lecca lecca al bitume), prenderemo in analisi solo quelle legate a un fenomeno tanto diffuso quanto ignorato, perfettamente descritto dall'acronimo FOMO.
Di che diamine stiamo parlando? Beh, la nostra storia si apre nei primi anni del ventesimo secolo, in un luogo incantato chiamato Massachussetts.

Ansia digitale

"Due strade divergevano in un bosco giallo; e purtroppo non potevo percorrerle entrambe; ed essendo un viaggiatore solo; rimasi a lungo a guardarne una fino a che potei; nel punto in cui svoltava nel sottobosco".

Chissà cosa avrebbe risposto il grande Robert Frost se, nel 1916, qualcuno gli avesse detto che i primi versi di una delle sue più celebri poesie sarebbero nel tempo diventata la perfetta rappresentazione letteraria di una delle turbe più diffuse tra le fila dell'utenza videoludica. Una paturnia peraltro sorprendentemente in linea con gli intenti espressivi dell'autore, che scrisse il poema per dileggiare bonariamente la costante indecisione dell'amico e collega Edward Thomas, che durante le loro camminate era sempre incerto sulla strada da percorrere, e finiva spesso per pentirsi della svolta appena imboccata.

Se a questo punto non vi si è ancora accesa nel cervello la spia "paranoia ricorrente" (vi invito ad approfondire l'argomento nello speciale dedicato ai momenti di ordinaria follia videoludica), sappiate che parliamo di una forma di delirio straordinariamente comune, che spinge i giocatori a fissare inebetiti un qualsiasi svincolo videoludico per un tempo potenzialmente incalcolabile, e a tormentarsi nella certezza che il percorso scelto si rivelerà eventualmente quello "sbagliato".

Tanto per dare corpo al concetto: avete presente quando, nel cuore del più classico dei dungeon labirintici, vi trovate di fronte a un incrocio con diverse strade da seguire? Si tratta del palcoscenico ideale per lo scontro tra la componente ossessivo-compulsiva della vostra personalità di videogiocatori - che non può neanche concepire l'idea di lasciarsi alle spalle tesori o quest secondarie - e quella quota di buon senso che, di contro, continua a ribattere che in fondo il problema non è poi così grave. Sebbene questa seconda voce sia senza alcun dubbio la più saggia, ci sono ottime probabilità che il tragitto vi conduca comunque a una cutscene senza ritorno, in linea con la prassi imposta da una costante metafisica tanto infame quanto ineluttabile. Va da sé che, secondo le regole dettate dalla sorella bastarda della legge di Murphy, il salvataggio più recente risale al vostro primo accenno di pubertà.

Parliamo, tra l'altro, di un disturbo innescato anche da dialoghi a scelta multipla e, più in generale, da ogni genere di narrazione dinamica: contesti in cui è difficile sfuggire al masochismo mentale istigato dalla domanda "e se mi stessi perdendo qualcosa?". È inutile dire che nella gran parte dei casi si tratta di una fisima senza alcun fondamento, manifestazione di un percezione fallace che può perfino minare la godibilità complessiva di un'esperienza digitale.

Tra i cugini di primo grado di questa peculiare sindrome ci sono anche tutti quegli spasmi cognitivi che, fedeli al vecchio adagio "non si sa mai", nei giochi di ruolo vi costringono ad ammucchiare pezzi d'equipaggiamento penosamente obsoleti e paccottiglia assortita, oppure a mettere da parte una quantità improbabile di denaro in vista di opportunità d'investimento che - ovviamente - non si presenteranno mai. Se tutti questi fenomeni di aerofagia cerebrale, per la gran parte innocui, di rado finiscono col generale ansie di spessore (se non in casi limite), il "modus pensandi" alla base di questa "paura di perdersi qualcosa" è pericolosamente vicino a quello che accompagna disagi ben più significativi, specialmente nel quadro di una collettività iperconnessa dove presenza e partecipazione sono diventati elementi imprescindibili della quotidianità sociale.

La FOMO e i suoi derivati

Coniato nel 2004 dall'autore e imprenditore statunitense Patrick J. McGinnis, l'acronimo FOMO (fear of missing out) descrive uno stato di ansia pervasiva scatenato dalla sensazione che, in un determinato contesto sociale, altri abbiano accesso ad esperienze gratificanti dalle quali potremmo finire in qualche modo esclusi. Il fatto che la genesi del termine sia dovuta a un economista è tutt'altro che sorprendente, visto che il disturbo è strettamente connesso a dinamiche psicologiche che vengono usate in ambito commerciale sin dall'alba dei tempi.

Una delle strategie più efficaci quando si cerca di intercettare un investimento è infatti quella di insinuare l'idea che, in caso di mancato supporto, l'interlocutore potrebbe perdere un affare imperdibile, andando a creare indirettamente circostanze vantaggiose per la concorrenza. Tornando all'ambito videoludico, l'attrattiva delle iniziative di crowdfunding (Kickstarter in primis) viene costruita attorno all'idea che, non contribuendo attivamente a un progetto, potremmo veder sfumata per sempre la possibilità di mettere le mani su un prodotto che consideriamo appetibile.

In questo senso, la disposizione di ricompense - solo apparentemente - commisurate all'investimento contribuisce a rendere più allettante l'esborso, a fronte di una quota di rischio sempre presente, legata alla mancanza di riscontri sull'effettiva qualità dell'oggetto "acquistato". Strategie molto simili vengono utilizzate per mantenere attive le playerbase dei titoli a sviluppo continuo, con eventi e aggiornamenti a tempo che invogliano a tornare su un gioco ad intervalli regolari, onde evitare di perdersi qualcosa (ricompense speciali, bonus e quant'altro) ed essere in qualche modo esclusi "dall'attualità comunitaria".
È praticamente impossibile svincolare le dinamiche in questione dal concetto - squisitamente post moderno - di cultura dell'hype, figlio di un marketing da battaglia progettato per dare il via a una propagazione virale "dell'awareness" su un determinato prodotto. Un processo alimentato dalle meccaniche del presenzialismo internettiano, che creano il bisogno artificiale di partecipare in qualche forma al dibattito sugli argomenti più popolari all'interno della propria "bolla social", che sia per condividere l'entusiasmo o per esprimere la propria distanza dalla narrativa dominante.

Va da sé che entrambe le condotte contribuiscono in egual modo alla diffusione di un contenuto, e ambedue possono rientrare nella definizione più tradizionale di FOMO. D'altronde McGinnis identifica proprio nelle caratteristiche dell'interazione digitale il motore di questa paura di venir "tagliati fuori": se da una parte l'avvento di internet ha offerto al mondo tutta una serie di strumenti efficaci per soddisfare rapidamente, e senza grossi sforzi, un naturale (e sano) bisogno di interconnessione sociale, dall'altro le nuove routine di comunicazione possono sfociare in comportamenti compulsivi di stampo patologico. Rientra in questa categoria la necessità compulsiva di monitorare costantemente mail e social feed (con annessa ansia da disconnessione), alla ricerca di un senso partecipazione assolutamente evanescente.

In termini più generali, la FOMO riguarda l'errata convinzione di aver speso male il proprio tempo, di aver sprecato l'occasione di vivere un'esperienza interessante. Una definizione, quest'ultima, che riporta di prepotenza il discorso nei pressi della nostra area di competenza principale, ovvero lo spasso videoludico. Non serve infatti l'acume di Freud per adattare i lineamenti di questo disturbo ad alcune delle angosce più diffuse tra i giocatori, in primis l'ansia da backlog e la frustrazione generata dalla sensazione aver mancato - causa tempo - qualche titolo di valore.

Due problemi strettamente connessi tra loro, che incarnano l'odioso paradigma della "coperta troppo corta". Il fatto è questo, gente: anche se i vantaggi economici offerti dall'età adulta possono permettervi di acquistare ogni singolo titolo disponibile sul mercato (cosa tutt'altro che scontata), è piuttosto improbabile che abbiate tempo a sufficienza per giocarli tutti. Accumulare una libreria di proporzioni titaniche non cambierà in alcun modo questo dato di fatto, e l'impulso a intercettare tutte le uscite più golose non farà altro che amplificare il senso di sopraffazione che vi angustia.

Detto questo, arriviamo dunque al nodo della questione: come ci si libera da questo insopportabile cruccio? Purtroppo non esiste una risposta univoca, ma tutte le strade passano dal medesimo incrocio. Innanzitutto bisogna capire se questo comportamento ha influito negativamente sulla piacevolezza complessiva del nostro passatempo preferito, dotandolo di connotati potenzialmente ansiogeni. In caso positivo, è necessario riconoscere che forse è opportuno operare un cambio di prospettiva. Il primo passo è riconoscere che il FOMO è una colossale menzogna: la realtà è che non vi state perdendo niente.

Comprare un titolo solo per giocare due ore e poi passare al successivo non vi offrirà alcuna soddisfazione, quindi tanto vale stabilire delle priorità e concentrarvi su un singolo gioco per volta, senza cedere alla tentazione di mettere subito qualcos'altro in coda. Sacrificare qualcosa di bello per qualcos'altro che, forse, potrebbe rivelarsi lievemente migliore è sensato come chiudere un rapporto dopo aver saputo che Scarlett Johansson è di nuovo single. E già che ci siamo, ricordate che nessuno vi impone di arrivare ai titoli di coda: se un videogioco non vi piace, concedetevi il lusso di abbandonarlo.Nel caso vi troviate in un periodo particolarmente ricco di uscite, cercate di trarre il meglio dal vostro tempo libero e fate una selezione ponderata, evitando inutili bulimie.

Per quanto riguarda i social, è del tutto probabile che le ultime cento traversate del vostro feed non vi abbiano dato nulla se non qualche ragguaglio sui meme più à la page, quindi potete tranquillamente ridurre la frequenza degli swipe. Sfuggire al FOMO è un delicato esercizio di autogestione, che passa attraverso la presa di coscienza del fatto che l'unico tempo perso è quello passato a provare malessere.

Che si tratti di leggere un messaggio su Facebook o di mettere le mani sull'ultima meraviglia dell'industria videoludica, tenete a mente che a volte rimandare è la strategia migliore. Se questa serie di consigli vi è sembrata un po' melensa e scontata... beh, avete ragione. D'altronde si tratta di banale buon senso, di verità spicciole distillate da un pensiero semplicissimo: il gioco deve farvi stare bene, altrimenti è meglio smettere di giocare. Chissà se danno il Pulitzer anche per le frasi fatte.